Se la tv di Stato taglia a metà la trasmissione di Roberto Saviano, vuol dire che lo Stato intende fare a metà la lotta alla camorra? In vista del cda Rai convocato per martedì prossimo l´interrogativo è più che lecito. Soprattutto alla luce delle inammissibili esternazioni con cui il presidente Berlusconi ha accusato lo scrittore napoletano di danneggiare l´immagine dell´Italia con i suoi libri e i suoi articoli contro la criminalità organizzata. È chiaro, comunque, che si tratta di un altro caso di censura preventiva, ai danni della televisione pubblica, dei telespettatori e dei cittadini italiani.
A quanto sembra di capire, sulle quattro puntate previste del programma che Saviano sta scrivendo per Rai Tre con Fabio Fazio, due sarebbero a rischio: una sulla ricostruzione post-terremoto in Abruzzo e l´altra sullo scandalo dei rifiuti in Campania. Due inchieste di approfondimento, dunque, su due vicende che certamente interessano l´opinione pubblica e hanno una rilevanza civile. Nessuno le ha ancora visionate, e forse non ne ha neppure letto il testo, ma la forbice del censore è già pronta a scattare per impedire a tutti noi di vedere e di giudicare.
Evidentemente, sotto il regime televisivo, siamo condannati ad avere una tv a sovranità limitata. Una tv dimezzata. Una tv con il silenziatore. E il fatto è tanto più grave perché deriva dalla pretesa di un premier-tycoon, un capo del governo che è anche capo del polo televisivo privato in concorrenza diretta con la televisione pubblica. Siamo, ormai, alla censura a reti unificate.
Prima che il presidente del Consiglio smentisca qualsiasi interferenza diretta o indiretta sull’autonomia della Rai, addebitando a chi lo critica l’arte della menzogna di cui è maestro, ricordiamo anche qui i precedenti. Già il 28 novembre del 2009, in un convegno dei giovani del Pdl a Olbia, il premier dichiarò minacciosamente: «Se trovo chi ha fatto le nove serie della Piovra e chi scrive libri sulla mafia che ci fanno fare una bella figura, lo strozzo». Poi, il 28 gennaio di quest’anno, nel corso di una conferenza-stampa a Reggio Calabria rincarò la dose: «Spero che questa brutta abitudine di fare fiction sulla mafia finisca. Queste fiction hanno danneggiato l´immagine del Paese».
Più recentemente, il 16 aprile scorso, lo stesso presidente del Consiglio ha ribadito il concetto che serial tv come La Piovra e libri come Gomorra fanno una cattiva pubblicità all´Italia nel mondo, promuovendo la mafia. Su questa scia, pochi giorni dopo il direttore del Tg 4 Emilio Fede ha sbottato: «Basta, Saviano non è un eroe. Non se ne può più!». E da ultimo, perfino il calciatore milanista Marco Borriello, napoletano di origine, s’è sentito in diritto di dichiarare che Saviano «è uno che ha lucrato sulla mia città», salvo poi pentirsi, esprimere il proprio rammarico e infine ammettere che «il problema è più grande di me».
Ecco, la conclusione del giocatore del Milan può valere anche per il patròn del Milan, per i suoi fans e ancor più per i censori della Rai. Lasciate stare: il problema, effettivamente, è più grande di voi. Non è il libro, il film o la trasmissione di Saviano che fanno una cattiva pubblicità all’Italia. Sono i problemi, i fatti, le situazioni che lui ha il coraggio di denunciare a non fare una buona pubblicità al nostro Paese. E sono le censure a danneggiarne l’immagine nel mondo, a farci fare una pessima figura.
C’è, al fondo di queste insulse reazioni, un’interpretazione puramente mediatica del potere; una visione esclusivamente propagandistica della politica. Come se tutto si riducesse a un maxi-spot, a una campagna promozionale o pubblicitaria, per nascondere i problemi reali, attirare masse di turisti ignoranti o creduloni e magari valorizzare, al di là delle bellezze naturali, le gambe delle nostre segretarie o gli attributi delle nostre escort. Un Carosello permanente al posto della lotta alla mafia.
Dice bene il sito della Fondazione Fare Futuro, presieduta da Gianfranco Fini: «Tagliare la trasmissione di Saviano significa che lo Stato abdica alle sue funzioni per accontentarsi di nani e ballerine, di zerbini e di veline». È il modello della tv di regime, rassicurante e consolatoria, compiacente e servile, falsa e bugiarda. Eppure, sappiamo tutti che all’interno della Rai non mancano né la competenza, né la professionalità né tantomeno il senso di responsabilità: quelle risorse, cioè, che giustificano e legittimano il ruolo della televisione pubblica.
Da Saviano a Santoro, da Floris a Dandini, da Ruffini a Busi, per citare solo i protagonisti o le vittime degli ultimi casi, questa funzione non si difende però a colpi di forbici. Si difende con l’impegno a fare informazione, intrattenimento o spettacolo, al servizio dei cittadini piuttosto che al servizio del potere.