Sì ci vado, ci vado a Scampia, nessun problema, ci parlo con la gente. Il mio mestiere è scrivere, ma per scrivere bisogna saper ascoltare, guardare, capire.
E allora ci vengo, ci vengo anche il 13 Agosto con un calore che scioglie le pietre e raffiche di vento leggero che asciugano il sudore, in cerca di «sorprese» in cerca di «verità», in cerca di chi?, di cosa?
La dichiarazione di un sindaco che meriterebbe un premio almeno per la migliore gaffe estiva, mi regala questa possibilità di raccontare ancora il paradosso e la tristezza. Sono un privilegiato, io la racconto e loro la vivono. Non farei a cambio.
Casermoni ormai simbolo del degrado. Il sindaco che si lascia scappare la provocazione «io chi le ha progettate lo fucilerei... ». E il «repertorio» della periferia: spaccio, camorra, niente servizi. «Soluzione? Ci portassero tutti a Sorrento e poi ci buttate una bella bomba. Ma non si può fare, perché qua è bbuono per loro... ».
Le parole un po' avventate del primo cittadino che voleva fucilare un'architetto morto, per il «danno» fatto a Scampia, danno che ripetiamolo ancora, storicamente hanno fatto loro, i politici, isolando questa zona per sempre dalla civiltà e dalla città. Tali vicende in questo scampolo d'estate mi offrono dunque questa passeggiata di fuoco, riportano l'attenzione su Scampia e mi danno da lavorare e a Napoli chi sei sei il lavoro è prezioso.
Il salto è un vero viaggio astrale, un planare nell'impotenza dei fatti e nella battaglia estrema dello scrittore per non ripetersi su di un tema logoro, per non arrendersi alla retorica, per non lasciare perdere e cambiare mestiere. Ma non posso, come non può Salvatore L., l'unico povero cristo che parlerà con me, andarsene dalla «Vela» gialla, (per chi non lo sa ve ne sono di diversi «colori» ) e allora nemmeno io posso sottrarmi a questa sfida.
Tutta, tutt'Italia sa tutto di questo luogo infausto, sa della droga in ogni angolo, delle condizioni disumane di vita, del fatto che le vele sono alveari per uomini e della camorra che impera. Sa perfino della «resistenza» vera o presunta, della musica degli «A 67» e della micro farsa dei «ragazzi di Scampia» a Sanremo. Forse sa dell'Arci-Scampia, della associazione «Hurtado» e delle altre coraggiose associazioni di quartiere, sa che a Scampia si lotta e si vive e che ci abitano tante persone degne e non solo i camorristi. La gente le sa queste cose, e allora? Le «Vele» stanno ancora qua e ci resteranno a lungo pare, e allora? Allora cammino, cammino nel sole, senza cellulare, senza portafogli, senza orologio, e il perché lo potete immaginare, cammino e guardo e penso e mentre mi aggiro mi volto e vedo un giapponese, (o è un cinese?) con tanto di macchina fotografica a tracolla, zaino e probabilmente denaro, che saltella fuori dalla stazione metro di Piscinola e scende «giù» a Scampia, dove si prendono i bus per le «Vele».
Che diavolo ci fa qui? Si è perso? Lo avvicino? Lo avverto? Tiro un sospiro, per fortuna torna indietro. Ma chi ha ragione lui o io? Io! mi dico forte, e per sostenere la mia tesi pavida ma realista, penso al tema di Mario, 11 anni, di una scuola media di Secondigliano. Opera che ho letto in rete dal titolo: «Cosa faresti se fossi invisibile?». Svolgimento: «Essere invisibile è molto bello perché nessuno non ti vede in mezzo alla via e così posso rubbare i portafogli di tutte le persone in mezzo alla via. Poi vado in una gioielleria e mi rubbo tutti gli gioielli che c'erano nel magazzino di Napoli. Poi mi rubbo gli anelli di tutte le persone che stanno in mezzo alle vie. E poi vado a rubbare cioccolatini panini caramelle e gomme».
Bello Mario, bravo, 10, non avrei fatto di meglio, nessuno farebbe di meglio se fosse nato qui. Sono casi rari quelli dei reduci vittoriosi o degli impegnati nel sociale. Fa ridere il tema di Mario? Fa riflettere? Fa pensare? Fa dire ah? Oh? Guarda un po'? Marcello d'Orta ci volesse fare un altro libro? Mondadori ovviamente. Sì?
Fa piangere il tema di Mario? Non lo so. Qua il sudore diviene sangue, le lacrime riso, la verità un falso studiato. Cammino, cammino e penso che se vivessi qui non c'è la farei, se vivessi qui non so cosa farei, se vivessi qui odierei, rubare non mi basterebbe. Bravo Mario, crescerai Mario e mi capirai, ma per allora la vita nella «Vela» ti avrà stracciato mezz'anima, si può vivere con mezz'anima così come con mezzo cuore? Chissà, divago, scusate, sarà il caldo...
Passano due ragazzi in vespa, rallentano, so cosa pensano. Pensano se «mi sanno» «se appartengo a qualcheduno» e se sì, a chi? Proseguono, mi avranno scambiato per qualcun altro, ma è stata una svista a mio favore evidentemente. Una volta conoscevo uno che per otto giorni era dovuto stare nascosto come un topo perché somigliava a uno della «nuova famiglia» al tempo della grande guerra con i Cutoliani, altri tempi. Poi ammazzarono quello vero e lui riuscì a tornare alla luce del sole. Se fosse accaduto oggi lo avrebbero ammazzato lo stesso, solo per la somiglianza con «quella faccia di merda». Bei tempi quelli.
