Dialoghi Mediterranei, luglio 2018. Il ritratto di una città al voto, che vede emergere una nuova classe politica di donne e giovani. E' la sfida dell'anima più genuina e solidale dei quartieri popolari contro sviluppismo e speculazione. (i.b.)
Dai quartieri di periferia arrivava la gente con degli striscioni: sopra c’era scritto il nome del quartiere. (Chiara Sebastiani, Una città una rivoluzione)
Lontano da shâr’a Burghiba …
La Rivoluzione Tunisina del 2011 nasce nelle aree interne ma si realizza nella capitale; il disagio sociale che la sostiene nasce nelle campagne ma si esprime nelle città. I suoi martiri sono caduti nei sollevamenti delle periferie ma i suoi luoghi simbolici sono gli spazi pubblici del centro di Tunisi: shâr’a Burghiba – che viene ancora chiamata l’Avenue come ai tempi del Protettorato francese – la Kasbah, il Bardo. Sette anni dopo, la scommessa delle elezioni municipali è quella di ridare voce ai protagonisti collettivi della rivoluzione: i quartieri.
I quartieri di Tunisi, fuori da quello che gli urbanisti chiamano “l’ipercentro”, si dividono nell’immaginario collettivo in quartieri pregiati e quartieri malfamati. Nei primi rientrano la mitica banlieue nord con i pittoreschi villaggi di Sidi Bou Said e La Marsa e le zone residenziali dei ceti medio-alti di El Menzah, Ennasr, La Soukra; nei secondi i quartieri popolari densamente abitati, spesso originati da insediamenti abusivi, o da progetti di edilizia pubblica, lontano e mal collegati, come i famigerati quartieri di Ettadhamen e Dwar Hicher (Lamloum 2015). Ma spesso gli uni e gli altri sono contigui e quando vi sono scontri nei ghetti popolari l’acre odore dei lacrimogeni invade i palazzi sulle colline circostanti. E soprattutto vi sono ovunque, tra questi due estremi di cui si occupano i media, quartieri invisibili e abitanti senza voce: la città reale, lontano dalla città immaginale. L’area metropolitana di Tunisi – comunemente chiamata “le Grand Tunis” – conta oltre due milioni e mezzo di abitanti e si estende su quattro governatorati: Tunisi, l’Ariana, Ben Arous e La Manouba
Negli ultimi decenni lo sviluppo impetuoso dell’urbanizzazione le ha conferito una fisionomia nella quale competono due modelli diversi: un po’ Parigi – nel restyling della vecchia città coloniale come nello sviluppo di linee metropolitane di superficie – un po’ Los Angeles – nel disordinato proliferare di un periurbano metà speculativo e metà abusivo sorretto dall’uso dell’automobile mentre le pur pregevoli opere di riqualificazione dell’antica medina, storicamente il cuore della città, non la sottraggono al rischio di spopolamento e gentrificazione (Chabbi 2016). In linea di massima, tra Tunisi e L’Ariana si trovano le aree residenziali pregiate e tra Ben Arous e La Manouba i quartieri popolari, in realtà zone molto ricche e molto povere si mescolano non solo all’interno dei governatorati ma negli stessi comuni. Ora le elezioni municipali costringeranno a pensare la metropoli in termini diversi. Perché quei quartieri dalle forti identità da entità puramente sociali sono improvvisamente diventate entità politiche.
Prima della Rivoluzione le municipalità – che non esistevano in tutto il Paese ma solo nelle zone più urbanizzate – avevano scarsa autonomia e scarse risorse essendo sottoposte alle direttive dello Stato centrale e dei suoi organismi periferici (i governatorati) e controllate dal partito unico Rcd del presidente-dittatore Ben Ali. Il voto per le rappresentanze locali, come per quelle nazionali, era una farsa che assegnava maggioranze bulgare allo stesso Rcd estromettendo ogni tentativo di presenze politiche alternative. Come risultato la popolazione locale faceva resistenza non pagando le tasse, praticando l’abusivismo edilizio e non andando a votare (Turki, Loschi 2017).
Dopo la Rivoluzione il decentramento politico è stato iscritto nella Costituzione. Si è proceduto a municipalizzare l’intero territorio creando nuove municipalità e rivedendo i confini amministrativi precedenti, si è adottata una legge elettorale accentuatamente proporzionale (prevede una soglia di sbarramento minimale del 3% e un meccanismo di distribuzione dei resti che favorisce le liste minori) e fortemente innovativa (obbliga le liste a rispettare l’alternanza tra candidati uomini e donne e la parità tra capilista dei due sessi, prevede quote obbligatorie di giovani e incentivi per l’inserimento di candidati portatori di handicap) e si è infine adottato (a campagna elettorale già iniziata) il Codice delle collettività locali che stabilisce concretamente poteri e risorse dei nuovi comuni. Si vota su liste bloccate ed i Consigli municipali contano da 12 a 60 membri a seconda del numero di abitanti del Comune. Il ruolo di sindaco coincide con quello di Presidente del Consiglio municipale: questo viene eletto dal Consiglio tra i capilista delle liste che hanno ottenuto uno o più seggi.
