«Siamo a qualcosa di peggio». Lo dice Tina Anselmi l’indimenticata e coraggiosa presidente della Commissione P2, in un’intervista all’Espresso del 23 febbraio. L’intervistatrice Chiara Valentini ricorda all’Anselmi la durezza del suo esordio politico, ai tempi del «duello all’ultimo sangue tra Togliatti e De Gasperi». E prontamente l’ottuagenaria ma non domata signora risponde: «Adesso siamo a qualcosa di peggio. Oggi c’è chi rifiuta le modalità della democrazia». Dice: «Quando presiedevo la Commissione della P2 ho avuto pressioni, minacce, denunce, sette chili di tritolo davanti casa, era una vita impossibile, ma Papa Wojtyla, mi ha detto battendomi una mano sulla spalla: “Forza, forza”. Nell’elenco di Gelli c’era una buona parte di quelli che contavano, uno spaccato tremendo del Paese. Ma ben più grave è che molti uomini della P2 siano passati indenni da quegli anni. Basti ricordare l'attuale presidente Berlusconi, tessera P2 1816. E il suo aiutante, Fabrizio Cicchitto, tessera P2 2232».
Se in tempo di quote rosa si ammettesse che, oltre ai “padri”, ci sono anche le “madri della Patria”, quel titolo spetterebbe certo alla cattolica democratica Tina Anselmi. Per il coraggio che ha avuto, e per il coraggio che ha. Perché anche adesso il semplice menzionare un nome e una tessera P2 porta, come conseguenza immediata, di essere definiti «giornalisti criminali» e «testata omicida», con accuse di contiguità al terrorismo politico o al terrorismo islamico.
Eppure le due tessere P2 sopracitate corrispondono, nell’ordine, a colui che si proclama l’uomo nuovo destinato da Dio a cambiare il Paese (lo ha cambiato, purtroppo, e anche senza essere credenti c’è da dubitare che Dio sia coinvolto con lui, con Dell’Utri e con Previti in questo umiliante cambiamento). E al portavoce del premier che appariva ogni giorno nei telegiornali di Stato per redarguire la sinistra sulla scarsità di senso morale, al tempo in cui andavano quotidianamente in onda notizie false sulle scalate Ds alle banche.
I n quel tempo il buon avvocato Mills, destinatario di un anticipo di seicentomila dollari misteriosamente giuntogli dall’Italia, non aveva ancora parlato, non aveva ancora indicato il mittente della sua fortuna.
Se vi fermate un momento a riflettere, notate questo: tutti gli uomini del presidente (in particolare gli intimi) sono identificati o da una tessera P2 o da grandi somme di denaro, distribuite, assegnate o transitate per una ragione o per l’altra.
Per questo Tina Anselmi dice, dopo aver ricordato i suoi tempi terribili, «adesso siamo a qualcosa di peggio».
Ma mettetevi nei panni di un normale lettore o lettrice dell’intervista Valentini-Anselmi. Molti constateranno di non avere mai sentito, da quando esiste questo governo, un simile discorso alla radio o alla televisione italiana. Infatti la campana di vetro che isola l’Italia da ciò che realmente accade, attraverso il controllo ferreo delle notizie (Tg e talk show, le altre fonti dissuase o intimidite, se necessario, con pesanti denigrazioni o minacce) produce la percezione di una realtà alterata in cui chi si ostina a dire le cose così come sono, appare un persecutore e anche un testardo.
Infatti la realtà offerta dai Tg è completamente diversa. Al punto che il presidente del Parlamento Europeo Josep Borrell che vede gli eventi senza il filtro malato della Tv italiana, si è accorto subito delle dichiarazioni para-naziste di Romagnoli (uno dei nuovi alleati fascisti di Berlusconi, secondo i patti siglati a Palazzo Grazioli, sede privata del Governo) e del suo disprezzo della Shoah, ha subito dichiarato la sua incredula indignazione.
Molti italiani sarebbero stati colti di sorpresa da quella dichiarazione, se il presidente Ciampi, lo stesso giorno, di sua iniziativa, non si fosse recato alla Sinagoga di Roma per dire: «Un uomo della mia generazione non dimenticherà mai il rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma, non dimenticherà mai la Shoah».
