La seconda ondata di riforma del Mibact ha sinora ottenuto l'insospettato risultato di mettere d’accordo fautori e critici su di un aspetto determinante: considerati nel loro insieme, il precedente decreto del luglio scorso e l’attuale, configurano non un semplice adeguamento a precedenti provvedimenti legislativi di altro soggetto (spending review, riforma della PA, legge di stabilità), ma un vero e proprio stravolgimento del Ministero creato da Giovanni Spadolini nel suo assetto generale e del sistema della tutela in Italia. È chiaro a tutti, dunque, che siamo di fronte ad un'operazione strutturale, che, per quanto attuata con strumenti legislativi e amministrativi impropri, poco coerenti nel loro insieme, e a forte rischio di anticostituzionalità, persegue obiettivi non di semplice aggiustamento - ammodernamento di un sistema, ma di un suo radicale ridimensionamento-mutazione.
In estrema sintesi, questi obiettivi possono essere riassunti come: la definitiva cesura fra tutela e valorizzazione, a tutto vantaggio di quest'ultima in termini di risorse di ogni livello; la gerarchizzazione del sistema, finalizzata ad un più facile controllo politico del processo decisionale; la compressione dei residui meccanismi di controllo e monitoraggio sul territorio, tale da comprometterne radicalmente l'efficacia nel contrasto allo sfruttamento speculativo del paesaggio.
In questa direzione vanno dunque interpretati, sia la nuova ondata di supermusei, cui si affiancano ora anche alcune preziosissime aree archeologiche, sia la soppressione delle stesse Soprintendenze Archeologiche che seguono la sorte di quelle storico artistiche. Si ritorna così alle Soprintendenze miste, di sabauda memoria, in cui un solo dirigente dovrà occuparsi dell'intero patrimonio culturale e paesaggistico dell'area assegnata (pari almeno al territorio di due o più province).
Lo immmaginereste mai? La giustificazione politica - per questa seconda tranche della riforma - è la "semplificazione", la parola d'ordine che scandisce almeno da vent'anni lo smontaggio sistematico dell'apparato statale e la distruzione delle sue capacità di riequilibrio sociale e di regolazione democratica. Le nuove Soprintendenze "olistiche" dovrebbero in sostanza meglio sostenere la pressione del silenzio - assenso e dell'incardinamento all'interno delle prefetture: misure entrambe partorite dallo stesso Governo che ora si inventa questi contrappesi.
Viene ripresa, a sostegno dell'unificazione, la tesi tanto cara a politici, stampa ed amministratori locali, secondo la quale gli organi di tutela sarebbero spesso in contrasto l'uno con l'altro, portatori, insomma di istanze diverse e per questo causa di ritardi incompatibili con le superiori ragioni dello sviluppo territoriale. Che si tratti di competenze diverse e che la stessa area-monumento, addirittura oggetto possa avere esigenze diverse a seconda di queste competenze, non è frutto del relativismo soggettivistico di singoli Soprintendenti o funzionari, ma semplice dato di fatto oggettivo. Altrettanto semplice - e rapidissima - la soluzione: laddove esistano dei contrasti di fronte a richieste di trasformazioni territoriali di ogni tipo, deve prevalere l'istanza di tutela più ampia e quindi il parere conformato al principio di massima precauzione.
Con questa riforma, invece, a decidere su queste richieste - qualunque sia il monumento /area interessata - sarà un unico Soprintendente di competenze fatalmente non adeguate alla complessità dei casi e, nella totalità delle situazioni territoriali attuali, privo di idonei strumenti, in termini di personale, archivi, laboratori, risorse economiche. E, per sovrannumero, a sua volta dipendente da un'autorità superiore - il Prefetto - del tutto ignaro dei contenuti tecnico scientifici e dei meccanismi che governano l'esercizio della tutela.
Il risultato finale sarà - inesorabilmente - quello di un appiattimento verso il basso del livello della tutela, con una inevitabile evoluzione della figura del Soprintendente Unico in quella di un mediatore fra le diverse esigenze e pressioni politiche del territorio di competenza. E ogni "mediazione" fatta sulla pelle del territorio è una mediazione al ribasso. Ed è anticostituzionale, come ci ha spiegato attraverso innumerevoli sentenze la Corte Costituzionale, ribadendo come il paesaggio costituisca un "valore primario e assoluto", la cui tutela "precede e comunque costituisce un limite agli altri interessi pubblici" (sentenza n. 367/2007).
Lungi dal porre un argine al silenzio-assenso e alla subordinazione delle Soprintendenze alle Prefetture - i nuovi Uffici Territoriali Unici - questa seconda fase delle riforma rischia di condannare alla definitiva paralisi strutture che da mesi - dall'entrata in vigore del DPCM 171/2014 - si dibattono in difficoltà gestionali drammatiche: senza alcuna chiarezza quanto ad organici, suddivisione di competenze e di risorse. L'entrata in vigore della prima fase della riforma, infatti, è avvenuta nel segno dell'improvvisazione e della mancanza di regole chiare e univoche ed ha mostrato, da subito, gravi carenze d'impianto. Invece di procedere ad una revisione - correzione di rotta, con questo nuovo decreto, si accelera verso l'entropia.