Il 6 maggio nelle 350 municipalità ha votato il 35,6% degli aventi diritto. Il grande vincitore è stato il partito islamico Ennahdha (30%) seguito a buona distanza dal suo partner di governo laico-statalista Nidà Tunès (23%) e, a notevole distanza, da due partiti della sinistra, il vecchio Fronte popolare e il recente Courant démocratique mentre tutti gli altri hanno raccolto briciole. Le cosiddette liste “indipendenti” (che noi chiameremmo liste civiche) hanno raccolto nell’insieme il 33% dei voti. Salutate dai media come il vero “primo partito”, esse sono in realtà un coacervo di emanazioni partitiche e resti del vecchio Rcd, notabili locali e giovani entusiasti, funzionari municipali e mondo associativo, vecchie volpi della politica e giovani e donne reclutati per riempire i rigorosi requisiti delle quote. Ciò non toglie che spesso nei comuni potranno essere l’ago della bilancia.
Questo è il resoconto di un viaggio nei quartieri periferici della capitale prima e dopo le elezioni del 6 maggio: nel tentativo di cogliere voci che raramente arrivano ai media mainstream. Qui, in tre brevi settimane di campagna elettorale, membri di partiti e membri della società civile si sono sforzati di spiegare ai loro concittadini – ai loro vicini di casa e di quartiere – che queste elezioni possono essere utili. Sono riusciti a convincerne solo poco più di un terzo. Ma quel terzo ha permesso di insediare per la prima volta nel Paese le cellule base della democrazia.
Verso sud: tra mare e montagna
Se la banlieue nord è nota per le sue località turistiche, le sue case nascoste da rampicanti di gelsomino e buganvillea, il suo patrimonio architettonico e i suoi alberghi di lusso, la banlieue sud, nel governatorato di Ben Arous, è associata al porto di Radès, a zone industriali, a nuovi insediamenti residenziali dove i prezzi scendono man mano che aumenta la distanza dal centro e dal mare. Ciononostante, non è affatto una regione omogenea. Il nucleo storico ingloba le vecchie residenze coloniali, le graziose villette di Mégrine e le ville pregiate del capoluogo Ben Arous; lungo la zona costiera proseguendo oltre il porto industriale si sgranano gli antichi villaggi di Ezzahra, Hammam Lif, Hammam Chatt; nelle aree interne i nuovi insediamenti abitativi di Mornag e El Mourouj, antiche zone agricole di vigneti, e ancora più all’interno i quartieri popolari di M’hamdiya e Fouchana.
Ben Arous è, in primo luogo, il prodotto del mostruoso sprawl urbano della capitale. Se i centri lungo la costa sono oggi serviti da una modernissima linea metropolitana, alle aree interne si accede solo con un sistema di autobus fatiscente oppure con l’automobile privata, scelta inevitabile per tutto il ceto medio e anche parte delle classi popolari. Lungo la superstrada che corre verso sud si alternano zone industriali, residui di zone agricole dove pascolano le pecore, nuclei abitativi cresciuti disordinatamente, spesso illegalmente, casette basse, negozi di frutta e verdura e – residui anch’essi degli insediamenti coloniali – insegne che recitano “Pharmacie” o “Pâtisserie”, il tutto dominato dalla polvere e da montagne di sacchetti di plastica.
