«Come è diventata questa nostra Milano? Triste. Molto triste. Infelice. Camminando per strada, mi sono messa a guardare le facce della gente. Erano tutti di cattivo umore. Molti parlavano al cellulare. Avevano l´espressione del viso tirata. È la Milano del grande mercato delle volumetrie». Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente onorario del Fai, il Fondo per l´ambiente italiano, denuncia la sua grande preoccupazione per il futuro della città, parlando dritto al cuore dei milanesi. Lo fa ricordando la Milano scomparsa, quella della borghesia di una volta, capace di grandi opere pubbliche e impegno civile. Mentre oggi ci si preoccupa solo di soddisfare gli appetiti del mercato e gli interessi dei grandi speculatori.
A dibattere del nuovo Pgt, il Piano di governo del territorio, ieri sera, nei saloni del Fai di Villa Necchi Campiglio, il circolo milanese di Libertà e Giustizia ha chiamato urbanisti, architetti, economisti e avvocati appassionati di difesa del paesaggio. Tutti terrorizzati da un piano che, come ha sintetizzato meglio di ogni altro l´architetto Luca Beltrami Gadola, è «uno dei peggiori che si potesse immaginare».
«La verità è che nessuno ha ancora capito, dietro alla grande quantità di numeri e di dati che riempiono la montagna di pagine del Piano di governo del territorio, quale idea di città si nasconda - spiega Stefano Pareglio, docente di Economia ambientale alla Cattolica ed esponente di Libertà e Giustizia. - Non è disegnato un profilo esplicito del futuro di Milano. Vengono indicate tante cose che possono succedere. Ma non si sa bene quale sarà l´esito finale e neppure quali saranno i passaggi intermedi».
Mentre l´avvocato Ezio Antonini, uno dei garanti del Fai, ha definito il Pgt di Milano niente altro che «lo strumento operativo di una grande commissione di affari»: «Ormai i consiglieri della maggioranza di Palazzo Marino non rappresentano più la comunità dei cittadini milanesi, ma solo affari privati. Ciascuno di loro ha presentato più di 50 emendamenti che riguardano semplicemente loro clienti. A questo siamo arrivati».
Un piano che tutto affida al mercato, mentre gli strumenti di controllo sono volutamente deboli per garantire al mercato di esprimersi con tutta la sua forza. «Nelle culture vetero socialiste si dava ai piani il compito dirigistico di organizzare lo sviluppo delle città - commenta Pareglio. - Oggi tante cose sono cambiate. Però questo Piano sembra in qualche modo rinunciare a una funzione di controllo pubblico per assecondare esclusivamente gli interessi privati».