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Maria Pia Guermandi
Liaisons dangereuses: beni culturali e turismo
28 Aprile 2013
Maria Pia Guermandi
Fra tutti i compagni di viaggio che si potevano auspicare per il nostro disastrato patrimonio culturale, quello del turismo è sicuramente il più scontato. E il più pericoloso...

Fra tutti i compagni di viaggio che si potevano auspicare per il nostro disastrato patrimonio culturale, quello del turismo è sicuramente il più scontato. E il più pericoloso. Già in passato avevamo rilevato come un abbinamento di questo genere tende ad appiattire, inesorabilmente, la funzione dei beni culturali e paesaggio a quella di strumento al servizio delle rendite economiche derivate dai flussi turistici. Non solo: il turismo, prima industria a livello mondiale, ha un’impronta ecologica pesantissima e, se non governata, è causa di pesanti ricadute su monumenti, città e paesaggi, in termini di pressione antropica, degrado dei centri storici, speculazione edilizia: fenomeni ormai ben noti al Bel Paese. Insomma rischia di essere l’attività che vampirizza e distrugge la risorsa che la alimenta.

Intendiamoci, la legittimità e opportunità di un uso turistico del nostro patrimonio culturale non è in discussione. Il problema è piuttosto di governare un fenomeno con strumenti più efficaci di quelli finora adottati, considerate le caratteristiche quantitativamente espansive che lo connotano. L’uso a fini turistici del nostro patrimonio culturale è invece tuttora caratterizzato da elementi di improvvisazione e superficialità di analisi che tendono ad appiattirsi su di uno sfruttamento acritico, in cui una “valorizzazione” improvvisata sforna eventi e attività senza innovazione e senza strategia.

E soprattutto, il turismo deve tornare ad essere una fra le tante possibili attività di fruizione del nostro patrimonio culturale. Non la sola e predominante. Perchè oltre ai turisti ci sono i cittadini e coloro che aspirano a diventarlo e per i quali l’integrazione può e deve avvenire anche attraverso quello strumento formidabile di inclusione e coesione che possono diventare i nostri beni culturali.

Oltre e più che al turismo, quindi, occorrerà tessere stretti legami con altri settori, quali quello dell’istruzione, dell’integrazione, della coesione territoriale. E quello dell’ambiente, perchè una delle prime emergenze che si troverà ad affrontare il neoministro è quella del paesaggio, abbandonato da almeno tre ministri in un limbo di inazione politica gravissimo (v. su questo blog: Dopo lo tsunami, chi vuole il paesaggio?).Accanto a questa, il problema drammatico della carenza di risorse economiche (chiudere Arcus, subito!) e quello del personale. E qui, per trovare competenze ed energie, meglio guardare ai territori e uscire dagli ambienti asfittici e autoreferenziali di un centro ipertrofico e poco incline all’innovazione, come stanno ad esempio a dimostrare i fallimenti di ICCD e del portale CulturaItalia.

L’insieme di questi problemi può essere però ricondotto ad una causa fondamentale: ciò che manca da troppo tempo al Collegio Romano è la capacità di elaborazione di una strategia complessiva che parta da una visione finalmente aggiornata e democratica della funzione sociale del nostro patrimonio culturale. Insomma, una politica dei beni culturali e del paesaggio degna di questo nome che sappia restituire al Ministero un ruolo di rilevanza primaria all’interno delle dinamiche governative.

Non sarà facile, ma mentre scrivo queste righe si rincorrono ancora le notizie relative all’attacco compiuto davanti a Montecitorio. L’autore è un operaio edile rimasto disoccupato. Una delle tante vittime del crollo di un settore che nel nostro paese è stato, negli ultimidecenni, al servizio soprattutto della speculazione e della rendita edilizia. Eppure il nostro paese avrebbe immediato, urgentissimo bisogno di quelle opere di manutenzione del territorio e riqualificazione edilizia che costituirebbero la prima e più importante opera di tutela di paesaggi e città. Insomma un filone in cui il Ministero dei beni culturali e quello dei lavori pubblici e infrastrutture potrebbero collaborare su di un piano non di contrapposizione o sudditanza (del primo nei confronti del secondo), come avvenuto finora, ma di reale parità. A vantaggio del patrimonio culturale, del paesaggio, della chimerica “crescita”. E di tutti i cittadini.

Questo articolo è inviato contemporaneamente a l'Unità, per il blog "nessun dorma"
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