Ora non crediate che Carlo Azeglio Ciampi si sia trovato a passare per caso sul Lungotevere, e abbia pensato di passare a fare una visita al suo amico livornese Elio Toaff.
Una ragione c’era, anche se manca nelle notizie italiane: arrivano i fascisti, e fanno campagna elettorale, per la prima volta nella storia democratica italiana, con un leader che viene dalla P2 e che va in giro spacciandosi per “liberale” (come scrivono benevolmente di lui sui muri di “Porta a Porta”).
Ci sono anche collaborazionisti (più o meno consapevoli) della destra che si fanno trovare a bruciare bandiere di Israele (un Paese la cui distruzione viene continuamente invocata) in coda al corteo di un partito che figura nella coalizione guidata da Romano Prodi.
Prodi ha messo subito per iscritto, in una lettera a Giorgio Gomel e al gruppo Martin Buber, la sua recisa e incondizionata condanna per quella umiliante e incivile iniziativa. Si può capire l’imbarazzo di Berlusconi. Berlusconi non potrebbe scrivere quella lettera. Ha preso ben altri impegni con certi fascisti che, ancora adesso, si collegano direttamente alla Repubblica di Salò, e dunque anche alle leggi razziali.
Ma qualche altro “liberale” della sua parte (o qualche cattolico fervente, come Casini) avrebbe potuto dedicare un minuto di attenzione alle squadre fasciste che si sono adunate a Palazzo Grazioli per fare il “saluto ad Arcore” e comunicare, almeno, un po’ di disaccordo. Invece continuano a parlare di Vladimir Luxuria, come se essere transessuale fosse un reato. Lo sarà, forse, se dovesse vincere, con i suoi fascisti a bordo, accanto a Casini e a Pera, la Casa delle Libertà.
C’è un film dvd di Enrico Deaglio che sarà distribuito con il settimanale «il Diario» il primo marzo, e poi nelle librerie Feltrinelli. Contiene un documento che è importante vedere. È l’intera sequenza della seduta del Parlamento Europeo che ascolta Berlusconi nel giorno infausto in cui si è insediato alla guida del semestre italiano.
Di quell’evento è restato un senso di profondo imbarazzo in Italia, perché a nessuno piace mostrare in pubblico di aver meritato un simile primo ministro. Ma il nostro imbarazzo era motivato da brevissimi flash di telegiornale così cautamente contenuti che il Tg 1, per esempio, aveva soppresso la voce dei protagonisti e l'aveva sostituita con la narrazione fuori campo, durata comunque pochi secondi.
Che cosa è realmente accaduto? Lo vedrete nel dvd che mostra l’intera vicenda. È accaduto che il capo del governo italiano ha dato del nazista («Kapò») al deputato tedesco Martin Schultz, capogruppo dei socialisti in quel parlamento. La ragione della scenata di Berlusconi è familiare agli italiani. Schultz si era permesso di fare delle critiche e di alludere al gigantesco conflitto di interessi di Berlusconi che, fuori dall’Italia, continua a provocare meraviglia, disagio e anche disprezzo a causa dell’evidente illegalità. Di fronte a quelle critiche - durate in tutto un paio di minuti e contenute nel più tradizionale linguaggio parlamentare - Berlusconi ha perso la testa ed è passato all’insulto violento, con parole volgari e gridate. L’evento è servito molto ai parlamentari europei. Hanno colto al volo l’incapacità di governare di Berlusconi, che infatti ha prodotto, nel semestre italiano, soltanto circostanze penose, negative o ridicole.
Ma hanno visto anche - dietro la finzione dell’eterno sorriso da venditore - una genuina cattiveria, una vera e non controllabile voglia di vendetta (che del resto questo giornale conosce bene, se pensate alle accuse costantemente sollevate contro chi non ha mai accettato di considerare Berlusconi un normale avversario e si è sentito costretto a insistere sul pericolo per la democrazia che il conflitto di interessi provoca con la sua infezione e la sua estraneità alla legalità).