Di prima mattina, lo svincolo per Bou Mhel el-Bassatine è un collo di bottiglia dove si ingolfano, a suon di clacson automobili e camion diretti alla zona industriale; il cantiere di un nuovo ramo di superstrada ha ridotto l’unica carreggiata di accesso al piccolo comune dell’interno. Davanti ad un nucleo commerciale che comprende un centro medico, un negozio di articoli sportivi e un caffè mi accoglie Takwa Trabelsi: ha trent’anni, una laurea in ingegneria informatica e una sfilza di master internazionali in management e conflict resolution. Ha creato e dirige uno studio di consulenza per decision-makers VIP a livello internazionale e fa formazione per leader nella regione MENA. Poi è anche sposata, ha un figlio e un secondo in arrivo. A Bou Mhel el-Bassatine ci è nata ed è stata presentata come capolista dal partito Ennahdha. Ma chi conosce questo piccolo comune che dista appena dieci chilometri dal centro di Tunisi? Ha 46 mila abitanti, zero attrazioni turistiche, zero imprese importanti. La sua popolazione è fatta di “molto ricchi e molto poveri”. I primi abitano nella zona collinare – alzando lo sguardo dalla strada polverosa ci si accorge che poco lontano, bianche villette si annidano nella macchia di vegetazione verde scura. I secondi abitano vaste aree di alloggi abusivi dove mancano i servizi, il verde, perfino l’acqua. Il traffico è uno dei problemi principali di questo pezzo di metropoli – vi contribuiscono la zona industriale, il pendolarismo di studenti e lavoratori – insieme a quello dei rifiuti. Gli spazi pubblici “sono pari a zero”: come in tutti quartieri popolari
Qui ha votato il 34% degli iscritti. Ha vinto Ennahdha che con il 30% si aggiudica 7 seggi, mentre Nidà Tounès con il 21% ne prende 5. Ma 5 seggi spettano anche alla lista indipendente “Al mustaqlat Bou Mhel el-Bassatine” arrivata seconda con il 22% che potrebbe allearsi con Courant démocratique (15% e 4 seggi) e i laico-progressisti dell’Unione civile (10% e 3 seggi). Si formerebbe così uno schema di 12 a 12, riflesso di quello politico nazionale. Il ruolo di sindaco spetterebbe a Takwa, capolista della lista vincente ma dipenderà dal formarsi di alleanze politiche. «Ma noi non vogliamo fare politica – dice Takwa – vogliamo fare».
Fare cosa? Se ci spostiamo sulle zone costiere cambiano il paesaggio, la composizione sociale, gli schieramenti politici, eppure alla fine troviamo le stesse priorità. Il comune di Hammam Chatt, sui 40 mila abitanti anch’esso, è assai più distante di Bou Mhel el- Bassatine dal centro di Tunisi (venticinque chilometri) ma ci si arriva comodamente con un treno metropolitano elettrificato, dotato di moderne carrozze con aria condizionata. Qui lungo la strada principale si allineano ridenti caffè e salons de thé, tutti “misti”, ovvero “per famiglie”, e molto frequentati dai giovani. I marciapiedi, bordati da cespugli e fiori ornamentali, sono un invito a praticare lo spazio pubblico. Il comune è una località balneare, ha una università, un polo tecnologico, un parco naturale in progettazione, una zona industriale, un pezzo di parco nazionale. È una città di classe media – con disparità sociali – e sono aspirazioni di classe media quelle che la popolazione esprime.
Queste aspirazioni hanno trovato la loro rappresentanza in Fethi Zagrouba, capolista della lista indipendente “Medinatna”, ingegnere chimico sulla cinquantina, docente universitario, con specializzazioni scientifiche, pedagogiche e manageriali ottenute in Francia, che di Hammam Chatt è stato consigliere e vice-sindaco tra il 1995 e il 2005, e poi di nuovo nel 2010 – giusto in tempo per «assicurare la continuità della gestione» nel 2011, al momento della Rivoluzione, assumendo il ruolo di sindaco ad interim. Nella sede della sua lista – un locale nuovo e ben attrezzato, con lungo tavolo, bandiere nazionali, pacchi di volantini – ha convocato i principali candidati e i responsabili dei gruppi di lavoro che lo ascoltano attentamente mentre si servono i rinfreschi e in un angolo dolci e bibite sono pronti per la festa di chiusura campagna nel pomeriggio.
Una lista «basata sulle competenze di architetti, ingegneri, agricoltori, formatori professionali, insegnanti, funzionari del Ministero degli Interni, infermieri, medici, personalità dotate di esperienza», precisa Fairouz Ghariani, ventinovenne dottoranda in Chimica, sposata con due bambini piccoli, attiva in diverse associazioni scientifiche nonché nel consiglio municipale dei giovani (“Jeune Chambre”), candidata e responsabile della commissione femminile che aggiunge: «Noi giovani abbiamo bisogno di essere guidati. Io avevo sentito parlare di Fethi. Il mio amore per la comunità mi ha spinto ad impegnarmi nel suo movimento».
