Con un sospiro di sollievo gli albergatori sardi hanno registrato un labile tutto esaurito di qualche giorno grazie alla moltitudine che a ferragosto si è rovesciata sull’isola dal cielo e dal mare. Neppure abbiamo fatto in tempo a ragionare sul fenomeno che, frenetici come girini, i villeggianti si preparano, dopo l’esodo, al controesodo. E “quelli del sì” sono stati felici per qualche giorno.
Ma “ quelli del sì” e alcuni sfortunati albergatori hanno sentito qualcosa di insolito nell’aria proprio mentre godevano questa boccata d’ossigeno.
Era il flagello della cacca generata a ferragosto che ritornava al produttore perché i depuratori non ce l’hanno fatta benché siano, si sa, sovradimensionati proprio per i periodi di pienone. Era troppa questa cacca. Tanta incontinenza non era stata prevista dai sostenitori del nostro efficace modello di sviluppo. Gli stessi che propugnano premi di metri cubi agli alberghi per ingrandirli e moltiplicano non solo i servizi, attenzione, ma le camere d’albergo per ammucchiare più gente. Premiano chi non ha saputo fare dell’isola un luogo rispettato per tutto l’anno dai suoi abitanti e da chi lo visita. E chiamano “riqualificazione” quest’uso inconsulto del territorio.
“Quelli del sì” ampliano gli alberghi e abdicano alla leggendaria “stagione lunga” e al “risparmio” dei luoghi. E cadono in una mortale contraddizione. Non si possono nello stesso tempo stipare le coste di metri cubi e turisti e pretendere che quel turista, immerso nel suo stabulario come una cozza nella quale il cibo entra e esce, corra perfino a vedere il cosiddetto interno isolano al quale intanto ne fanno di tutti i colori sino alla desertificazione.
“Quelli del sì”, a forza di sì, hanno da mezzo secolo la responsabilità morale, e non solo, della scomparsa di buona parte dei nostri paesaggi, storici e naturali. Questo gli verrà rimproverato da chi riceverà in dono da loro l’inconfondibile “bruttezza sarda” che dalle città e i paesi si è estesa alle campagne, frutto della confortevole filosofia del sì e dell’intolleranza alle regole. Come i guai provocati da chi sfreccia a centocinquanta all’ora e sfacciatamente definisce “agguato” una multa con l’autovelox. Troppe regole, dicono.
La politica di “quelli del sì” è facile da praticare. Dire sì, produrre leggi a corto raggio, il “tutto e subito”, evita norme fastidiose, divieti e codicilli capziosi.
La cacca di questi giorni non è una cacca qualunque, ha un significato profondo e dimostra come le nostre acque, certificate da innumerevoli bandierine blu, siano naturali. E qualcuno proporrà per la stagione spilorcia ridotta a un mese di ingigantire i depuratori perché per trenta giorni la pressione sulle coste diviene insopportabile e la cacca insostenibile. Questa cacca metaforica, castigo degli spensierati, verrà ricordata. Verrà ricordato l’albergatore negazionista che ha detto: “Non è cacca, signori, sono meduse” e poi si è angosciato non già per l’orrore, no, ma per il danno minore, quello all’immagine. L’immagine dovrebbe corrispondere sempre alla sostanza ma in questo caso la sostanza è sconveniente.
Molta cacca, sosterranno, significa che la nostra isola è una meta ambita e basterà distribuirla meglio sulla costa e sull’interno. La cacca, spesso cacca internazionale, volgerà a misura del successo del nostro turismo, diverrà un volàno dello sviluppo e accrescerà il Pil. D’altronde è un segno di salute e fortuna nella cabala napoletana.
Ha dichiarato l’assessore al turismo di un paese costiero che bisogna “riflettere e spalmare il turismo un po’ dappertutto”. Non abbiamo capito esattamente cosa volesse dire. Ma la parola “spalmare”, termine “strategico” del linguaggio aziendale, non è stata scelta con accortezza. Ha ragione l’assessore, bisognerà riflettere a lungo sul nostro povero mare fecale, però noi, nel frattempo, ce ne restiamo tra “quelli del no”.
Pubblicato anche su La nuova Sardegna, 25 agosto 2009