Cinque anni di governo una grande opera l'hanno portata a termine: la costruzione del balcone mediatico che il presidente del Consiglio usa per parlare al popolo. Entra nelle nostre case a ogni ora del giorno e della notte per dettare l'agenda della politica. Se non ha niente da dire ai giudici fa lo stesso, le telecamere lo inseguiranno, i telegiornali gli faranno da grancassa, i talk show lo serviranno come un piatto di spaghetti fumanti, le opposizioni saranno costrette a inseguirlo sul suo terreno, i giornali a riempire le prime pagine, finché l'opinione pubblica sarà convinta che è importante farsi un'idea sulla comparsata tribunalizia del Cavaliere. La macchina virtuale costruita in tutta una vita e modellata negli ultimi cinque anni per dotarla di un motore turbo-elettorale, viene spinta al massimo. Berlusconi dilaga, gli alleati ridono a denti stretti del loro mister Fregoli che finisce la serata con una telefonata a Ballarò, dà il buongiorno a Unomattina, fa una pausa a Isoradio, prenota il massimo share al Tg1, prende appuntamento per una sosta di quattro ore a Rai2 e Canale5. E la prossima settimana si ricomincia. Una ricca riserva per i prossimi mesi di Blob.
Mentre il presidente della Repubblica, nel ricevere la commissione parlamentare di vigilanza, pronuncia davanti ai rappresentanti del Parlamento, il suo alto richiamo al pluralismo dell'informazione, il presidente del Consiglio vortica come una falena sotto la luce delle telecamere occupando ogni fessura del palinsesto. Un drammatico paradosso istituzional-politico-mediatico: tanto più le parole di Ciampi sottolineano l'impegno della sua presidenza sulla regola fondamentale della democrazia (la libertà di espressione e le pari opportunità dei soggetti politici), tanto più risalta la sordità di una classe di governo, prona al predominio berlusconiano e dunque sorda al richiamo del Quirinale.
Una politica che costruisce la sua casa nel recinto delle quattro mura di Porta a porta, una classe dirigente che crea il suo habitat nel piccolo schermo, ne resta prigioniera. Fuori della tv, nel mondo degli umani, dove i metalmeccanici testimoniano una piazza reale, i politici sono stranieri. Il loro mondo è l'altrove dello schermo, e quando il più furbo, il più ricco, il più illiberale di loro se ne impossessa, non sanno come uscire dalla prigione dorata che hanno costruito. Non è facile aprire una via di fuga, anche perché un'altra strada, un altro modo di essere non ha cittadinanza da molti anni. La sinistra è rimasta vittima della sindrome berlusconiana, assimilandone la linfa, vitale per il re della pubblicità, esiziale per i suoi antagonisti. Quando Fausto Bertinotti stringe la mano all'avversario, convinto di aver fatto una bella figura, è già fregato perché lui ha discusso, parlato, spiegato dentro una cornice che intitolava il match «Il liberale e il comunista», come se il duello fosse tra la Libertà e la Solidarietà, due buone sorelle. Senza sospettare che di Grande Sorella ce n'è una sola ed è figlia unica. Dove sono i giornalisti del servizio pubblico? E come reagiscono i vertici radiotelevisivi? A sentire il presidente della Rai, la par-condicio è sostanzialmente rispettata, come se l'informazione fosse solo una questione di minutaggio delle presenze di leader e partiti. Ma Petruccioli li vede i telegiornali? Sono le vetrine di un'azienda superlottizzata che offre i suoi frutti avvelenati. Così nessuno può scagliare la prima pietra per rompere lo schermo incantato, e chi ci ha provato è stato preso a pedate nel sedere, come ricordava, qualche sera fa, con soddisfazione, Giuliano Ferrara davanti al presidente del Consiglio. Forse ci salverà l'effetto-nausea. Solo Berlusconi può affondare Berlusconi.