Sul metodo di formazione della lista Fathi spiega: «Abbiamo selezionato gente conosciuta e qualificata. Hanno costituito ciascuno intorno a sé dei nuclei che si sono sviluppati in cellule di quartiere. Il compito di queste è stato di selezionare i profili adatti alle candidature. Non c’è posto per interessi particolaristici». Aggiunge: «Siamo strutturati come un partito politico locale ma in modo informale». Una struttura che ricorda il vecchio Rcd. Sulla matrice politica della lista indipendente peraltro Zagrouba è esplicito «Nidà Tounès era per noi era un faro luminoso ma poi ha formato il governo con Ennahdha …». Il programma della lista è il solito: «Abbiamo ascoltato i cittadini. Vogliono infrastrutture, servizi, pulizia». Fethi vi aggiunge «la buona gestione e l’autofinanziamento tramite partenership pubblico-privato e cooperazione internazionale». Alla vigilia delle elezioni Zagrouba è sicuro: «Quando torna ci troverà al municipio …».
Aveva ragione. A Hammam Chatt il tasso di partecipazione è stato del 36%, e Medinatna, con il 27% dei voti, si è piazzata al primo posto seguita a distanza da Nahdha (22%) e Nidà (21%). Courant démocratique 14%, Fronte popolare 6%. Fairouz, da neo-eletta, spiega:
Mohammed Amine Sdiri, che a Hammam Chatt è stato candidato non eletto nelle liste di Ennahdha, non vede le cose in termini molto diversi. Questo ingegnere dei trasporti, nativo di Hammam Chatt ma espatriato per formarsi in Francia, attualmente consulente per il Ministero dello Sviluppo, rappresenta quella nuova classe politica che ha incominciato a emergere in queste elezioni. Il discorso è sempre quello. «Abbiamo cercato di ascoltare la gente. Vogliono la pulizia. Dei programmi e degli spazi culturali. Dei servizi bene organizzati». Anche Sdiri pensa che il problema principale sia «l’organizzazione del lavoro municipale, molto carente». E che occorra «essere realisti e puntare sulla buona gestione delle risorse municipali». Con questa sostanziale convergenza di vedute è possibile un rigido schema governo/opposizione? Sdiri non lo pensa.:
«la formazione delle coalizioni – i negoziati sono ancora in atto – avrà rilevanza per l’elezione del sindaco. Poi si punterà a lavorare insieme. Sì, è vero, in liste indipendenti come Medinatna c’è di tutto, anche ex quadri Rcd o simpatizzanti senza tessera. Ma per il futuro ciò che conta veramente è che in comuni come il mio ci conosciamo tutti. Ognuno di noi ha amici e parenti sparsi in liste diverse. Io per esempio ho una cugina in una lista, un amico d’infanzia in un’altra …».
Sdiri era ben consapevole di essere candidato in un comune dove Ennahdha è minoritaria. Prima delle elezioni dichiarava: «Sono molto fiero e felice di quanto avviene in Tunisia. Sono sicuro che siamo sulla buona strada. È quello che mi ha convinto ad abbandonare la mia carriera di giovane manager bene avviata all’estero, e a tornare in patria». Dopo le elezioni la sua posizione non cambia: «È importante che queste elezioni abbiano avuto luogo. Le assemblee municipali sono il pilastro della democrazia. Noi di Ennahdha siamo soddisfatti».
Si tratta di una soddisfazione che contrasta con la delusione di altri come quella di Wided Sadfi, 38 anni, docente universitaria in Diritto e Finanza pubblica, candidata nel comune di Hammam Lif , dove ha sempre vissuto, nella lista indipendente “Nabdih Hammam Lif” che significa più o meno: “Il battito del cuore di Hammam Lif”. Il nome della lista e il suo logo (un cuore che racchiude montagna e mare) rivelano insieme l’entusiasmo e l’ingenuità dei suoi fondatori. Il comune, che fino a poco tempo fa inglobava anche Hammam Chatt ha un passato importante di località balneare e termale celebre e di ex residenza beylicale. Cittadina animata con una bella spiaggia, dominata dall’inconfondibile profilo del Boukornine, il monte dalla doppia punta, ha sofferto negli ultimi anni di un forte degrado ambientale.
