1.Quanti sentono e seguono con intelletto d’amore il problema del deurbamento e i problemi connessi della casa, della campagna, dell’autarchia, hanno certamente appreso con intima soddisfazione che la prossima legge Urbanistica, già approvata dalle Commissioni legislative nel luglio u. s., “porrà l’Italia” secondo l’annuncio dato alcuni mesi fa dal Ministro Gorla “all’avanguardia tra le nazioni più progredite”, poiché “si prefigge attraverso il rinnovamento e ampliamento edilizio della città il miglioramento di vita nei centri minori e nelle campagne, per combattere la pericolosa corsa all’inurbamento”. L’art. 1 della legge, infatti dichiara: “Il Ministero dei Lavori Pubblici vigila sull’attività urbanistica anche allo scopo di assicurare, nel rinnovamento ed ampliamento edilizio della città, il rispetto dei caratteri tradizionali, di favorire il deurbamento e di frenare la tendenza all’urbanesimo”.
E la relazione dello stesso Ministro che ne accompagnava il disegno alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni chiariva:
”Concepita la disciplina urbanistica come fondamento di una sana convivenza sociale nella distribuzione delle forze produttive e dei nuclei demografici sul territorio nazionale, la legge urbanistica si appalesa come il mezzo più efficace per attuare quel deurbamento che è uno dei capisaldi della politica del Regime. Espressione di questa tendenza sono due nuovi istituti improntati alle vedute più moderne. L’uno è il “piano territoriale di coordinamento”, che quando venga posto in essere costituirà la trama entro la quale dovranno inquadrarsi i piani regolatori dei singoli Comuni, in modo da assicurarne l’armonica coesistenza. La creazione di tali piani territoriali è stata lasciata al criterio del Ministro de Lavori Pubblici, senza imporre prescrizioni rigide, ma segnando soltanto orientamenti e diretti, e di massima in quanto trattasi di provvedimenti di vasta portata da sperimentare con cautela.
L’altro istituto è quello del “piano regolatore generale” esteso alla totalità del territorio comunale, con che si eviteranno gli inconvenienti derivanti dall’attuale sistema, per il quale il piano regolatore generale è limitato al centro urbano ed alla zona di ampliamento”.
A sua volta il Ministro Gorla, parlando alla Commissione legislativa della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, soggiungeva “è vano fissare la gente là dove non vuole rimanere se non le si danno i primordiali servizi necessari”.
Così il legislatore mira a tradurre in precetti normativi la nuova dottrina urbanistica, la quale, come avvertì il Ministro Bottai, inaugurando nel 1938 il Congresso nazionale di urbanistica “non ha come esclusivo compito di ordinare la città, ma anche e specialmente i borghi e le campagne” o, come altrimenti si è espresso uno dei più profondi e appassionati cultori della materia, G. A. Calza Bini, “estende i suoi studi alla organizzazione di tutti i centri sociali, in città come nelle campagne, sui porti come sulle spiagge marine e sui fianchi dei monti”.
E non può non apprezzarsi questo contributo ideale e pratico che viene offerto dalla dottrina urbanistica e dal nuovo mandato legislativo per la realizzazione del deciso programma del Duce rivolto alla ruralizzazione del Paese, quale base prima e insostituibile della indipendenza economica e politica della Nazione, e alla sana politica del villaggio categoricamente ribadita dal Sottosegretario all’Interno G. Buffarini Guidi contro il tradizionale privilegio delle metropoli.
2. Concretamente quali norme la legge contiene, quali potestà specifiche essa attribuisce al Ministro dei LL. PP., quali mezzi offre diretti o influenti al fine del deurbamento?
Sembra mirarvi innanzi tutto la norma, che, all’antisociale distinzione della legge del ‘65 tra Comuni aventi popolazione superiore ai 10 mila abitanti e Comuni con popolazione inferiore, ai quali ultimi negava la facoltà di formare il piano regolatore, e alla irreale distinzione che quella stessa legge faceva fra Comuni nei quali si manifestasse la necessità di espansione e Comuni che tale necessità non avessero, pone una regola generale obbligante tutti i Comuni a formare il piano regolatore edilizio esteso all’intero territorio, piano che comprende (art. 8) così le norme di correzione e sistemazione dell’abitato esistente (piano regolatore della legge del ‘65) come le norme di edificazione nelle zone di espansione (piano di ampliamento della legge del ‘65), o, quanto meno, ad includere nel proprio regolamento edilizio un programma di fabbricazione con l’indicazione dei limiti di ciascuna zona e con precisazione dei tipi ed eventualmente delle direttrici di espansione (art. 34). Ogni lembo di territorio nazionale, anche il più remoto e rurale, potrà in tal modo rappresentare al suo popolo la bellezza e le comodità della nuova edilizia sorta secondo gli schemi concepiti dalla dottrina urbanistica associata alla scienza igienica e il cuore pulsante del Regime per la più elevata redenzione della vita rurale e del benemerito popolo delle campagne.
