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NON C’È da meravigliarsi se il capo dello Stato promulgherà subito in queste ore la legge che garantisce l’immunità al presidente del Consiglio (e ai presidenti di altre quattro alte cariche dello Stato). Tanta rapidità non è scontata. Il presidente, si legge nella Costituzione all’articolo 73, ha un mese di tempo per approvare le nuove leggi ma se Ciampi spendesse le quattro settimane che ha a disposizione la legge sarebbe inutile e l’immunità perduta: il processo di Milano potrebbe essere già alla vigilia della sentenza. Appare addirittura coerente che sia il Quirinale ad apporre l’ultimo necessario sigillo politico alla legge (sono scelta politica i tempi di quest’affare) perché quella legge è il frutto della ricca e sapiente trama istituzionale e giuridica del Quirinale (tanto che si potrebbe addirittura chiamarla "lodo Ciampi").
Importa poco qui sapere se al fondo del paziente lavoro del Colle ci sia un "patto tacito" o la "moral suasion". Quel che conta sono i fatti e i fatti di queste ultime settimane raccontano il protagonismo del presidente della Repubblica che si è declinato in poche mosse. Innanzitutto enfatizzando i sei mesi di presidenza italiana dell’Unione europea. È un appuntamento del tutto ordinario e routinario, come si sa. Lo si è presentato all’opinione pubblica italiana come se fosse la decisiva "sessione di esame" del nostro prestigio internazionale. È sufficiente leggere la stampa internazionale per toccare con mano quanto ogni giorno il prestigio del nostro Paese sia minato dalla servile legislazione ad personam del Parlamento. Non pare che aver soffocato il processo di Milano abbia migliorato la situazione. Semmai l’ha peggiorata, e proprio alla vigilia del "santo" semestre italiano di presidenza Ue.
Quell’enfasi è servita comunque a creare nelle istituzioni un clima da "conto alla rovescia" che sapientemente il capo dello Stato ha speso nei suoi contatti con i presidenti di Camera e Senato, con la maggioranza e l’opposizione, con i vertici della magistratura associata, con gli uffici giudiziari di Milano, con qualche presidente emerito della Corte Costituzionale, con alcuni tra i maggiori costituzionalisti italiani. Bisognava accreditare la legittimità di un provvedimento (si può garantire l’immunità con una legge ordinaria?) che appare storto a occhio nudo. A quanto pare, Ciampi ha voluto escludere dalla discussione, diciamo così, i costituzionalisti del Colle per lasciare campo libero ai penalprocessualisti che lo hanno rassicurato: sì, l’immunità può essere votata con un iter legislativo ordinario e non costituzionale.
Ora qui nasce una domanda. Quei processualisti hanno illustrato al Capo dello Stato il concreto scenario che si comporrà presto a Milano? Si tratta di questo. Non soltanto l’accusa pubblica e privata ma anche gli altri imputati dell’affare Sme solleveranno un’eccezione di costituzionalità alla legge che viola l’articolo 3 della Carta ("Tutti i cittadini... sono eguali davanti alla legge senza distinzione... di condizioni personali o sociali"). Gli avvocati di Cesare Previti e Renato Squillante sono già al lavoro per invocare l’incostituzionalità di una legge che libera l’imputato maggiore (Berlusconi) e lascia all’inferno i comprimari. L’ipotesi non è peregrina e comunque non è "manifestatamente infondata" e sarà difficile per il tribunale di Milano non prenderne atto inviando il quesito alla Consulta. Che il cittadino Previti chieda lo stesso trattamento immunitario di Berlusconi non è con ogni evidenza un paradosso ma qui quel che conta è raccontare ciò che accadrà. Con il quesito costituzionale, il processo è sospeso fino alla decisione della Corte costituzionale che (sono scelta politica i tempi di quest’affare) non affronterà il "caso" prima di febbraio. Già in gennaio, la prima sezione del tribunale penale di Milano perderà un giudice a latere. Si dovrà formare un nuovo collegio. Il processo, a un passo dalla sentenza, tornerà alla casella iniziale. Si comincerà tutto daccapo, e inutilmente visto i tempi della prescrizione. Questo per il futuro, ma anche il passato andrà cancellato e riscritto. In autunno le Camere affronteranno la reintroduzione dell’immunità per tutti i parlamentari e teste d’uovo sono già al lavoro per escogitare il cavillo che può salvare Previti dall’appello dell’Imi-Sir/Lodo Mondadori magari accecando con un rilievo di fumus persecutionis il primo giudizio e la condanna a undici anni.
Questa catastrofe prossima ventura (sentenze cancellate, processi annichiliti, demolizione del principio d’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge) designa come miope il calcolo del Quirinale.
In queste settimane, Ciampi ha rassicurato i suoi interlocutori sostanzialmente con un argomento onnicomprensivo. Il lodo dell’immunità personale di Berlusconi avrebbe evitato il peggio: al Paese, il clima di "guerra civile" che il signore di Arcore scatena quando deve proteggere i suoi interessi; all’opposizione, l’umiliazione di un’altra battaglia perduta; alla magistratura, l’incarognimento d’una riforma dell’ordinamento giudiziario già pessima nelle intenzioni; alla Costituzione, interventi più cruenti di contraffazione. Meglio allora un’immunitas personale se capace di frenare l’aggressività politica del premier. Sarà davvero così? Davvero Berlusconi intascata l’immunità si cheterà? A sentire le dichiarazioni di Salonicco, pare il contrario.
La convinzione del Colle non vede (o sembra non avere la forza di vedere) la natura del nuovo potere e le due alterazioni che lo segnano. Senza alcun contrasto pubblico da parte del Colle, Berlusconi si designa come rappresentante del popolo intero, come se la scelta di una maggioranza politica, d’una rappresentanza democratica diventasse automaticamente scelta d’un capo; come se davvero il popolo potesse essere "collettivo unitario omogeneo", "volontà unitaria", un "interesse collettivo unitario" che quel capo è legittimato a incarnare. È un’alterazione già grave che peggiora la sua pericolosità se incistata nella somma di poteri (politico, economico, mediatico) a disposizione di Berlusconi. Forte della prima convinzione ("Rappresento il popolo"), protetto dal conflitto d’interessi, Berlusconi azzera ogni separazione tra potere privato e potere pubblico, tra società civile e Stato, tra politica ed economia. Azzera, come ha scritto qualche tempo fa Luigi Ferrajoli, una separazione che "fa parte del costituzionalismo profondo così dello stato di diritto come della democrazia rappresentativa".
Questo nuovo, deforme potere si muove nelle istituzioni e attraversa lo Stato con la stessa aggressività, spregiudicatezza e mancanza di senso della misura che un’azienda porta con sé quando agisce sul mercato. È una bulimia in esso non patologica, ma fisiologica. È questa pericolosa idea onnipotente, onnicomprensiva, autoreferenziale che Ciampi sembra non sapere affrontare in pubblico, augurandosi in privato che, una volta soddisfatto un appetito, non ne nascerà un altro ancora più grande. Purtroppo così non sarà. Come per un’azienda alle prese del mercato è naturale essere insofferente alle regole, ai controlli, essere incapace d’autoregolarsi, così il nuovo potere si spingerà ancora oltre fino a quando non incontrerà un vincolo esterno. Con la legge che rende immune Berlusconi s’è persa l’occasione di far valere un limite, lo stesso che vale per tutti i cittadini. Non è un buon auspicio per il futuro dei tre poteri di controllo d’una democrazia moderna: l’opposizione politica, la giustizia, l’informazione.