Il tasso di partecipazione al voto qui è stato superiore alla media nazionale, raggiungendo il 38%. Ma a differenza di Bou Mhel el-Bassatine e di Hammam Chatt in questo comune che conta anch’esso sui 40 mila abitanti ci sono state ben 11 liste a contendersi 24 seggi. Nidà Tunès è arrivata in testa con il 34% dei voti e nove seggi, seguita da Ennahdha con il 28% e sette seggi: di che assicurarsi una comoda maggioranza in consiglio. Per il resto, il voto si è polverizzato in una pletora di listarelle indipendenti, riuscendo a mandarne in consiglio ben sei di cui cinque con un seggio ciascuno. Tra queste la lista di Wided che era la numero 2 – da cui la delusione, simile a quelle di molti esponenti di liste come questa nate “dal basso”. Racconta:
Ne è risultato un programma «non ideale bensì realista» aggiunge come tutti. Anche le priorità sono sempre quelle: la nettezza urbana e le infrastrutture, cui si aggiunge il patrimonio culturale, il risanamento della spiaggia, e risorse per il tempo libero e lo sport dei giovani. E come tutti Wided riconosce che «il budget municipale è piccolo, occorre lavorare sull’investimento privato e sulle partnership pubblico-privato». E come tante piccole liste, “Nabdih Hammam Lif” alla fine avrà mandato in consiglio solo il capolista il quale – come in molte liste indipendenti – è un uomo e non è giovane.
Le aree interne: tra città e campagna
Quando ci si allontana dalla costa si entra nelle “aree interne”, ovvero «quelle aree significativamente distanti dai centri di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate per natura e a seguito di secolari processi di antropizzazione» [1].
M’hamdiya, nel governatorato di Ben Arous, è rappresentativa dell’estensione urbana che divora pezzi di campagna, seguendo l’andamento del mercato fondiario e lasciando larghe macchie di zone rurali – uliveti, pascoli – oltre le quali riemerge la città. In questo quartiere a 16 chilometri dal centro, in direzione sud-ovest, che cela resti importanti di archeologia romana e fasti beylicali totalmente ignoti al turismo, si arriva esclusivamente in macchina, con taxi collettivi o autobus radi e sovraffollati. I suoi mercati sono intensamente frequentati, così come le moschee i cui minareti spuntano ovunque. Come in molti quartieri popolari l’identità islamica – in senso non solo religioso ma politico, sociale e culturale – è forte. Le notti del mese di Ramadan – iniziato subito dopo le elezioni – a M’hamdiya come nel comune adicente di Fouchana le strade sono dense di gente, famiglie, bambini, giovani, dalle moschee si eleva nelle strade il salmodiare delle preghiere notturne di attarawih, mentre nelle distese infinite di caffè siedono gli uomini e di fronte alle innumerevoli bancarelle si assiepano famiglie con bambini.
Con i suoi 64 mila abitanti M’hamdiya ha diritto a 30 seggi. Sabato pomeriggio, la vigilia delle elezioni, il seggio di Nida’ Tunes, che si trova accanto all’ufficio di maître Zouari Abd al Hamid, notaio cinquantenne capolista locale, è effervescente. File di persone in attesa di istruzioni (come votare? con quali documenti?). Briefing dei giovani osservatori elettorali e rappresentanti di lista. Maître Zouari siede ad un scrivania di legno, alle spalle la bandiera della Tunisia e quella del suo partito. Spiega che non ha mai fatto politica prima – non aveva tempo – che si è deciso per rispondere alle pressanti richieste ricevute e perché pensa di poter portare qualche idea nuova al governo della città: cambiare i metodi di implementazione delle politiche, portare risorse aggiuntive con le partnership pubblico-privato. Da notaio che se ne intende aggiunge anche la sburocratizzazione dell’amministrazione. Il suo programma è lunghissimo ma in testa vi sono le stesse priorità che altrove: infrastrutture (strade, giardini pubblici, reti fognarie e acqua potabile) e servizi (sanitari e scolastici).
A M’hamdiya ha votato il 30% degli aventi diritto e non si è presentata una sola lista indipendente. Ennahdha prende il 60% tondo dei voti e porta a casa 18 seggi mentre Nida’ Tunes lo segue a grande distanza (il 15% e 5 seggi). Gli altri sette seggi sono spartiti tra tre partiti minori – come se in questo quartiere non ci fosse spazio per trastullarsi con liste civiche dai nomi più o meno fantasiosi che sorgono invece nei quartieri piccolo borghesi.
