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Tale ipotesi è stata ventilata, alcuni mesi fa, in una risoluzione dell’organizzazione internazionale che ha “intimato” alle autorità italiane di affrontare concretamente, ed entro febbraio, le questioni - grandi navi, infrastrutture, turismo, spopolamento - che minano “l’integrità e l’autenticità” della città e rischiano di trasformarla in “un semplice villaggio turistico”.
Brugnaro aveva immediatamente reagito con toni sprezzanti. “A Venezia devono pensarci i veneziani.. di discorsi ne abbiamo le scatole piene”, aveva detto, “ e poi siamo noi che portiamo valore all’Unesco e non viceversa”. Anche adesso, poco prima di partire, ha riaffermato che “è ora di smetterla con le offese aristocratiche”, ma non ha reso note le “soluzioni” che illustrerà nell’incontro parigino. Soluzioni che non sono nemmeno state discusse in consiglio comunale, ma sulle quali si vanta (e probabilmente è la verità) di avere l’appoggio di quelli che contano, cioè dei gruppi che più estraggono profitti dal “sito”: armatori e tour operators, costruttori e investitori immobiliari, con il loro corollario di intermediari e di lucrose attività esentasse. In particolare, ha ribadito l’accordo totale con l’ex presidente dell’autorità portuale Paolo Costa – ha detto di volerlo assumere come consulente del comune- che rifiuta qualsiasi riduzione sia della dimensione delle navi che del numero degli arrivi.
In mancanza di informazioni su quello che Brugnaro racconterà ai funzionari dell’Unesco, le sue decisioni restano l’indizio più chiaro per capire quali siano gli obiettivi e gli interessi della sua amministrazione.
Singolarmente, alcune possono sembrare di modesto rilievo. Ad esempio l’aumento del 5% della tariffa smaltimento dei rifiuti ai residenti, perché vogliamo mostrare ai turisti una città pulita; l’acquisto di pistole che “sembrano mitragliatori” per i vigili urbani, perché vogliamo ripulire la città da poveri la cui vista disturba i clienti che fanno shopping; l’uso degli studenti di un liceo cittadino come “volontari” durante il prossimo carnevale per dare informazioni ai turisti, perché sia ben chiaro che siamo nati per servir.
Nel loro complesso, però, tali decisioni delineano una visione “culturale” ben definita, secondo la quale la città fisica appartiene a chi è in grado di farne l’uso più redditizio. E siccome a Venezia, niente può più competere con il turismo di rapina, la soluzione di Brugnaro & company è di reagire alla domanda crescente con un’offerta crescente, il che significa nessun limite ai cambi di destinazione d’uso da residenza ad albergo, continua occupazione e sottrazione di suolo pubblico, sistematico smantellamento di servizi pubblici e riuso a fini turistici degli edifici che li ospitavano, nuove massicce costruzioni in adiacenza ai terminal (porto, stazione, aeroporto) e sull’ intera gronda lagunare.
Un progetto che di recente ha riscosso il sostegno entusiasta di Brugnaro e della giunta -“la pubblica amministrazione deve sapere essere elastica… per intercettare investitori nel momento in cui hanno interesse ad effettuare determinate operazioni”- prevede la costruzione, in adiacenza alla stazione marittima, di un albergo di duecento camere, un enorme parcheggio oltre che di una serie di attività commerciali. Il tutto diventerà “una nuova porta d’accesso, con la creazione di una piazza grande come quella di San Marco” .
Forse l’Unesco si riterrà soddisfatta per la prospettiva di una piazza più grande di san Marco. Certamente a Brugnaro, secondo i sondaggi uno dei sindaci più amati d’Italia, importa più il giudizio dei tour operators che non sembrano molto preoccupati per le minacce dell’Unesco. Nella peggiore delle ipotesi, metteranno Venezia nella lista dei luoghi da visitare “prima che sia troppo tardi”, e non è detto che con questo slogan non riescano ad incrementare gli arrivi.