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Mentre continua la partita a scacchi sulla costituzione del nuovo governo, già si affacciano altre scadenze non di poco conto che mai come in questo caso avranno ripercussioni sul complicatissimo puzzle politico nazionale. Il 26 e 27 maggio si voterà a Roma per il nuovo Sindaco e il rinnovo del Consiglio comunale.
Il bilancio del governo di Alemanno è così disastroso, sotto tutti i punti di vista (ritorneremo sui beni culturali, presto), che parrebbe scontato un ricambio. Senonchè, come ormai da tradizione, il centro sinistra risulta sinora privo di proposte autorevoli. Senza affrontare la cabala nominalistica, proviamo a suggerire alcune considerazioni di buon senso sul programma.
Al primo posto, ovviamente, un’inversione di rotta radicale sulla politica urbanistica, anche se chiamare politica ciò che è avvenuto da troppi anni a questa parte per quanto riguarda appunto l’urbanistica è un vero e proprio eufemismo, perché il termine rimanda in ogni caso ad una visione coerente – condivisibile o meno che sia – della città, nella sua forma e nei suoi usi. Al contrario, ciò che è avvenuto in questi anni, dalla redazione dell’ultimo, infausto pgt, si apparenta di più ad una pura e semplice svendita di territorio e di funzioni operata dall’amministrazione pubblica a vantaggio di alcuni privati e con rischi gravissimi sulla residua qualità urbana.
Questo tema, su cui da anni si concentrano analisi e denunce di urbanisti, da Italo Insolera a Vezio De Lucia a Paolo Berdini (i materiali sono consultabili su eddyburg.it) e dei mille comitati sorti a contrastare speculazioni di ogni tipo in tutti i quartieri della città, non può che essere la cornice entro cui si muovono tutti gli altri. A partire dal traffico: uno dei fattori di degrado che condannano da decenni Roma all’ultimo posto fra le capitali europee, ben al di sotto di Madrid e Atene, per intenderci, dove in anni recenti le amministrazioni pubbliche sono riuscite a dotare le rispettive città di servizi adeguati alle esigenze di moderne metropoli.
Non così a Roma, dove la costruzione della metropolitana assume ormai i contorni di una soap opera farsesca, con sceneggiatura almodovariana e amministrazioni pubbliche civiche e statali (quelle della Soprintendenza archeologica e del Mibac) sull’orlo di ripetute crisi di nervi. Comunque incapaci, tutte e nonostante i commissariamenti recenti e inutili, di risolvere problemi senz’altro gravi, ma non insormontabili, come dimostra l’esperienza di Atene.
Nonostante questa situazione perennemente sull’orlo del tracollo, lo spirito indomito del civis Romanus, temprato da decenni di malgoverno cittadino, trova nuove forme di sopravvivenza: risalgono a un paio di settimane fa i risultati, pubblicati su Repubblica del 3 marzo scorso, di un Rapporto sulla ciclabilità a Roma che fornisce dati inaspettati sull’uso della bicicletta da parte dei cittadini romani: decuplicato – dallo 0,4 al 4% – nel giro di due anni (dal 2010 al 2012). In cifre assolute si tratta di circa 150-170.000 cittadini che utilizzano abitualmente la bicicletta per i loro spostamenti. Eroicamente, perchè Roma non è decisamente un paese per ciclisti, considerata la tetragona indifferenza dell’amministrazione capitolina a politiche sulla ciclabilità.
Il fenomeno è da collegare ad alcuni fattori convergenti, fra cui il crollo della vendita delle auto dovuto alla crisi economica, ma anche la diffusione dei movimenti che lottano per una mobilità urbana sostenibile, quali Critical Mass, attiva a Roma già da dieci anni.
Al prossimo primo cittadino, va la richiesta di vere politiche sulla ciclabilità che non si esauriscono, come i puerili tentativi finora compiuti, nell’allestimento di qualche pista ciclabile in più, ma presumono, innanzi tutto, un mutamento di orizzonte sull’intera questione della mobilità, finalmente orientata a favore dei mezzi pubblici e, in generale, ripensata non a partire dai flussi delle auto, ma dalle esigenze di spostamento di chi vive la città.
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