El Mnihla, altro quartiere grande e popoloso (oltre 80 mila abitanti e 30 seggi) sorge nella direzione opposta, a nord-ovest, nel governatorato dell’Ariana, dove sono i quartieri eleganti di El Menzah, La Soukra e Ennasr ma dove si trova altresì, a soli sei chilometri dal centro, il famigerato quartiere di Ettahdhamen che deve la sua cattiva reputazione tanto alla presenza di furto e spaccio quanto a quella di gruppi di salafisti radicali i quali a furto e spaccio (e all’alcool) fanno la guerra anche passando a vie di fatto. Di Ettadhamen la nuova municipalità di El Mnihla faceva parte fino a recentemente. Dal centro una linea metropolitana di superficie che risale agli anni ’90, dotata di mezzi moderni, attraversa Ettadhamen e si ferma a Intilaka, importante hub urbano con mercato alimentare e mercato dell’usato, una varietà di negozi e anche giardinetti. Da Intilaka a Joumhouria, frazione di El Mnihla, si può andare a piedi ma occorre circa mezz’ora. L’alternativa sono i taxi collettivi o individuali, poco frequenti ambedue. La passeggiata si snoda in un’area urbanizzata, perlopiù fatta di piccole case o villette che denotano livelli variabili di benessere, talvolta con la ricerca di un tocco gentile nella decorazione delle porte, nelle piante davanti all’uscio o sui muretti di separazione. Ci sono scuole elementari e piccoli chioschi di bibite ma l’unico spazio pubblico sono i soliti caffè per soli uomini che durante il Ramadan si riempiono dopo l’iftar mentre nelle strade giovani donne camminano spedite trascinandosi al seguito come un trolley una bimbetta per andare a sedersi su qualche muretto in compagnia di altre donne.
El Mnihla comprende quartieri lussuosi come i recenti Jardins d’El Menzah e Ennasr, quartieri molto poveri come Achaich, Basatine e Sanhaj, e quartieri intermedi come Joumhouria e Rafeha. I quartieri più ricchi non sfuggono al degrado delle infrastrutture e dell’ambiente mentre quelli più poveri possono essere sprovvisti di acqua potabile, reti fognarie e strade asfaltate e ovunque l’abusivismo accresce i problemi. È di Joumhouria un’altra candidata di lista indipendente, anche lei giovane e entusiasta, anche lei votata alla delusione: Amna Akaichi, 27 anni, studentessa di Giurisprudenza e Scienze politiche. Anche la sua lista nasce dal basso, con un altro nome che riflette entusiasmo ed ingenuità: Nahm, nastatiy’ ovvero Yes we can. È stata creata da giovani che si sono conosciuti all’università.
Hanno fatto come tutti il porta a porta. Poi sono arrivati i risultati. Se M’hamdiya è sotto la media nazionale qui il tasso di partecipazione al 24%. Quasi metà dei voti (48%) vanno a Ennahdha (14 seggi) seguita a distanza da Nidà Tunes (23%, 7 seggi). La delusione di Amna (non eletta) è grande ma conta di continuare ad impegnarsi, anche grazie a quei due candidati della sua lista entrati in consiglio dove potranno fungere da raccordo con i loro elettori e concittadini.
Da Joumhouria vengono anche Rawda e Wided, 24 e 25 anni. Loro come tanti giovani del quartiere a votare non ci sono andate. Lavorano ambedue come assistenti in un centro sociale per malati di Alzheimer che impiegano un’ora a raggiungere. Il loro disinteresse per queste elezioni è totale Esprimono la convinzione che tutti i politici intascano soldi frutto di corruzione. Ma si animano quando parlano del loro quartiere. Rawda mi mostra i luoghi della sua infanzia, la scuola, le strade che percorreva. Wided racconta di bambini che giocavano per strada con giochi improvvisati, rudimentali altalene, aquiloni fatti con buste di plastica, di merende a base di pane olio e zucchero, di frutta raccolta dai muretti, di maschietti che per lei erano come fratelli e di un padre che la lasciava libera perché la voleva forte e indipendente. Lamenta che oggi non è più così, internet e smartphone hanno prodotto isolamento, il consumismo dilaga e le relazioni tra ragazzi e ragazze hanno perso la loro innocenza. Ciononostante le due ragazze il loro quartiere lo amano, caldo luogo di intense amicizie e di forti identità. Non sognano affatto di cambiare quartiere ma, caso mai, paese.
Verso ovest, infine, in direzione della montagna e del confine algerino, i quartieri di edilizia intensiva formale e informale lasciano il posto alla campagna in un paesaggio dove si alternano lunghe distese di zone agricole – in parte intatte – oltre le quali riappare una città fatta di casette basse e piccole botteghe lungo le strade principali dei quartieri, e di villette ora modeste ora più eleganti nelle viuzze secondarie. È questo il tipico paesaggio di Chawatt, frazione di Jdeida, un comune di 45 mila abitanti, a venticinque chilometri dal centro, che ha come simbolo il carciofo, prodotto caratteristico di questa zona ancora parzialmente agricola (un gigantesco carciofo in pietra troneggia in mezzo alla rotatoria di accesso alla città). Il comune comprende tre settori, Jdeida vecchia, Jdeida nuova e Chawatt.
