Non so perché solo Radio Radicale e Marco Pannella abbiano continuato a denunciare un colpo di mano di Berlusconi che, in apparenza, sembra più piccolo e marginale dei fatti distruttivi di questi giorni. Mi riferisco alle elezioni regionali in Sardegna. Ecco come l’inviato di Radio Radicale riassume, la mattina del 13 febbraio, ultimo giorno utile della campagna elettorale nell’isola, i dati di esposizione mediatica di questa ultima settimana: un’ora e 29 minuti dedicata a ciò che ha da dire Berlusconi e (in parte minima) il suo candidato Cappellacci. Un minuto e 59 secondi per Soru e per il Pd. La denuncia diventa più grave se la colleghiamo con un periodo d’intensa esposizione mediatica del presidente del Consiglio, circondato da quella dei suoi uomini, disposti a tutto quando si tratta di rendere impossibile il confronto democratico.
Se potessimo, dopo aver vissuto questi giorni di caos politico, rivedere la drammatica sequenza appena attraversata con l’espediente cinematografico di allargare l’inquadratura, ci accorgeremmo che, nell’ampio e rapido piano-sequenza che si è appena concluso, il dominio assoluto conquistato da Berlusconi nel quasi silenzio di tutti, in questa campagna elettorale, compare e ricompare come in un flash stroboscopico, accanto alla battaglia, solo apparentemente "ideale" e di "valori", della tormentata sequenza Englaro.
Non vorrei dare l’impressione di svilire la persuasione di chi si è sinceramente schierato dalla "parte della vita", definizione gravemente impropria però in buona fede per molti. Un atteggiamento di disprezzo di questo genere lo lasciamo a personaggi che, d’ora in poi, resteranno legati a ciò che hanno detto in Senato su "Eluana Englaro morta ammazzata" e sulle "mancate firme" assassine, personaggi come Quagliariello e Gasparri.
Resta il fatto che una prova elettorale essenziale per l’ultimo sigillo di Berlusconi al suo potere ormai solo formalmente democratico, una prova elettorale che, d’altra parte, potrebbe segnare il ritorno di iniziativa del Partito democratico, tale prova si è svolta tra due gravi e preordinati ostacoli.
Uno è stato il gioco abile di impedire l’agibilità della Commissione di Vigilanza cui spetta di dettare le regole mediatiche di un confronto elettorale. Il gioco ha richiesto errori di giudizio e di intervento di molte parti in causa ed è, senza dubbio, un gioco vinto da Berlusconi.
Buio alla Putin sulla campagna elettorale dell’avversario di Berlusconi, anche se quel buio è stato garantito dalla volenterosa collaborazione delle libere fonti di informazione della Rai.
Un altro ostacolo è stata la visibilità che Berlusconi si è assicurato con il suo efficace blitz intorno a un cadavere. La stessa persona che - sullo schermo piccolo - stava sfidando in modo insultante e incontrastato un avversario politico locale (avendo notato, nel suo gioco ben coordinato, l’importanza simbolica di vincere o perdere in Sardegna), quella stessa persona, Capo del governo e leader del partito dominante, ha prontamente interrotto in modo deliberatamente spettacolare l’apparente intesa e armonia con il Quirinale.
Ha interrotto, con altrettanta spettacolarità, ogni finto rispetto per la Costituzione e, nello stesso tempo, si è fatto notare come il candidato unico dei "valori cristiani". Come nei concitati eventi religiosi dell’antico Mezzogiorno italiano, alcuni uomini di Berlusconi sono entrati nella flagellante confusione della mischia accusando Napolitano e Beppino Englaro di essere i "boia" di una giovane donna in coma da diciassette anni.
Come nelle processioni, sono sembrati in preda a raptus emotivo ma in realtà avevano provato e riprovato la scena, misurando tutta la portata intimidatoria e distruttiva di ciò che stavano gridando.
A questo punto è intervenuto il ministro della Giustizia Alfano che ha messo il suo autorevole sigillo alla vicenda. Ha detto, in ora di massimo ascolto televisivo, "Eluana Englaro è morta di sentenza". Il gesto, apparentemente privo di responsabilità e di decoro da parte di un ministro della Giustizia, è stato invece attentamente calcolato come culmine di un controllo mediatico preordinato per dominare un’elezione, occupare in modo dirompente la scena, provocare uno scontro di Istituzioni e segnare un percorso senza ritorno: o guerra distruttiva o resa senza condizioni.
L’arma del delitto è il dominio mediatico finalmente incontrastato. Ammettiamolo: i Radicali, che non hanno mai distolto l’attenzione da questo punto, l’avevano detto.