La prima precauzione nell’analisi delle politiche pubbliche è quella di diffidare delle etichette: i titoli dei provvedimenti servono spesso più a camuffare che a svelare; tra gli obiettivi espliciti e quelli realmente perseguiti può correre a volte una bella differenza. È così per il disegno di legge regionale sul paesaggio che, dopo il via libera in commissione, approda in consiglio regionale in vista della sua definitiva approvazione, complice magari l’inevitabile disattenzione agostana.
Il fatto è che questo disegno di legge — spesso impropriamente definito in alcuni articoli di stampa come il “nuovo piano paesaggistico” — con il paesaggio e con le procedure previste dal relativo codice, non c’entra proprio niente. È vero invece che esso contiene robusti aspetti di incostituzionalità, che condurranno con tutta probabilità alla sua impugnazione da parte del ministero per i Beni e le attività culturali. Piuttosto, liberato dell’involucro propagandistico, il provvedimento può essere considerato come l’ultima puntata dell’infinita telenovela del “piano casa”, la polpetta avvelenata che il governo Berlusconi ha propinato alle 20 regioni italiane.
Il ragionamento è più o meno questo: per far ripartire l’economia occorre dar fiato all’edilizia, e questo è possibile solo sgombrando il campo da controlli e procedure autorizzative, disboscando energicamente la selva di vincoli, recidendo lacci e lacciuoli che frenano l’iniziativa. È proprio quello che si provvede a fare con il disegno di legge sul paesaggio, il cui esito certo, per ora, è il drastico allentamento dei vincoli precauzionali, a partire proprio dalla zona rossa del Vesuvio, e da territori di importanza strategica compresi nel Piano urbanistico territoriale della Penisola sorrentino-amalfitana.
Tanta audacia è controbilanciata dall’introduzione di sofisticati strumenti di contabilità e compensazione ambientale, già difficili da applicare nell’austera Germania, dove pure sono stati escogitati, con la differenza che lì non ci sono 60 mila alloggi illegali con sentenza di abbattimento, né centinaia di migliaia di pratiche inevase di sanatoria, perché a quelle latitudini il fenomeno dell’abusivismo edilizio semplicemente non esiste.
Appaiono quindi più che giustificate le perplessità sollevate da Aldo De Chiara, un’autorità in materia, sull’opportunità di abbassare la guardia proprio in contesti tanto delicati, a elevata patologia urbanistica, ma la sensazione è quella di una cambiale elettorale giunta inesorabilmente a scadenza.
Resta da capire quanto sia fondato l’assunto che è alla base della legislazione emergenziale del “piano casa”, e per far questo basta girare lo sguardo a occidente, ai nostri cugini spagnoli, che un’esperienza simile l’hanno vissuta su vasta scala, con la lunga deregulation urbanistica di Aznar e Zapatero. Il risultato è che l’economia spagnola, con un rapporto debito/pil intorno al 70 per cento, molto inferiore al nostro, sta morendo a causa dell’esposizione delle banche nei confronti del settore immobiliare, con spettrali città di nuovo impianto invendute, le sofferenze sui mutui, gli sfratti, gli indignados in strada.
Perseverare anche da noi su questa strada è spiegabile solo con una salda fiducia nel metodo omeopatico: la speranza cioè che la malattia possa essere curata continuando a somministrare al paziente la stessa tossina che l’ha provocata.