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Alberto Asor Rosa
Le scelte legittime ma illegali
14 Aprile 2004
I tempi del cavalier B.
Questo governo utilizza meccanismi democratici per un´azione eversiva dell´ordinamento giuridico esistente - L´Italia non è più una Repubblica parlamentare, ma un dominio assoluto di Berlusconi. La posizione di Alberto Asor Rosa, da la Repubblica del 26 agosto 2002.

Caro direttore, converrebbe approfittare della pausa ferragostana, ora che gli esercizi muscolari si sono conclusi e in attesa che ricomincino quelli autunnali, per usare la logica, che è pratica mentale fredda e distaccata, e per ciò in Italia sempre poco popolare. E la logica, di fronte all´infuriare delle confusioni e dei veti reciproci, impone di fissare alcuni punti preliminari. Dunque, la prima domanda è: possono un governo e una maggioranza parlamentare legittimamente investiti compiere azioni e decidere scelte palesemente illegali? La risposta è: sicuramente sì.

Esempio (non del tutto immaginario): potrebbero decidere legittimamente, e cioè a colpi di leggi, di limitare o addirittura sopprimere le manifestazioni di piazza, con la pretesa magari non palesemente infondata, di garantire l´ordine pubblico e di evitare rischi ai cittadini (le opposizioni, certo, griderebbero all´incostituzionalità - ma non è appunto lo sforamento continuo della "costituzionalità" da parte della "legalità" ciò cui sempre più si assiste da un anno a questa parte nel mondo occidentale?).

Seconda domanda: tutto ciò che un governo e una maggioranza decidono legittimamente, cioè secondo le regole, è legale? La risposta è: evidentemente no. La storia del Novecento è piena di governi e di parlamenti, del tutto legittimamente investiti, che hanno deliberato legittimamente, ossia secondo le regole, forti limitazioni e in taluni casi persino la soppressione delle regole democratiche, quelle stesse, appunto, sulle quali si erano fondati originariamente la loro legittimazione e il loro stesso modo di procedere.

Fra questo sì e questo no - che, naturalmente, come in tutte le procedure logiche hanno alle due estremità due, per l´appunto, casi estremi - si stende la gamma infinita delle possibilità, delle scelte di governo e di maggioranza, per cui la democrazia e la giustizia, oltre che brutalmente soppresse dall´esterno, possono essere limitate, ridotte, snaturate, mortificate e in pratica rese inoperanti anche mediante metodi democratici.

Fra questo sì e questo no ha oscillato, anche, il pratico comportamento del governo italiano e della maggioranza che lo sostiene dal giorno in cui, nel maggio 2001, l´investitura popolare ha conferito loro piena legittimità secondo le leggi vigenti: essi, cioè, hanno assai frequentemente utilizzato i meccanismi democratici per un´azione che potrebbe tecnicamente definirsi, più che riformatrice, eversiva dell´ordinamento giuridico esistente, in più punti, direi, ma su di uno in modo particolare (o almeno in modo più vistoso), che è quello per cui le leggi non si fanno mai per giovare a uno solo (o al massimo due) ma all´intera collettività. La questione, dunque, mi permetto di ricordarlo, non è solo procedurale ma di sostanza (altrimenti, corriamo il rischio che, con il più corretto e vasellinato uso delle regole, si arrivi a un capovolgimento radicale senza che neanche ce ne accorgiamo).

Di questi modi di procedere ce n´è ormai una catena, ma fermiamo un momento l´attenzione, caro direttore, sul caso ultimo e più bruciante, che è quello del cosiddetto "legittimo sospetto". A parte le perplessità che si possono in generale nutrire nei confronti di questo singolare concetto giuridico (se è "legittimo" come fa ad essere "sospetto"? e se è "sospetto" come fa ad essere "legittimo"? io, da ignaro, pensavo che i codici si fondassero sulle "ragionevoli certezze", altrimenti "dubbio" e "soggettività" potrebbero pervadere ogni comportamento giudiziario, con quali effetti si può immaginare), esiste ormai la provata certezza che la legge in gestazione serve fondamentalmente a salvare il presidente del Consiglio S.B. e il suo compagno di giochi e svaghi estivi P. dalle conseguenze del processo di Milano. La scansione temporale degli eventi e la necessità assoluta che la Camera dei deputati finisca il suo lavoro prima che i giudici milanesi finiscano il loro lo provano ormai con evidenza inconfutabile. Del resto, molti esponenti della Casa delle libertà lo hanno detto più volte apertamente, persino con il piglio ilare ed energetico di chi non ha né timore né pudore di andare all´offensiva: occorre salvare il premier, e conseguentemente il suo presunto complice dalla persecuzione politica delle "toghe rosse", ora, a proposito del "legittimo sospetto", ma in futuro e per sempre (tanto per mettere le mani avanti), a proposito di qualsiasi consimile legge.

È incalcolabile il vulnus che in questo modo viene operato a tutti i livelli istituzionali e in tutti i settori dell´opinione pubblica. Se infatti venisse revocato in giudizio il principio dell´imparzialità dei giudici - che in linea di principio, appunto, può anche esser considerato una finzione, ma una di quelle finzioni, che consentono al nostro sistema di sopravvivere - ne sortirebbe un effetto a catena devastante e si potrebbe revocare in giudizio da parte di chiunque qualsiasi principio d´imparzialità istituzionale, da quella del presidente della Repubblica a quella dei due presidenti delle Camere a quella dello stesso presidente del Consiglio a quella di ogni professore, poliziotto, medico della Asl, insegnante, vigile urbano, piccolo burocrate di Stato - e il sistema non potrebbe che sfasciarsi e cadere. Tutti parziali politicamente e personalmente - dunque tutti "legittimamente sospetti" - e dunque tutti allo stesso modo, alla luce dell´interesse personale di chi di volta in volta li giudica, ricusabili in ogni istante e in ogni segmento della vita pubblica nazionale.

