E’ qualcosa di emblematico nella burrasca che scuote il comitato per le celebrazioni dell´Unità d´Italia. Dopo le dimissioni del presidente Carlo Azeglio Ciampi, dettate da ragioni d´anagrafe, s´annunciano altre defezioni illustri, firmate da Dacia Maraini, Ugo Gregoretti, Marta Boneschi e Ludina Barzini. Tra i nomi dei dimissionari è circolato ieri anche quello di Gustavo Zagrebelsky, il quale però precisa: «Non esiste alcun atto formale. Siamo ancora in alto mare, non so bene come andrà a finire. Quel che posso esprimere è solo un sentimento di disagio».
Se è vero che anche le precedenti celebrazioni - nel 1911 e nel 1961 - si svolsero nel segno della disunità, queste del prossimo anno rischiano di saltare del tutto: anche per scarsa convinzione - da parte dei seguaci di Bossi, ma non solo - che vi sia qualcosa da festeggiare. Ora il nuovo contrasto, di cui non erano mancate le avvisaglie. Ma conviene procedere per ordine. Ciampi scrive una lettera di dimissioni a Berlusconi e Bondi dai toni molto sereni («Negli ultimi tempi sto avvertendo una riduzione delle mie energie, che si traduce in un senso di affaticamento, fisico e psicologico. Nulla di grave. Tutto in linea con... i dati anagrafici»). Una missiva che in sostanza riconosce al governo il merito di avere avviato le celebrazioni, e che dunque sembra sgombrare il campo da ogni malizia (ora, per la sua successione alla presidenza, si fanno i nomi di Giovanni Conso, Lamberto Maffei e Giuliano Amato).
Però alcuni "saggi" del comitato colgono l´occasione per annunciare il proprio ritiro. Tra questi Dacia Maraini, che sul sito dell´Espresso dichiara: «Con il passare dei mesi il ruolo del comitato è stato svuotato. Non contavamo più niente, non potevamo decidere niente. Mi sembrava poco dignitoso restare lì a fare la foglia di fico e così ho mandato una mail a Zagrebelsky, anche lui preoccupato per la deriva del nostro lavoro, dicendogli: "Ma che ci stiamo a fare?". Zagrebelsky ha scritto una lettera di dimissioni piuttosto dura e motivata, che è stata firmata da me, da Gregoretti e da Boneschi». Zagrebelsky mostra cautela: «È solo una situazione in movimento, la lettera è un documento privato». Di più lo studioso non vuole dire, anche perché «tradirei la riservatezza di altri membri del comitato».
Quel che si percepisce è il sentimento di inutilità diffuso tra i "saggi", messi da parte dalle autorità che guidano le celebrazioni. La Maraini racconta di aver provato a impegnarsi in prima persona con due proposte, una rassegna di film sul Risorgimento e una serie di iniziative sulla lingua italiana. «Nessuno mi ha mai risposto. Poi improvvisamente ci è stato detto che non c´era più una lira, che non si poteva fare più niente. Abbiamo continuato a vederci lo stesso, sperando di sbloccare la situazione, ma è stato inutile. In tutte le nostre riunioni siamo riusciti ad approvare una sola cosa, un disegno con tre bandierine che sarà il logo delle celebrazioni».
Anche il programma finora definito - il restauro dei monumenti, un museo virtuale del Risorgimento, un paio di convegni e poche altre cose - era apparso a diversi membri del comitato molto debole, inadeguato a restituire il senso del processo unitario e di una storia lunga un secolo e mezzo. Un progetto che in sostanza restituiva la scarsa convinzione con cui l´attuale governo si predispone a omaggiare la data fondativa della nostra identità italiana.
Ma abbandonare oggi il comitato potrebbe avere conseguenze indesiderate. Il rischio è che saltino le celebrazioni o subiscano l´influenza di chi ancora crede che l´Italia sia "un´espressione geografica". È dai primi anni Novanta che alcune forze politiche oggi al governo mettono in discussione il processo storico unitario e l´assetto statuale dell´Italia. È anche per sottolineare il valore di un anniversario - contestato "con toni rozzi e inaccettabili", come dice la Maraini - che molti avevano accettato con entusiasmo di impegnarsi nelle celebrazioni. Ora però sembrano venute meno le condizioni per il proseguimento della collaborazione. Un bel pasticcio. Gli storici del futuro potranno usare anche questa vicenda come indicatore del debole stato di salute del nostro sentimento nazionale.