L'archeologia, in particolare, è, in questa seconda fase, il settore maggiormente interessato dai cambiamenti: non solo per la soppressione delle Soprintendenze archeologiche, ma per lo smembramento della più importante (e ricca) Soprintendenza Archeologica italiana, quella di Roma, ridotta ad uno spezzatino (progetto che meriterà un'analisi specifica). Non è tutto: a dir poco inquietante è la notizia, riportata da più fonti, secondo la quale nella nuova versione del Codice sugli appalti che si sta mettendo a punto, sarebbero eliminati gli articoli relativi all'archeologia preventiva, il ridotto apparato normativo che a tutt'oggi regola oltre 6000 cantieri di scavo all'anno. Già ultimi, fra i paesi europei, per quanto riguarda la legislazione di questo settore cruciale, unici ad averne limitato la validità alle sole opere pubbliche, arrivati, con 24 anni di ritardo, ad una ratifica della Convenzione di Malta di pura facciata, ci ritroveremmo, in questo caso, in una situazione di totale deregulation.
D'altro canto, anticipando, nell'agosto 2014, il famoso SbloccaItalia, il premier l'aveva annunciato col seguente slogan: "Mai più cantieri fermi per ritrovamenti archeologici" (La Repubblica, 15 agosto 2014). Quest'accanimento verso l'ultimo, seppur debole, ostacolo alle mani libere sul territorio, sarebbe dunque di diretta ispirazione renziana, come vociferano i rumors di Palazzo.
Se davvero il Ministro Franceschini ha “subito” questa riforma ha ora l'occasione -l'ultima – di dimostrare quanto davvero abbia a cuore la tutela del patrimonio e la difesa delle prerogative del suo Ministero. Blocchi quest'ultimo decreto, se non altro in nome della necessità di un confronto allargato con chi, negli ultimi decenni, ha retto sul campo - con pochi mezzi e ancor meno riconoscimenti - le sorti del nostro patrimonio culturale.
E magari - in quest'operazione di ascolto - sia affiancato da un Consiglio Superiore dei Beni Culturali, conscio del proprio ruolo.
In alternativa, ai membri del Consiglio, non rimarrebbe che una sola via d'uscita. E non sarebbe nemmeno difficile trovare modelli di riferimento, che, ad ogni buon conto, richiamiamo come ausilio alla memoria:
"Onorevole Signor Ministro,
[...] Le mie dimissioni sono dovute, in effetti, al disgusto per il modo come il Consiglio Superiore, che nel linguaggio burocratico è tuttavia designato come "Alto Consesso", viene fatto funzionare, con discredito per questo organo; e alla volontà di non condividere più oltre, anche in parte minima, la responsabilità che l'Amministrazione delle Antichità e Belle Arti è costretta ad assumersi, e si assume, nella progressiva distruzione delle caratteristiche della civiltà artistica italiana. [...] Ma anche con l'attuale legislazione si potrebbe ottenere una salvaguardia molto più efficace, ove da parte della Direzione Generale e del Gabinetto vi fosse la effettiva e costante volontà di opporsi agli attentati che da tante parti vengono portati alle caratteristiche delle nostre città e del paesaggio italiano.
[...] Conosco perciò le pressioni che da parte di tutte le autorità della classe dirigente italiana (gruppi finanziari, autorità ecclesiastiche, prefetti, sindaci e parlamentari) vengono esercitate sui locali uffici e sul Ministero, sempre in un solo senso: perché, cioè, si deroghi alle leggi predisposte per la tutela artistica, storica e panoramica; so che i funzionari regionali delle nostre Soprintendenze conducono con tenacia e coscienza una lotta impari contro le pressioni e che la Direzione Generale potrebbe trovare il più valido appoggio nel Consiglio Superiore. Ma [...] il Consiglio Superiore è oggi tenuto [...] quale strumento per avallare e coprire decisioni già prese, spesso provocate da pressioni che possono dirsi politiche solo nel senso deteriore del termine, cioè del tutto particolaristico e clientelistico. L'esperienza , sempre più aggravata negli ultimi dieci anni, ha mostrato che nessuna seria garanzia è data ai componenti del Consiglio Superiore di trovare nell'autorità ministeriale la massima tutelatrice e interprete della legge nell'interesse comune.
[...] si pone il Consiglio Superiore dinanzi a decisioni già prese e a impegni già assunti nello stesso momento nel quale al Consiglio viene richiesto di pronunziarsi in merito. I casi del villaggio CEP di Sorgane e del cosiddetto Parco della CIA Appia sono, di tale prassi, solo gli esempi più clamorosi; [...]
Ma tutti coloro che hanno sensibilità storica e artistica e senso della decenza e che si preoccupano anche dell'importanza che nel nostro Paese assume l'elemento turistico, sanno, in Italia e ormai purtroppo anche fuori d'Italia, che l'Italia si sta distruggendo giorno per giorno, e che tale distruzione solo in casi isolatissimi è inevitabile conseguenza dei mutamenti tecnici, economici, e strutturali della civiltà moderna: nella maggior parte dei casi è conseguenza del prevalere degli interessi della speculazione privata e della grossolanità culturale della attuale classe dirigente italiana.
I due anni di appartenenza al Consiglio, mi hanno convinto della assoluta inefficacia della mia appartenenza a tale organismo e quindi ne traggo le logiche e oneste conseguenze."
Queste righe di inalterata attualità, quasi alla lettera, risalgono al 28 maggio 1960. Ed era un archeologo.
Ma soprattutto, era Ranuccio Bianchi Bandinelli.