La relazione ministeriale, poi, spiegava, nel brano trascritto, che a tale scopo sono stati concepiti i due istituti del piano di coordinamento e del piano regolatore generale per tutto il territorio, e non del solo abitato. Dalle linee direttrici di cotesti piani, infatti, possono partire provvide iniziative ed opere, particolarmente stradali, idrauliche, e industriali, di immediato e sicuro effetto di valorizzazione e popolamento di campagne anche lontane.
L’art. l, inoltre, espressamente pone e definisce questo compito del Ministro dei Lavori Pubblici; compito non del tutto nuovo, come quello che già era implicito nelle sue funzioni di organo della politica generale del Governo, ma ora nettamente imposto e che dovrebbe concretarsi nell’indirizzare anche verso quel fine particolare l’azione propria e le opere da eseguirsi a cura del suo Ministero o degli istituti da esso diretti o dipendenti, e nel vigilare che quel fine sia fra le vedute precise dei regolamenti, dei piani, dei programmi costruttivi, delle opere degli enti locali.
3. Ma, se non erro, non vi si rinviene altra norma positiva a ciò diretta. Sia consentito domandarci allora se queste affermazioni di principio e questo mandato generico possano per sé soli apportare un contributo pratico realmente efficace pel conseguimento dello scopo idealmente prefisso del deurbamento. Si tratta evidentemente di principii solo direttivi e di un mandato di carattere discrezionale il cui effetto pratico dipenderà dall’applicazione di essi, e che potrà mancare, ove l’azione pratica non risponda.
Gli stessi piani e programmi edilizi d’altra parte non possono, per propria funzione, che rappresentare il puro quadro topografico d’insieme delle zone in cui i piani o i programmi suddividono, nella carta, il territorio di uno o più Comuni con la sola indicazione delle linee terminali e periferiche e della destinazione di ciascuna di quelle zone (abitato centrale da rettificare, zone di espansione di esso con la tipologia delle costruzioni, zone industriali, linee stradali o navigabili, ecc.) disegnando, quindi, per esclusione, le restanti parti del territorio riservate alla cultura agraria.
Da sé solo dunque il dettato della legge non sembra segnare passi positivi sulla strada del deurbamento.
4. Constatiamo intanto ogni giorno, e non senza preoccupazione, come nonostante gli sforzi di leggi, di provvedimenti di Governo, della più convincente dialettica della stampa, la corsa verso l’urbanesimo e l’abbandono che ne deriva , delle campagne non si arginano. Un’apposita legge, quella del 6 luglio 1939, pose come un reticolato giuridico alle facili invasioni delle città. Opere gigantesche di bonifica e appoderamento sono state compiute o sono in corso di esecuzione e nuove città sono sorte nel centro di territori redenti od accanto a nuove industrie, per volontà del Regime e con immane sforzo finanziario dello Stato. Il nuovo codice civile sanziona nuovi doveri per la conservazione e lo sviluppo della proprietà rurale. Un altro disegno di legge è davanti alle assemblee legislative contenente provvedimenti a favore dell’economia montana.
Nella realtà il problema resiste a questi reattivi vari.
D’altro canto la stessa legge urbanistica (reputo dovere della critica leale, e come tale collaboratrice, rilevarne gli aspetti che appaiono negativi) sembra dimenticare i suoi buoni propositi quando, nella indicazione del contenuto dei piani, dei programmi, dei regolamenti, non fa cenno alcuno ad elementi praticamente diretti al fine del deurbamento, mentre molto preoccupata, e pur giustamente, si manifesta dei riguardi tecnici, estetici, storici, monumentali, oltre che del traffico e dell’igiene. Autorizza la espropriazione per la precostituzione di un demanio comunale di aree disponibili per le future zone di espansione dell’abitato, per la formazione dei comparti, per la regolare lottizzazione delle aree, per rettifica dei confini nell’abitato e nelle zone di espansione di esso, ma, come mi riservo di esaminare in altro scritto, reca norme scarse o nulle dirette ad attenuarne il costo. Sembra voler incoraggiare un maggiore spreco di aree libere per giardino a scopi puramente estetici (art. 25). Modificando il primo schema, che sottoponeva all’obbligo della licenza del Podestà con le garanzie conseguenti qualsiasi costruzione nel territorio del Comune; la prescrive solo per le costruzioni entro l’abitato e le zone di espansione.
