C’è un rapporto inversamente proporzionale fra la popolarità di Silvio Berlusconi e la libertà d’informazione nel nostro Paese. E non dev’essere una coincidenza del tutto occasionale.
Mentre il premier-tycoon rivendica pubblicamente - ultimi sondaggi alla mano - di aver raggiunto (per ora) il 75,1 per cento dei consensi e di aver superato così anche il presidente americano "bello e abbronzato", Barack Obama, proprio dagli Stati Uniti arriva la notizia che l’Italia viene declassata per la prima volta da Paese "libero" (free) a "parzialmente libero" (partly free). Siamo l’unico caso nell’Europa occidentale, preceduti di una sola posizione dalla Grecia che però mantiene la valutazione "free". Né può confortare la constatazione di ritrovarci allineati, in questa assai poco edificante classifica, alla Turchia.
A dirlo, non sono però i soliti giornali di sinistra che riescono a ingannare nell’intimità familiare perfino la signora Veronica Lario in Berlusconi. Per ironia del destino, il giudizio sul governo del Popolo della libertà reca l’imprimatur di "Freedom House", la Casa della Libertà, l’organizzazione autonoma americana che esamina dal 1980, cioè da prima della fatidica "discesa in campo", lo stato dell’informazione in 195 Paesi di tutto il mondo. Si tratta, dunque, di una retrocessione su scala planetaria che relega l’Italia al settantatreesimo posto, dopo Benin e Israele.
Qual è esattamente la motivazione? Ecco il testo dell’inappellabile sentenza: "Nonostante l’Europa occidentale goda a tutt’oggi della più ampia libertà di stampa, l’Italia è stata retrocessa nella categoria dei Paesi parzialmente liberi, dal momento che la libertà di parola è stata limitata da nuove leggi, dai tribunali, dalle crescenti intimidazioni subite dai giornalisti da parte della criminalità organizzata e dei gruppi di estrema destra, e a causa dell’eccessiva concentrazione della proprietà dei media". Sono più o meno gli stessi argomenti che fanno scandalo quando li pronuncia Sabina Guzzanti dal palcoscenico, nel suo provocatorio spettacolo di satira e denuncia politica intitolato "Vilipendio".
A conferma poi del fatto che questa non è una mania nostrana né tantomeno un’ossessione, il verdetto di "Freedom House" cita esplicitamente la "concentrazione della proprietà dei media" e quindi la mai abbastanza vituperata legge Gasparri con cui il precedente governo Berlusconi introdusse norme che - secondo l’organizzazione autonoma americana - favoriscono l’azienda televisiva del medesimo Berlusconi. La conclusione, già ampiamente nota ai lettori di questo giornale, è che il nostro presidente del Consiglio possiede Mediaset e, attraverso il governo, controlla anche la Rai.
Per completezza dell’informazione, dobbiamo aggiungere che su un universo di 195 Paesi solo 70 sono classificati "free", pari a poco più di un terzo; 61 sono "parzialmente liberi", come noi; e 64 "non liberi". La situazione è particolarmente peggiorata, oltre che in Italia, nell’Est asiatico, a cominciare dalla Cambogia. Mentre nell’Europa occidentale, a giudizio di "Freedom House", i Paesi più liberi risultano - nell’ordine - l’Islanda al primo posto, poi al secondo la Finlandia e la Norvegia, seguiti da Danimarca e Svezia.
In attesa ora che la crescente popolarità di Berlusconi conquisti anche il residuo 24,9 per cento dei consensi, converrà magari programmare un viaggio verso Nord, ai confini della realtà, per verificare in loco le condizioni effettive della libertà di stampa. Chi vuole, eventualmente, può staccare il biglietto di ritorno anche dopo.