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Alberto Statera
Faccendieri, quegli uomini all'incrocio tra politica e affari
22 Luglio 2010
I tempi del cavalier B.
Gli scandali odierni, eredi di quelli del pentapartito: ma il più abile dei faccendieri siede a Palazzo Chigi. Da la Repubblica, 22 luglio 2010 (m.p.g.)

Gli scandali venuti alla luce in questi giorni vedono il ritorno sulla scena di personaggi del passato accusati di pressioni indebite e tangenti. Nemmeno Pasolini aveva previsto quello che accade oggi con il livello del malaffare che va ben oltre quello raggiunto dall'Italia del pentapartitodi ALBERTO STATERA

Carlo, ingegnere che lavora all'Eni in un cefisiano losco contesto, ritorna a casa e non solo fa sesso con la mamma e anche con la nonna, ma ritrova il faccendiere Troya.

Chissà se Pier Paolo Pasolini sapeva, nello scrivere la monumentale opera incompiuta Petrolio, che al suo faccendiere aveva dato non un nome di fantasia, ma proprio il nome anagrafico di uno degli uomini che a quel tempo incarnava il non plus ultra dei faccendieri. Filippo Troja, forse con la "j" forse con la "y", da un ventennio incarnava lo spicciafaccende che al servizio della diccì programmava appalti, distribuiva tangibili benemerenze, erogava nomine e privilegi, appalti e mazzette. Mazzette, sia chiaro, da centinaia di milioni di lire, non le ricchezze stellari di milioni di euro che transitano oggigiorno prelevati da pubbliche risorse, nel mondo della neo-confraternita dei Beati Paoli, i sotterranei faccendieri di alcuni secoli fa, cui la complice benevolenza berlusconiana assegna al massimo il ruolo di "quattro pensionati sfigati".

Sfigati che nominano presidenti di Cassazione e di Corti d'Appello, che istruiscono dossier sessuali su candidati politici locali, che manovrano, nella loro pochezza etica e civile, centinaia di milioni e il potere di un regime fatto di bande, di comitati d'affari federati, senza cultura e senza onore, come intuiva Pasolini, che pure mai vide l'Italia più turpe del nuovo millennio. Un'Italia dei faccendieri ben oltre i livelli di malaffare raggiunti in quella pentapartita, quando buona parte del maltolto finiva ai partiti, anche se già allora Rino Formica proclamava: "I frati sono ricchi, la Chiesa è povera!" Se il federalismo entrante ha un obiettivo già raggiunto è quello del malaffare che si dipana regione per regione al Sud come al Nord, dove le risorse sono gestite e distribuite da comitati d'affari operanti sotto l'ombrello della cupola nazionale berlusconiana, il quale fin dall'inizio proclamò: "Andate e arricchitevi".

L'ultimo indirizzo conosciuto di Troja, inconsapevole personaggio pasoliniano ormai in là con gli anni e forse perso alla causa faccendiera dopo una comparsa nello scandalo Parmalat, è l'Alta Velocità di Lorenzo Necci. Laico, forse massone, Necci fu falciato e ucciso quando ormai era in disgrazia, dopo aver sperato di fare addirittura il presidente del Consiglio, mentre pedalava in bicicletta in un dimenticato carrugio pugliese, in compagnia del suo avvocato Paola Balducci. Ma la genia cui apparteneva Troja, sul quale eviteremo di maramaldeggiare con calembour del tipo "nomen omen", non solo non si è dissolta, ma governa l'Italia dai posti di comando, dai gabinetti ministeriali, dalle direzioni generali, dai tribunali amministrativi, dalle stanze di palazzo Chigi, dagli attici tripiani graziosamente concessi da Propaganda Fide, dal cardinale Crescenzio Sepe e dagli eccellenti faccendieri vaticani, quelli che, da Marcinkus e Calvi in poi, hanno seguito il corso inarrestabile del potere e soprattutto del denaro.