5. Se a me fosse lecito aggiungere al corredo, già immenso, delle approfondite elaborazioni nella materia una modesta idea, delineerei, sul terreno positivo, due nuove regole generali che considererei utilmente integratrici della legge urbanistica. M’incoraggia a farlo, oltre l’amore del tema, l’ultimo articolo della legge il quale, nel chiaro intento del legislatore di volerla perfezionare nell’immediata applicazione, autorizza il Governo ad introdurre nel regolamento anche norme integrative, fra le quali appunto penso possano trovare sede quelle che sottopongo al vaglio sapiente delle sedi competenti.
La prima statuirebbe : “ Ogni podere destinato a coltura agraria o almeno quello che abbia la estensione della unità colturale prevista dal nuovo codice civile quella, cioè, sufficiente a dar/lavoro ad una famiglia agricola (art. 846 c. c.) dev’essere dotato di una casa sana e sufficiente per le famiglie del proprietario e del lavoratore o dei lavoratori fissi del fondo e per gli altri bisogni della coltivazione”.
Non v’è bisogno di dimostrare, dal punto di vista economico, demografico e sanitario, che condizione prima per attrarre e trattenere nelle campagne lavoratori e proprietari è un alloggio accogliente dotato dei requisiti rispondenti alle esigenze maggiori della vita (acqua, luce, strade); che la presenza continua o frequente del proprietario e del lavoratore è, a sua volta, condizione essenziale per la migliore custodia, cura, coltivazione e produttività della terra; e che la vita in case e campagne salubri è fattore importante dello sviluppo della sanità e della moltiplicazione della razza.
Non v’è bisogno di dimostrare neppure che, mentre s’investono spese enormi per rifugi pubblici, antiaerei di carattere temporaneo e malsicuri, il disseminare di case abitabili il territorio nazionale nelle zone destinate all’agricoltura, fuori dei centri abitati, significa anche costruire i rifugi più sicuri e sani.
Dal punto di vista del contenuto giuridico, la norma non solo non incontra ostacolo nell’ordinamento generale, ma concorrerebbe ad attuare i principii cardinali posti, nei riguardi della funzione sociale e degli sviluppi della produzione fondiaria, negli articoli 836 e segg. del nuovo codice civile. Dal lato formale potrebbe osservarsi che una disposizione siffatta avrebbe sede più propria in una legge generale di riordinamento della proprietà fondiaria. Ma non appare estranea alla legge urbanistica, se è vero, com’è vero, che questa è ispirata alla dottrina urbanistica la quale spinge il suo sguardo ad ogni nucleo sociale, intende disciplinare l’edilizia anche per finalità del deurbamento da essa stessa dichiarato.
E posta questa regola, la licenza di costruzione del Podestà dovrebbe essere subordinata non al puro accertamento igienico ed estetico, ma anche alla rispondenza di essa alle varie esigenze pratiche cui per i fini della legge deve soddisfare.
6. La seconda regola stabilirebbe: “ Il piano regolatore comunale (almeno dei Comuni soggetti alla legge contro l’urbanesimo) deve stabilire larghe fasce di territorio, convenientemente collegate col centro abitato da comode vie di accesso, suddivise in lotti di 2000, 3000, 4000 mq., al di là delle immediate zone di espansione dell’abitato o intorno alle borgate periferiche. In ciascun lotto il proprietario ha obbligo di costruire, secondo gli allinea menti che il piano stabilirà, un fabbricato semirurale sufficiente per alloggiare almeno la famiglia del proprietari, la famiglia di un lavoratore rurale a modicissimo fitto, e possibilmente anche altri inquilini, preferibilmente lavoratori”.
