Anche quest’anno è arrivato ottobre, e si continua a girare in maglietta, almeno nelle ore centrali della giornata, come se si fosse finalmente avverata la millenaria profezia delle vecchie zie: non ci sono più le mezze stagioni! Per fortuna qualche segnale dell’alternarsi eterno delle stagioni ce lo dà il capitalismo, nella sua versione civiltà dei consumi, che propone sugli scaffali del supermercato le classicissime pesche stoppose e insapori, o l’impennarsi dei prezzi unito al crollo di gusto dei pomodori.
Sempre sui medesimi scaffali, a confermare l’arrivo dell’autunno spuntano le patate dolci o americane, quelle bitorzolute di solito a buccia beige di cui non si sa mai bene cosa fare. Io le compro da anni soprattutto per infilarne una dentro a un vaso di vetro pieno d’acqua, e poi passare tutta la buia stagione invernale ripulendo la cascatina di foglie che ne spunta dopo qualche giorno, e ogni tanto aggiungendo un po’ di liquido. Innocenti evasioni.
Dato che al supermercato la perfida grande distribuzione ci obbliga però a comprarne un intero vassoio, di quei tuberi bitorzoluti, resta il problema di cosa farsene del resto. Un buon metodo per risolverlo è quello del purè di patate dolci, non solo variante esotica di quello comune, ma anche modo per accompagnare molto meglio certi piatti. Ingredienti semplicissimi, oltre alle patate: sale, olio d’oliva, latte di soia o riso. Le dosi variano a seconda dei gusti personali e del modo di consumo, ma più o meno per una persona bastano e avanzano un paio di patate medie, e col resto naturalmente ci si regola a occhio (mi spiace se siete il tipo di persone che non sa neppure scaldarsi l’acqua del tè: affidatevi alla vostra badante).
Preparazione pure semplicissima, le patate basta lavarle, farle a pezzi e cuocerle a vapore in pentola a pressione 7-8 minuti. La buccia si leva dopo molto più facilmente. Tagliare ancora in pezzettini più piccoli e schiacciare bene con una forchetta (o usare il passaverdura se poi vi piace scrostarlo, o il frullino, o non so cosa) aggiungendo via via sale, olio, latte di soia. Perché olio e latte “succedaneo” anziché burro e latte di vacca comune as usual con la schiacciata di tuberi della mamma? Perché l’olio – ne basta molto poco - aggiunge un po’ di gusto deciso e pungente che arricchisce il dolce delle patate, e il latte di soia è più leggero e dolce di quello munto. Con questi ingredienti poi non serve ripassare in casseruola.
Si può consumare così, come piatto unico se ci si accontenta (io mi accontento, se le patate sono tre o quattro), oppure accompagnare a formaggi dal sapore deciso, o a carni asciutte come certi tagli di maiale. In questo caso meglio abbondare un po’ col latte, e se si gradisce mescolare al tutto mezzo spicchio d’aglio lasciato a sobbollire una mezz’oretta nel latte. Buon appetito.