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Paola Somma
I morti del piano regolatore
17 Febbraio 2016
Paola Somma
Addis Abbeba. Almeno 140 morti, centinaia di feriti e ... (continua)

Addis Abbeba. Almeno 140 morti, centinaia di feriti e ... (continua)

Almeno 140 morti, centinaia di feriti e un numero imprecisato di arresti. E’ questo il bilancio di alcuni mesi di proteste popolari contro il piano regolatore di Addis Abeba e della brutale repressione messa in atto dal governo etiope. Le cifre del massacro sono riportate da molti organi di stampa internazionale che hanno seguito gli scontri tra polizia e manifestanti, ma non hanno suscitato l’interesse dei mezzi di informazione italiani. Peccato, perché dal perverso intreccio tra pianificazione del suolo, discriminazione sociale, affari e corruzione politica che connota la vicenda dell’Addis Abeba Integral Regional Development Plan avremmo molto da imparare.

L’Etiopia, uno dei paesi più poveri del mondo, è uno stato federale, suddiviso in nove regioni delimitate secondo criteri etnici e linguistici. La capitale Addis Abeba è anche la capitale di Oromia, il territorio storicamente abitato dagli Oromo, il gruppo etnico più numeroso (40% della popolazione) e in gran parte dedito all’agricoltura. Negli ultimi anni la città è cresciuta enormemente, ma allo stesso tempo si è verificata una costante diminuzione/espulsione degli abitanti Oromo.

Come molte città africane per le quali gli investitori internazionali hanno grandi visioni e appetiti, Addis Abeba è oggetto di esercizi di pianificazione da parte della Banca Mondiale e di consulenti europei (Agenzia di urbanistica per lo sviluppo dell’agglomerazione di Lione) che hanno aiutato il governo etiope a predisporre un piano per far diventare “la capitale diplomatica dell’Africa” una metropoli “resiliente e competitiva a scala globale”. Tra gli obiettivi dichiarati ci sono, ovviamente, quelli di migliorare le condizioni di vita, garantire l’accesso ai servizi essenziali, connettere gli abitanti con le opportunità di sviluppo. Per raggiungerli, oltre ad una massiccia espansione edilizia e alla costruzione di infrastrutture di trasporto, da attuare con investimenti pubblici, il piano prevede un allargamento dei confini amministrativi della città, in conseguenza del quale il suo territorio si estenderebbe per 1 milione e centomila ettari, cioè venti volte la superficie attuale.

Ed è soprattutto questa decisione che ha scatenato la protesta, dapprima degli studenti universitari e poi di gruppi sempre più numerosi di Oromo, che hanno capito come l’ampliamento di Addis Abeba e la incorporazione nel suo territorio di città e distretti che ora fanno parte di Oromia non sia una scelta tecnica, fondata sulla ragionevole esigenza di una pianificazione territoriale a scala metropolitana, ma una scelta politica contro di loro e contro la Costituzione, che esplicitamente riconosce e tutela i diretti dei vari gruppi etnici, dalla libertà di insediamento all’uso della lingua nelle scuole. Per comprendere i verosimili effetti del piano regolatore, infatti, bisogna tener conto di alcuni elementi:

- dal 1975 la terra è stata nazionalizzata ed è di proprietà dello stato,

- da 22 anni sono al governo esponenti dell’etnia Tigrina che, malgrado sia minoritaria dal punto di vista numerico (4 milioni su 94 milioni di abitanti), alle ultime elezioni ha conquistato il 100% dei seggi in Parlamento, ed ha quindi un fortissimo potere politico e militare,

- l’espulsione e la cacciata dei contadini e l’appropriazione delle terre da loro coltivate da parte delle élites al potere o il loro trasferimento ad investitori stranieri è una pratica sempre più diffusa e ampiamente documentata da organizzazioni internazionali.

Già in passato, i tentativi degli Oromo di opporsi alla cacciata dai loro insediamenti e al ricollocamento forzato sono stati domati con violenza. Lo stesso è avvenuto quando una serie di incendi, si dice attizzati dallo stesso governo, hanno distrutto ampie porzioni di foresta, che sono poi state usate per installarvi attività inquinanti, discariche e impianti per la produzione di fertilizzanti. Ma quella ora in corso non è più solo una protesta per l’ennesimo episodio di land grabbing.

Anche grazie alla risonanza internazionale che la vicenda ha avuto- manifestazioni si sono svolte nel centro di Londra e di Washington- è diventata una lotta di resistenza contro la marginalizzazione economica, sociale, culturale e politica degli Oromo. E che si tratti di una vera e propria guerra lo conferma il fatto che solo in seguito ad una nota dell’ambasciata degli Stati Uniti, che ha invitato le autorità a sospendere l’attuazione del piano regolatore finché non sia stato raggiunto un accordo tra le parti, gli scontri sono temporaneamente cessati. Anche l’Unione Europea ha auspicato “un dialogo costruttivo”. Il governo etiope, quindi, si è dichiarato dispiaciuto perché ci sono state delle incomprensioni e si è impegnato a lavorare per “allargare il consenso” sul piano. In attesa delle prossime battaglie, gli Oromo seppelliscono i loro morti.

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