Sembrami intuitivo che queste fasce semirurali attrarrebbero non poca parte della popolazione operaia e media; avvicinerebbero molti lavoratori agricoli ai giardini, orti, terreni ove sarebbero chiamati a prestare la loro opera; assicurerebbero alle famiglie coabitanti una parziale indipendenza economica mercé la coltivazione dei terreni circostanti, insieme con un’abitazione a mite fitto, in contrade salubri semicampestri.
Nel piano regolatore, costituirebbero anch’esse speciali zone di espansione a carattere prevalentemente rurale.
7. Mi si presentano alla mente, nel formulare queste idee, le obiezioni che alcuni anni fa opponeva con ingegnoso calcolo geometrico Ugo Notari, il quale, postosi il problema se convenisse che gli abitati crescessero in estensione o in altezza, e rilevata la tendenza verso la prima osservava:
”Ecco un primo settore del gigantesco piano regolatore, sul quale dovrà essere combattuta 1a prima grossa battaglia. Le nuove case richiedono nuove aree, e le nuove aree, lentamente ma irresistibilmente, mangeranno la superficie coltivabile. La casa è così una irriducibile nemica del pane. Se noi vogliamo più grano per provvedere all’alimentazione delle nuove generazioni, dobbiamo sviluppare le nostre città e i nostri paesi in altezza, predisponendo tutta una nuova legislazione sulla proprietà fondiaria nel senso di conferire un movimento generale alla sopraelevazione delle case esistenti. Le nuove aree commerciali devono essere i tetti; le città e i paesi debbono avviarsi ad avere case ad otto a dieci piani”.
Non mi avventuro nella questione, che eccede la mia competenza e i fini di queste note, se negli abitati debbano preferirsi i grattacieli o i fabbricati medii o piccoli, ma è certo che, se dovesse seguirsi al cento per cento il ragionamento geometrico del Notari, dovrebbero abolirsi anche le abitazioni campestri, che sottraggono anch’esse terreno al pane. Ma è pur certo che questo senza di quelle non nascerebbe neppure nella più gran parte dei terreni destinati a produrlo.
Le difficoltà essenziali, invece, per la pratica applicazione delle due regole che traccio, sarebbero tutte e soltanto di carattere finanziario, poiché, come è noto, pochi o pochissimi dei proprietari di terre o aree hanno mezzi propri per adempiere l’obbligo di costruzione che verrebbe loro imposto. Ma se quelle due regole fossero riconosciute necessarie per lo scopo, non dovrebbero essere negati mezzi e accorgimenti atti a superare le difficoltà che si oppongono, e cioè:
a)sovvenzioni e facilitazioni più larghe possibile (esenzioni fiscali, contributi governativi, mutui a lunghissima scadenza e minimo tasso, ecc.) come per le costruzioni popolari o per le bonifiche;
b)espropriazione o sanzioni penali a carico degli inadempienti;
c) opere stradali e impianti di luce e acquedotti, e uffici pubblici periferici indispensabili per rendere possibile la vita nelle campagne.
Questi provvedimenti, che a lor volta integrerebbero le due regole, potrebbero avere sul regolamento della legge urbanistica una enunciazione di massima, con rinvio alle leggi speciali cui competerà di disporli.
Comunque non sarà vana l’attesa dei risultati dell’impegno assunto dalla legge urbanistica.
Le due eminenti coscienze che presiedono al Dicastero dei Lavori Pubblici, il Ministro Gorla e il Sottosegretario Carletti, che hanno già rivolto i loro studii sull’importante problema, hanno nella propria altissima competenza e lunga esperienza, la traccia più sicura delle vie da percorrere perchè questa sana finalità della legge non rimanga una proclamazione puramente letterale.
Essi hanno sopratutto nel loro spirito le consegne date dal Duce:
“I finanziamenti concessi al Consorzio fra istituti di case popolari debbono servire per la costruzione di nuove case anche nei Comuni rurali perchè dal provvedimento ne dovranno trarre vantaggio quegli autentici rurali, che lavorano duro, secco, sodo, in obbedienza e in silenzio”.
“Entro alcuni decenni tutti i rurali italiani devono avere una casa vasta e sana, dove le generazioni contadine possano vivere e durare nei secoli come base sicura e immutabile della razza”.
“Solo così si combatte il nefasto urbanesimo, solo così si possono ricondurre ai villaggi e ai campi gl’illusi e i delusi che hanno assottigliato le vecchie famiglie per inseguire i miraggi cittadini del salario in contanti e del facile divertimento”.