Chi ama il paesaggio viene talvolta liquidato come estremista, pasdaran, massimalista, komeinista, fanatico, oppure apostrofato con formule vuote come “basta con le ideologie”, “siete quelli del no”. Ma vediamo.
Chiamano vacanze gli sbarchi apocalittici in Gallura, le migliaia di auto arroventate, l’isola scossa di colpo da un turismo anfetaminico, una regione di un milione e mezzo di abitanti che brulica per un mese di altre centinaia di migliaia di persone piene di esigenze spirituali e corporali, i fuoristrada sulle dune di Piscinas, le spiagge trasformate in rosticcerie, i fiumi di alcol, le cale alla nafta, i ginepri amputati. Ma neppure davanti a tutto ciò si riflette sulla necessità di governare questo fenomeno distruttivo, questo uso sfrenato della nostra unica risorsa. No. Si accetta qualsiasi cosa. La stagione è corta, dicono, e allora allunghiamo gli alberghi.
C’è stato un indicativo convegno promosso dagli albergatori e dai rappresentanti dell’onesto partito detto dei Riformatori che vuole riformare anche gli alberghi i quali non devono lavorare solo due mesi l’anno e dovrebbero procurare lavoro per dodici mesi anziché dispensare uno stipendio che appare a luglio e agosto, poi scompare e riappare, forse, un anno dopo.
Ma neppure gli integerrimi Riformatori hanno resistito alla mania irragionevole del cosiddetto “premio di cubatura” che non si rifiuta a nessuno. Così abbiamo saputo che a 300 metri dal mare si possono costruire palestre, centri benessere e centri congressi. Tra i 300 metri e i 2 chilometri, per ottenere il 20% di letti in più si aumenta la volumetria del 50%. Nel manuale del perfetto cementificatore non è mancato il tocco di verde dei campi da golf che devono essere fatti subito sennò i filantropi investitori vanno da altre parti. Un pasdaran albergatore ha deplorato che in questa lotteria dei premi di cubatura ci si è dimenticati degli sfortunati alberghi a 300 metri e ha chiesto come rimedio alla crudele ingiustizia il 10% di metri cubi in più per chi è là da 5 anni, il 20% per chi è lì da 10 anni e il 30% se l’albergo è là da 20 anni o più. Un’usucapione alberghiera. Così, hanno detto, si sta “al passo coi tempi”.
Comunque vada ti premiano con un allargamento o un allungamento. Questo sì, ci pare un modo ideologico di concepire regole fondate su diritti inesistenti che, oltretutto, ignorano diritti fondamentali. Perfino i pacati Riformatori prevedono regali a chi, come gli albergatori isolani, ha fallito, lavora un mese l’anno ma pretende una ricompensa per la propria incapacità. Come se per rimediare al tracollo di una fabbrica si proponesse di allungarla con un bel premio in metri cubi.
C’è nell’aria un massimalismo del metro cubo, un estremismo edilizio, un fanatismo sviluppista. La stagione è corta e allora si prolungano gli alberghi. Nessun tentativo di governare gli avvenimenti, solo la volontà di inseguirli affannando, chiusi in un’asfissiante visione edificatoria del mondo.
Lo stesso atteggiamento “ideologico” di chi, sgombro dalla prudenza del dubbio, vide nella chimica l’unico possibile futuro dell’Isola, creò posti di lavoro di cartapesta e molto dolore.
Basterebbe in questi giorni un’occhiata ai moli infernali di Olbia per comprendere che non servono metri cubi ma regole. Fra trenta giorni tutti se ne andranno e ricomincerà il lamento dell’inoperoso albergatore sardo.
Quando la costa sarà una costruzione continua, esauriti i perniciosi premi di metri cubi, privi dell’unico patrimonio che possediamo, il Paesaggio, poveri senza rimedio, prenderemo di colpo coscienza, come è accaduto per la chimica, della scelta rovinosa che abbiamo fatto. Non abbiamo saputo governare la nostra terra e non avremo più nulla di nostro, né un’ideale di paesaggio, né di territorio, né di patria.
Pubblicato anche su La nuova Sardegna, 4 agosto 20098