Cammino. Che cazzo di calore. Sono arrivato su delle lunghe e insensate autostrade di polvere e nulla che collegano internamente le vele rimaste in piedi. La notte sono gli autodromi di corse in moto e a cavallo, dicono, mai venuto a giocare qui ma c'è chi ne ha scritto e c'è che le corse le fa e chi ci gioca i soldi. Il cinese l'ha scampata comunque, certo che se la cercano...
Comunque, a Napoli la miseria è sempre stata inspirazione, diviene musica, libri, inchiesta, documentari, film, reportage giornalistici. Ci copriamo con la nostra immondizia e ne facciamo pubblico sfoggio. Già, questa è vera arte della sopravvivenza, siamo maestri, è noto, ma è anche serio? Che caldo. Dove vado? Non ci sono punti di riferimento, cerco di ricordare il lungo cammino all'inverso per ritornare alla stazione della metropolitana di Piscinola, a qualche chilometro. L'hanno chiamata stazione di Scampia, credono di poter prendere in giro la gente, la metro fino alle «Vele» non ci arriva, ma è già tanto così, fino a poco tempo fa non c'era nemmeno quella... Bassolino ha «investito» più soldi di Mecenate nella sua passione estrema per l'arte contemporanea e a Napoli ci ha fatto fare delle mostre alla stazione di Piscinola, o comunque le farà possiamo esserne certi, in questa stazione capolinea che sembra quella di una città svedese per eleganza e pure per pulizia. Con qualche soldo in più rifacevano il quartiere, ci mettevano qualche servizio, uno, due, le cose essenziali. La rabbia mi sale alla testa, di chi è la colpa? Dio sa se non lo fucilerei anche io...
Un ragazzo appena adolescente si rimira nello specchietto retrovisore del motorino, più in là, fermo al margine della carreggiata deserta. Si aggiusta i capelli impomatati, «sei bello?» ma sì, sei bello! Ma chi è stato? Chi è stato a farci questo? O è stato sempre così e lo abbiamo dimenticato? Sulla lunga dirittura da far west, da sfida all'«Ok Corral», in senso inverso mi si avvicina un uomo, mi sembra. Dove va? Qua non c'è niente, cosa fa? I casermoni in cemento sono ad almeno 500 metri. C'è l'ha con me? Forse è una visione, un miraggio in questo deserto.
All'improvviso mi ricordo del mio proposito di parlare con la gente, anche uno solo è la gente? Sì, anche io sono la gente. Allora lo fermo. «Lei abita qui?». Mi guarda con un sorriso pacato, con una certa compassione, si asciuga il sudore con un fazzoletto lindo e bianchissimo nel sole. «No, sono in vacanza» mi risponde tomo in un italiano senza alcuna inflessione dialettale. Scoppiamo a ridere insieme, tutti e due, nel mezzo del niente assoluto.
«Ma dove va?» protesto. «Io là» risponde indicandomi una indistinguibile fermata d'autobus a un centinaio di passi, «ma lei invece dove va ?». «'Cca nun ce sta niente» mi risponde d'acchito recuperando il dialetto per paura di non essere compreso, e allungando un braccio in gesto plateale verso il mostro di cemento, «solo 'e ccase» conclude. Le case, sì, le «Vele». Annuisco. «Io veramente volevo fare qualche domanda parlare con chi abita nelle vele». «Lei è scrittore, giurnalista?». Annuisco ancora, mi si è seccata la lingua, c'è troppa polvere sulla strada.
«Andiamo, vieni vieni, ti dico io». Ci incamminiamo verso la fermata fantasma e allora Salvatore inizia a parlare, ma la sua vita in Germania non è fondamentale per questa storia. Solo quando arriva un aeroplano la discussione si anima. «Lo vedi quell'aereo? A noi ci dovrebbero portare tutti come stiamo stiamo a Sorrento e poi cheti cheti ci buttate una bella bomba qua sopra e non se ne parla più. delle vele né niente e risparmiano pure, ma non si può fare e lo sai perché? Perché qua è buono per loro!».
Resto a bocca aperta mentre come un calesse fantasma un autobus arancione spunta lontano sullo stradone, in fondo. «Salvatore ma per chi è buono? A chi fa comodo?».
«A loro» risponde secco Salvatore e a chi se no? A mme?
«Ma a loro chi? Ai camorristi, al governo, agli amministratori, alla gente, a chi?»
«Ehhhh! A lloro! Ma come sei giornalista e nunn'o 'ssai ? 'Cca pe' lloro è bbuono!».
Salvatore sale su di un'autobus che non faccio nemmeno in tempo a capire dove possa mai andare e scompare con la sua diligenza. Io non salgo, resto. Guardo l'orologio ma l'ho lasciato a casa, mi voglio chiamare un taxi ma non ho il cellulare con me, ammesso che mi venga mai a prendere qui dove sono, ma dove sono? Vorrei un bar, un caffè, un litro d'acqua, una panchina, un albero. Sfrecciano due altri giovani in motorino. «Stai cercando a' rrobba?». Scuoto la testa. «E allora vattene va che cazzo vuo’?».
Annuisco di nuovo e stavolta parlo. «Aspetto il pulmann» faccio un ghigno. «Il prossimo».
Il ragazzo avrà forse quattordici anni, ma ha un viso duro, selvaggio. Sputa per terra guardandomi in faccia. Si asciuga. «È vire e fa ampresso va!».
Fare presto, già, è una parola adesso. Intanto oggi è 13 agosto 2006 alle “Vele”.
Domani ne abbiamo 14.