Ma è necessario vedere il film di Deaglio perché nessuno di noi, in Italia, ha mai visto l’intera, umiliante sequenza, ha mai ascoltato i boati di indignazione dei parlamentari europei, ha mai visto la faccia esterrefatta di Prodi che ascolta, ha mai potuto sostare sui primi piani del presidente Cox, che appariva offeso e desolato, ha mai potuto ascoltare le sue parole. Vedendo il film apprenderete ciò che la Tv italiana ci ha negato, negando una pagina rilevante del giornalismo contemporaneo.
I parlamentari europei insorgono. Quando Parla Schultz lo applaudono in piedi per più di un minuto. Quando parla Berlusconi gridano e protestano, non per impedirgli di parlare, ma per le cose incredibili che ascoltano. Ascoltano sarcasmo, maleducazione, offesa e rifiuto di scusarsi. Invano il presidente Cox, che notoriamente non è di sinistra, ha offerto a Berlusconi una seconda occasione di prendere la parola. Il premier ha ripetuto e deliberatamente peggiorato le cose che aveva già detto. La reazione del Parlamento è stata di aperto rigetto. Niente di tutto ciò era stato visto in Italia, dove anche coloro che avevano giudicato severamente l’evento erano stati lasciati con l’impressione di un momento sbagliato o difficile in un incontro altrimenti normale. La verità è che si è trattato di un disastro di immagine gravissimo, irrimediabile. E solo un uomo prepotente e ricco è in condizione di bloccare l’informazione nel suo Paese, una informazione tanto importante su un fatto così clamoroso. Attraverso la pesante intimidazione, oppure l’amicizia conveniente, oppure la paura preventiva è stato reso possibile il quasi silenzio.
Ho ripensato a questa sequenza proibita quando all’improvviso, nel corso di una puntata di «Otto e mezzo» il senatore Debenedetti ha detto a Berlusconi, che era accanto a lui in trasmissione: «Lei ha spaccato l’Italia».
La frase semplice e inequivocabile ha provocato un effetto dirompente. Il presidente-padrone è abituato alle lodi di corte o alla prudenza di chi conosce il suo istinto vendicativo. E, purtroppo, al silenzio dei giornalisti. In quel caso lo ha bloccato lo stupore. E, solo dopo, il furore. Ma questo, almeno, in Italia si è visto anche se Berlusconi non è sembrato in vena di perdonare la sorpresa. Berlusconi sa che, a causa del conflitto di interessi, è in grado di interferire in qualunque campo o attività imprenditoriale. Parlo delle imprese che controllano i giornali. Questo fatto, che è fuorilegge, spaventa e zittisce molti fra coloro che dovrebbero raccontare, interrogare, sollevare obiezioni.
Nei libri di storia italiani si ricorderà che la potente macchina illegale messa in funzione da Berlusconi e dai suoi associati - scelti a uno a uno dal condannato in primo grado Marcello Dell’Utri anche per le prossime elezioni - non ha potuto funzionare sui magistrati. «Delira», hanno detto di lui venerdì senza esitare i Giudici dell’Associazione Nazionale Magistrati, quando Berlusconi è tornato a dichiararsi vittima di persecuzione delle toghe rosse.
Parlando a Perugia, alla folla fatta pervenire sul posto per le riprese televisive, Berlusconi aveva appena assicurato i suoi: «Non me ne andrò finché non sarò riuscito a cambiare la magistratura». Vuol dire: metterli a tacere. I suoi elettori che - avrete notato - lo applaudono in continuazione ma, perfino loro si fermano stupiti e in silenzio quando lui ha il coraggio di dire: «Ho mantenuto tutti i punti del mio contratto», sanno che quella di far tacere i Magistrati è l’unica promessa che Berlusconi, se rieletto, si impegnerà davvero a mantenere.
Ciò rende ancora più urgente il voto di tutti i cittadini democratici, in qualunque parte si riconoscano, per chiudere l’epoca della illegalità e per informare i parlamentari e governi europei che l’Italia è tornata, che il Paese è uscito da una tremenda condizione di rischio. Come dice Tina Anselmi, «peggio della P2».