Altro che Troja. Fiumi e fiumi di denaro sporco Enimont, ex madre di tutte le tangenti ripulite dalla banca del Vaticano, ha riciclato Luigi Bisignani, tessera 203 della P2, ex giornalista dell'Ansa, definito il Ken Follett italiano per alcuni suoi romanzi gialli presentati da Andreotti in persona e da Giuliano Ferrara, che tra il suo prossimo ama soprattutto i brutti, sporchi e cattivi, quelli che vede meglio in una Repubblica senza borghesia e senza principii, fatta di laicismo devoto, di spartizioni di potere e di denari. Gigi, principe ancora in carica dei faccendieri di Stato, è l'unico che a palazzo Chigi entra nell'ufficio di Gianni Letta senza neanche bussare e che a Cesare Geronzi, neo-presidente di Generali nella poltrona che fu di Cesare Merzagora, il quale rifiutò l'ingresso nell'azionariato del palazzinaro Berlusconi, trasmette giorno per giorno gli umori della suburra di palazzo Chigi.

È lui che cerca al centralino della presidenza del Consiglio Angelo Balducci quando lo scandalo della Protezione civile è sul punto di scoppiare. E lui il tipo antropologico di cui questa Repubblica fondata sul binomio clientela e parentela non può fare a meno. Infante piduista gelliano per i trascorsi massonici del papà funzionario Pirelli in Argentina, fu postino implume dei più di novanta miliardi di lire Enimont nel torrione vaticano dello Ior. Gigi è meno ruspante del suo collega Flavio Carboni, oggi in galera per quell'incredibile pasticcio dell'eolico in Sardegna. E ben più attrezzato dei due vice-faccendieri eolici. Il geometra Pasquale Lombardi di Cervinara, l'amico di De Mita e Mancino che sussurrava in irpino stretto alle alte cariche della Magistratura e si sbatteva per la nomina di "Fofò" Marra a presidente della Corte d'appello di Milano, organizzava convegni di giudici, come ai tempi dei pretori d'assalto e dello scandalo dei petroli faceva Giancarlo Elia Valori, tuttora in servizio permanente effettivo.

L'"imprenditore" Arcangelo Martino, fece di più: presentò al premier la vergine partenopea Noemi Letizia, dopo che con il di lei genitore era finito in carcere. Al magistrato che qualche giorno fa lo interrogava ha piagnucolato: "Ma quale associazione segreta, signor giudice. Semmai un'assemblea di figure e 'mmerda!" Figure e 'mmerda, plastica definizione degli esponenti di una federazione di comitati d'affari che ci governa attraverso un manipolo di intriganti trafficoni mestatori, talvolta oggetto di mutazioni genetiche che giungono alla nuova specie, non più inedita, del ministro-faccendiere o del coordinatore nazionale-faccendiere.

Volentieri vi forniremmo in questo "Diario" un elenco di spicciafaccende nominativo, di oggi e del passato, con le loro fascinose storie, a cominciare dai mitici Gioacchino Albanese e Sergio Cusani, veterani dei tempi di Craxi. Ma, a parte questioni di spazio, in fondo l'unico che mantiene tuttora i supergalloni e li indossa con perfetta interpretazione del ruolo è proprio Gigi, l'omino furbo e scattante che sussurrava a Stammati e a Gelli, a Gardini e Andreotti, che può designare nel nuovo regime il capo dell'Eni nella persona di Paolo Scaroni, un vicentino che tanto per gradire si era fatta un po' di Tangentopoli. Ma i tempi, signora mia, non sono più quelli. Anche perché il mestiere del faccendiere è stato sottratto ai legittimi titolari da magistrati corrotti, giornalisti ben più che compiacenti con decenni di "professione", sottosegretari e ministri che il malaffare lo curano di persona. Com'è dura, signora mia, la concorrenza per i veri professionisti quando a Palazzo Chigi - Pasolini non lo prevedeva - siede in plancia il primo sommo faccendiere d'Italia.

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