Di questo processo, che è in atto, mi colpiscono tuttavia, caro direttore, non tanto il comportamento e il destino personali delle parti più direttamente in causa, e cioè il presidente del Consiglio S. B. e l´amico P., che bene o male, si difendono come sanno e come possono, ma l´adesione totale, massiccia, appassionata e persino, direi, entusiastica dei parlamentari della Casa delle libertà ad una causa come questa, - parlamentari che, per tornare alle mie premesse, senza esitare un istante, rispondono unanimemente e infallibilmente "sì" laddove bisognerebbe rispondere "no" e "no" laddove bisognerebbe rispondere "sì". Com´è possibile che, a favore di questa estrema, abnorme, mai vista "personalizzazione" e "soggettivizzazione" del diritto - con tutti gli effetti giuridici e comportamentali perversi che, a cascata, ricadono sull´intera comunità nazionale - si schierino, non solo i componenti di quel Partito-Azienda, di cui S.B. è al tempo stesso Capo e Padrone, e non solo i rappresentanti di formazioni il cui obiettivo strategico dichiarato è la dissoluzione (in senso proprio) dell´organismo politico-istituzionale nazionale, ma anche gli esponenti di una tradizione politico-culturale, che ha sempre privilegiato, nel bene come nel male, l´autorità e la dignità, anche molto coercitive al caso, dello Stato, e quelli di un´esperienza politico-culturale di stampo liberaldemocratico, che ha le sue radici, come la nostra, nella Costituzione? Se questo si verifica - ed è ciò che si verifica - significa, non che qualcosa sta per avvenire, ma che qualcosa è già avvenuto.

Chiedo, caro direttore, di riflettere di più su questo punto: è già radicalmente cambiata, rispetto alla tradizione parlamentare italiana, e, quel che è peggio, senza nessun esplicito riassetto istituzionale, la natura del rapporto che lega il premier allo schieramento maggioritario che lo sostiene.

Se il centro-sinistra non ha un leader, il centro-destra ne ha uno che lo possiede integralmente e ne fa ciò che vuole. Vale la pena di rammentare che nel maggio 2001 gli italiani non hanno votato un presidente del Consiglio, ma uno schieramento di partiti che lo sosteneva, tuttavia senza vincoli obbliganti per il Parlamento a venire. Oggi la forzatura politico-istituzionale è diventata clamorosa: si è creato un vincolo indissolubile, e a partire dalle materie più scivolose (e anche questo è un dato estremamente significativo: litigano su tutto, meno che sulle leggi salva-presidente), fra le sorti della maggioranza e quelle, non solo politiche, ma personali, e persino giudiziarie, del premier, figura dunque non più "remissibile" parlamentarmente, neanche di fronte al più clamoroso dei "legittimi sospetti".

Anche in questo caso funziona perfettamente la prova a contrario. Niente, infatti, impedirebbe che, stante la legge vigente, la Casa delle libertà doppiasse brillantemente il Capo Horn della giustizia e del conflitto d´interessi, investendo della presidenza del Consiglio un altro dei suoi più autorevoli rappresentanti. Non dovrei dirlo (ma lo dico ugualmente, perché penso che le derive catastrofiche non servano a interessi che possono ben dirsi nazionali), ma se lo facesse il centro-sinistra, che passa attraverso questa bufera "resistendo", ma in perdurante crisi di progetto e di leadership (il movimento non sostituisce mai né la riflessione né l´azione), perderebbe in questo momento il novanta per cento dei suoi argomenti migliori. Se non lo fa, è perché non può. Già oggi, infatti, l´Italia non è più una Repubblica parlamentare, ma un ibrido politico-costituzionale, in cui alla legittimazione popolare originaria si sovrappone, fin quasi a cancellarla, l´assoluto dominio, anzi, l´indiscutibile e indiscusso «possesso» della propria maggioranza da parte del premier in carica, il quale dunque dev´essere salvato ad ogni costo perché ne va dell´intera esperienza - e questo i suoi protagonisti, checché ne pensino in interiore homine, non sono più disponibili ad accettarlo in nome di un principio astratto, che è - pensi un po´, caro direttore - la salvaguardia dello Stato di diritto (da rimettere al posto della salvaguardia del presidente).

Se c´è una logica anche in politica, l´unica ricaduta possibile di questo stato di cose è, in prospettiva non lontana, la traduzione in termini anche formali e organizzativi di quel che, anche in questo caso, già c´è, e cioè il partito unico del centro-destra (con l´esclusione, forse, dei "lumbard", i quali fanno meglio il loro lavoro restando fuori). Si realizzerebbe così la perfetta quadratura del cerchio tra presidenza del Consiglio - maggioranza parlamentare - in prospettiva presidenza della Repubblica - e paese (considerato tuttavia ormai come il mero destinatario del messaggio presidenziale), creando, insieme con altre cosette marginali, come un´enorme ricchezza personale e il controllo di tutti i più importanti media, una potenza politico-economico-giuridico-giudiziaria pressoché illimitata e del tutto incontrollabile.

Per tornare alle battute iniziali: era proprio questo che il popolo italiano, e persino i potentati economici, volevano, votando S.B. e Casa delle libertà nel maggio 2001? È proprio questo che vogliono ora tutti i rappresentanti della Casa delle libertà nel Parlamento e nelle istituzioni? Queste sono le domande che i saggi, i prudenti e gli onesti uomini, fitti oggi come non mai, ci suggeriscono di aspettare a porre nel momento in cui sia diventato perfettamente inutile farlo.

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