Hassan Korbaj ha 65 anni. Originario del Sahel come Burghiba, di cui è un ammiratore, vive a Chawatt da quasi quarant’anni. Sposato e padre di cinque figli, è pensionato dopo aver fatto il quadro intermedio nei cantieri. Ai tempi di Burghiba era membro della cellula del Neo-destur di Chawatt. Ha abbandonato la politica ai tempi di Ben Ali, vi è tornato dopo la Rivoluzione, iscrivendosi a Nidà Tunes. Deluso dall’accordo tra Nidà e Nahdna decide con alcuni amici di fondare un nuovo partito e di presentarsi alle elezioni municipali con la lista ‘Il Lavoro e la Speranza’.
«Tutti eravamo impegnati in altri partiti – Nahdha, Nidà, Fronte popolare – che non hanno funzionato bene. Il nostro capolista è stato sindaco dal 2011 al 2017 quando è stato sostituito dal Ministro dell’Interno. La nostra lista comprende molti giovani e tutti i candidati sono diplomati: funzionari pubblici, ingegneri, insegnanti, tecnici. Li abbiamo selezionati per conoscenza personale o tramite le nostre reti». Il programma ha una ventina di punti ma come ovunque in testa c’è la pulizia, i servizi a rete (luce e gas, acqua potabile e fognature), le strade. Ma Korbaj sogna di una Casa della Gioventù, una biblioteca, un cinema perché «oggi i ragazzi si ritrovano nei caffè o semplicemente in strada, le ragazze in casa e molti giovani finiscono su una brutta strada». Per Korbaj si tratta di un problema sociale, non securitario: «Qui ci conosciamo tutti, si vive in famiglia, l’unico problema è il rumore dei ragazzi che giocano a calcio in strada di notte».
A Jdeida il tasso di voto si mantiene poco sotto la media nazionale (il 33%) e la lista indipendente “Il lavoro e la speranza” miete un buon successo, piazzandosi al secondo posto con cinque seggi, subito dopo Ennahdha (31%) che ne ottiene sette e prima di Nidà Tunès che con l’11% ne ottiene appena tre. Potrebbe dunque scardinare il duopolio Nidà-Nahdha ma non sarà necessariamente così e Korbaj, dopo le elezioni, è arrabbiato e deluso: «Nella nostra lista c’erano un paio di candidati che provenivano da Ennahdha, partito con il quale giuravano di non volere aver nulla a che fare. Ma adesso si preparano a dare i loro voti per il sindaco al capolista di Ennahdha».
I grandi progetti: tra il porto e il lago
Esiste infine una terza tipologia di quartieri metropolitani, quelli dalle connotazioni postmoderne sviluppatisi intorno ai “grandi progetti”, cioè quei complessi urbani pregiati – fronti d’acqua, malls di ultima generazione, parchi tematici, tecnopoli – realizzati con forti investimenti stranieri, attrattori di pubblici misti e tipici delle città globali (Cattedra 2010).
A breve distanza dal centro, Halk al Oued ovvero La Goulette è un nome che evoca un pezzo della vecchia Tunisi, pittoresco e tradizionalissimo, porto di pescatori, quartiere di operai e pescatori immigrati venuti dall’Italia e dalla Francia, dove musulmani, cristiani ed ebrei per secoli hanno condiviso i pasti conviviali che accompagnano le loro feste religiose, stazione balneare dove le sere estive famiglie di tutti i ceti affollano le trattorie, in cui si serve il pesce fritto e i brik, e i caffè lungo la spiaggia. Ma la municipalità di Halk al Oued è costituita oggi da tre quartieri: La Goulette, El Aouina e Lac 2. Al vecchio quartiere popolare sul quale la speculazione edilizia aveva già messo gli occhi ai tempi di Ben Ali si affianca così quello di Al Aouina, sorto su una zona di frutteti per fornire alloggi di edilizia residenziale abbordabile al ceto impiegatizio di stato, e quello dei nuovi centri residenziali e direzionali delle Berges du Lac, edificati sui terreni creati dalla bonifica della laguna di Tunisi, nati dal grande progetto di risanamento della laguna di Tunisi (Signoles 2006).
