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La rinuncia da parte della società irlandese Petroceltic alla concessione ottenuta dal governo italiano per prospezioni petrolifere al largo delle Tremiti e la rinuncia del miliardario neozelandese Michael Harte, manager di Barclays Bank, all’acquisto dell’isola di Budelli nell’arcipelago della Maddalena per farne “un museo all’aperto”, sono state accolte come due buone notizie da chi cerca di opporsi alla privatizzazione e alla devastazione ambientale del nostro mare.
Ma sono le isole veramente salve? Qualche dubbio sorge, se pensiamo che in entrambi i casi i progetti di sfruttamento sono stati accantonati per una unilaterale decisione degli investitori, che non giudicano più abbastanza attraente l’affare, e non per un atto di resipiscenza delle autorità italiane. Queste ultime, anzi, si sono dichiarate dispiaciute e accoglierebbero con favore un ripensamento dei privati.
Sembra che la Petrolceltic, che avrebbe dovuto pagare 1925 euro all’anno (pressappoco l’IMU di una seconda casa al mare) come “canone demaniale” per utilizzare “a scopo di ricerca”, cioè per “esplorare” con la devastante tecnica dell’air-gun una porzione di mare di 373 chilometri quadrati (vale a dire al costo di 5,16 euro per chilometro quadrato), si sia ritirata a causa della sua disastrosa situazione finanziaria. La ministra Federica Guidi ha espresso “rispetto per il passo indietro che risponde ad esigenze industriali strategiche della società”. Comunque, la Petroceltic non ci abbandona del tutto, perché manterrà gli altri titoli minerari che ha nell’Adriatico e in Valpadana, in un’ottica di “ottimizzazione strategica dell’intero portafoglio italiano”.
Non ci sono difficoltà finanziarie, invece, all’origine del ritiro di Harte che, nel 2013, si era aggiudicato Budelli per 2 milioni e novecentomila euro (160 ettari e 12 chilometri di costa) ad un’asta, dove la sua era stata l’unica offerta. Allora il governo Monti aveva rinunciato al diritto di prelazione e poi l’Ente Parco della Maddalena aveva tentato di subentrare al privato. Ne sono seguite una serie di vertenze legali, al termine delle quali il Consiglio di Stato ha riconosciuto il diritto di Harte all’acquisizione della proprietà. Subito dopo la sentenza a lui favorevole, però, il miliardario ha rinunciato a perfezionare l’acquisto, non ravvisando “le condizioni per redigere il piano di conservazione e ricerca ambientale da lui auspicato”. L’attuazione del suo piano, in particolare, sarebbe ostacolata dal fatto che l’isola è una riserva “integrale”, mentre l’investitore chiede/pretende che il vincolo venga ridotto a quello di tutela “parziale”.
Con toni molto concilianti, il sindaco della Maddalena ha detto di voler tenere le «porte aperte a progetti di riqualificazione, valorizzazione e conservazione, perché il privato non va fatto scappare per principio, ma accompagnato all’interno delle norme» e di augurarsi che Harte “ritorni” per discutere “nuovi” progetti ambientali. Il progetto, ora sospeso, prevedeva la realizzazione di un ingresso, un’area di accesso, una rete di sentieri e camminamenti e un approdo per i barconi che portano i turisti al “museo”. Inoltre, prevedeva nuove costruzioni per ospitare un “centro di ricerca scientifica”, gestito da una apposita fondazione a partnership pubblico e privato, secondo un “modello di business” che, dice Harte, all’estero sta dando “grossi risultati”.
Nella non improbabile eventualità che il ricatto dell’investitore funzioni, può essere utile documentarsi sul modello di business a cui Harte si ispira.
Ocean Cay, nell’arcipelago delle Bahamas, a meno di 60 miglia da Miami, è uno dei molti esempi di isole non solo interamente cedute a privati, ma le cui successive trasformazioni sono tutte state decise da imprese straniere, che ne hanno incorporato i profitti lasciando alle popolazioni locali royalties ridicole e rilevanti esternalità negative.
Si tratta di un’isola artificiale, costruita negli anni ’70 e data in concessione all’americana Dillingham corporation come base per l’estrazione e lo stoccaggio di aragonite, un tipo di sabbia abbondante nelle acque delle Bahamas e particolarmente adatto “al mercato della Florida”. Nel 2000 la concessione è passata alla AES, un’altra società americana che intendeva installarvi un terminal per il trasporto di gas liquido e un rigassificatore. Infine, nel dicembre 2015, i diritti sull’isola, 38 ettari di superficie e 3 chilometri e mezzo di spiaggia, sono stati ceduti per 100 anni alla MSC Mediterranean Shipping Company che vi realizzerà un progetto per offrire ai suoi crocieristi “l’esperienza esclusiva di una riserva marina”.
Il programma di “riassetto naturalistico” di quella che si chiamerà Riserva Marina Ocean Cay MSC prevede la piantagione di 80 specie di piante indigene e la costruzione di un villaggio “architettonicamente fedele alle tradizioni bahamiane”, con bar e ristoranti che servono specialità locali, molti negozi, una struttura per matrimoni e ricevimenti, un’arena di 2000 posti per eventi musicali e spettacoli. Sarà creata una rete di sentieri per muoversi in bicicletta, mentre una teleferica consentirà di attraversare l’isola in “maniera emozionante”. Per i clienti delle crociere premium (per le quali si paga di più) sarà riservata una zona speciale, con cabine massaggio, bungalow privati e una beauty farm.
Nel ribadire la forte vocazione ambientalista della compagnia (la stessa le cui grandi navi infestano la laguna di Venezia) i rappresentanti della MSC hanno dichiarato di voler lavorare in contatto con il governo e le associazioni locali nel “rispetto della cultura e della tradizione delle Bahamas”. Il governo è d’accordo e molto soddisfatto, perché stima che la MSC porterà ogni anno almeno 500 mila turisti aggiuntivi alle Bahamas e che la Riserva creerà 600 posti di lavoro nella fase di costruzione e 250, che saranno addestrati dalla stessa MSC, quando le attività turistiche saranno a regime.
La costruzione di un molo esclusivo, al quale le navi rimarranno attraccate durante l’intera sosta, oltre che rispondere a una necessità funzionale intende sottolineare che l’isola è “un’estensione della crociera”, “un’integrazione dell’esperienza a bordo con un’esperienza autenticamente naturale a terra”.
Di fronte a questi “grossi risultati” si possono solo rileggere i versi di Derek Walcott, che nella poesia “Le acacie”, così esprime la sua angoscia di fronte alla valorizzazione dell’isola dei Caraibi dove è nato:
“guardavo gli ettari condannati dove costruiranno l’ennesimo hotel elitario con la gente comune sbarrata fuori. I nuovi artefici della nostra storia si arricchiscono senza rimorso e sono, in effetti, i profeti di una politica che farà dell’isola un centro commerciale, con i frangenti che sorridono come camerieri e tassisti, in queste nuove piantagioni sul mare; una schiavitù senza catene, senza sangue sparso- solo recinti metallici e cartelli, la nuova degradazione.