È proprio qui, nel complesso denominato Lac 2, che incontro Amine Riahi, candidato indipendente nelle liste di Ennahdha che ha appena 25 anni e si integra perfettamente nel paesaggio urbano post moderno di questo grande progetto fatto di grattacieli tutti vetri e specchi, brand di lusso e caffè di tendenza. Il suo ufficio è in un co-working super attrezzato che ospita business center, uffici di consulenza e startup – «Facciamo parte delle dieci top startup» mi comunica prima ancora di presentare il suo cv. Breve ma intenso: diploma in Economia industriale, specializzazione in risorse umane, master in management, impegno nella società civile a partire dal 2011 quando approfitta della ritrovata libertà di espressione per fondare l’“Associazione Tunisina dei Dibattiti” che promuove la cultura della discussione e dell’argomentazione, passione che si unisce a quella per gli sport elettronici. Ha sviluppato una rete che opera in tutto il Nordafrica e collabora con diverse università nell’ambito di competizioni di dibattito; lui stesso è giudice e rappresentante della Tunisia. Appartiene alla nuova generazione che si lascia il francese alle spalle (anche se Amine lo parla bene) privilegiando l’inglese e l’arabo letterario, competenze che ha esercitato anche nel programma “Young Arab Voices” della Fondazione Anna Lindh, volto a promuovere le capacità oratorie di giovani leader.
Il suo impegno politico è recente poiché pensa che «lo sviluppo di un giovane deve passare attraverso stadi successivi: prima quello personale, poi quello associativo, infine quello politico». Quindi «ho deciso che era tempo che mi occupassi di politica e poiché prevedo che vi saranno grossi cambiamenti a livello locale ho deciso di iniziare la mia carriera politica a quel livello. Ho cercato un partito in cui impegnarmi e la mia scelta è caduta su Ennahdha. È stata una scelta individuale, i miei genitori sono i miei consiglieri ma alla fine decido da solo. Ennahdha è l’unico partito bene organizzato, istituzionale, solido, con una democrazia interna».
A Halk el Oued ha votato circa un terzo degli iscritti e il grande vincitore è Nidà Tounès (35%) che distanzia molto Ennhdha (23%) seguito da vicino da due liste indipendenti con rispettivamente il 21% e il 15% dei voti. Ciò non turba Amine il quale non ha l’ingenuità dei giovani candidati di alcune liste indipendenti e conosceva perfettamente il contesto nel quale il suo partito lo candidava. L’esperienza della campagna elettorale per lui conta in sé stessa.
«Quando sono tornato in Tunisia dall’estero per prendervi parte ero davvero felice: fare il porta a porta, parlare con la gente, ascoltare, capire – il mercato, i prezzi, la luce, la sporcizia – è stato utile a me come a loro. Credo che una campagna elettorale si basi fondamentalmente sulle relazioni faccia a faccia, malgrado l’importanza dei media e dei social network. La gente mi conosce, sa che ho successo. La gente si fida di Ennhdha perché mette nelle sue liste persone che riescono in quello che fanno».
Tirando le fila
Cosa abbiamo appreso da questo giro nei quartieri della metropoli meno esposti ai media? In primo luogo è emersa una straordinaria somiglianza nel linguaggio dei candidati, come se tutti avessero fatto un briefing con le stesse società di formazione politica. Tutti promettono il riordino della macchina amministrativa e il reperimento di risorse aggiuntive tramite partnership pubblico-privato. Quasi tutti dichiarato che occorre «essere realisti» e «non fare troppe promesse». E quasi tutti i cittadini hanno chiesto la pulizia delle strade e lo sviluppo delle infrastrutture.
In secondo luogo è emersa una propensione al voto più alta nei quartieri di ceto medio che nei quartieri popolari della capitale. Nei primi inoltre si sono affermate le liste indipendenti mentre nei secondi tengono i partiti. In terzo luogo tutti concordano sull’importanza delle conoscenze personali. Ai fini dei risultati ciò che conta è quanto i candidati sono conosciuti e ciò che hanno alle spalle: partiti, reti, esperienza. In quarto luogo le elezioni, grazie ai meccanismi fondamentali della parità tra i sessi e delle quote giovani nella formazione delle liste, nonché del proporzionale puro nel sistema elettorale, sono state la palestra di una nuova classe politica in formazione fatta di donne e giovani alla loro prima esperienza. Infine le relazioni faccia a faccia sono state al cuore della campagna elettorale malgrado l’importanza dei media e dei social network.
Oggi che la metropoli tunisina corre il rischio di trasformarsi da città in conurbazione, e di veder scavare ulteriormente le fratture sociali, il compito di “fare città” appare affidato ai quartieri, soprattutto quelli che hanno conservato un’anima popolare o residui di solidarietà sociale. Le elezioni municipali saranno in grado di far rivivere queste due componenti essenziali della civitas, affinché non si riduca a urbs? Se uno cerca su internet notizie dei quartieri si imbatte in annunci di promotori immobiliari. Una narrazione dei quartieri che oggi manca potrebbe sorgere dall’intreccio di microstorie che hanno prodotto i primi comuni democratici nella storia del Paese.
Nota