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Marco Guerzoni
Bologna e la pianificazione dell'incertezza
27 Marzo 2004
Bologna
Intervento di Marco Guerzoni, per la "Compagnia dei Celestini", al convegno "La qualità delle città: dove va l'urbanistica in Italia?", organizzato dalle associazioni Aprile e Polis - Roma 26 ottobre 2002

Non nascondo che raccontare dell'urbanistica bolognese è per me come raccontare di un grande maestro, quando di lui si cominciano a capire anche i lati più complessi e oscuri, le pieghe più critiche e i difetti profondi.

Così oggi, con la necessaria umiltà, racconto a voi il lato dell'urbanistica bolognese che non sta nell'immaginario collettivo, cioè non la "mitica" Bologna della tutela della collina, del Peep centro storico, delle periferie vivibili e ottimamente servite, dei piani urbanistici paradigmatici; oggi racconto invece cosa è successo a Bologna negli anni novanta, quando si è cominciato ad attuare il PRG '89, e quando, contestualmente, si è cominciato a derogarlo, fino a rendere la "città del mito urbanistico", oggettivamente, quotidianamente, critica sotto il profilo della vivibilità generale. So che qualcuno, alla fine, penserà che Bologna è ancora una città molto vivibile se la confrontiamo con altre realtà italiane: questo è vero, ma a me interessa registrare il recesso della cultura urbanistica e politica che qui si è verificato; capire e raccontare perché Bologna non produce più buone pratiche.

Ho pensato di intitolare il mio intervento "Bologna e la pianificazione dell'incertezza" per tre motivi:

1. perché lo strumento che nell'89 è stato varato, cioè la Variante Generale al PRG, è uno strumento che conteneva geneticamente l'incertezza, in particolare l'incertezza sulla dimensione fisica che la città avrebbe dovuto assumere nell'orizzonte degli anni di validità del Piano, cioè i suoi previsti "carichi urbanistici". Con ciò voglio dire che quel piano è nato con delle qualità indubbie nella versione adottata nell'86, ma alla sua approvazione - dopo tre anni - conteneva nelle norme e "nelle strategie" delle previsioni di crescita e un mix d'usi non definiti in maniera accettabile, e dunque oggettivamente non relazionati alle dinamiche sociali, demografiche ed economiche che in quegli anni di formazione del Piano già si cominciavano a presagire; per di più, quel Piano, non è riuscito a trovare nella sua attuazione la necessaria coerenza con la questione della mobilità dei cittadini e delle merci, immobilizzando di fatto, per oltre 10 anni, lo sviluppo delle tecnologie e delle reti di trasporto pubblico di massa;

2. la seconda ragione del titolo di questo mio intervento riguarda l'attività di edificazione che negli anni novanta si è svolta al di fuori del Piano Regolatore, a partire dai Programmi Integrati per arrivare a quelli di così detta Riqualificazione, fino al ricorso ordinario all'Accordo di Programma;

3. la terza ragione riguarda l'incertezza degli obiettivi dell'azione pubblica e politica in questi ultimi anni: il bilancio degli atti "urbanistici" conseguenti a questa incertezza evidenzia una chiara e pesante condizioni di crisi della città.

Capire queste tre incertezze, quella del Piano, quella del "non-Piano" e quella relativa ai loro effetti sulla città di oggi, credo sia utile a comprendere "dove va l'urbanistica" bolognese in questo difficile inizio secolo.

Bologna ieri e oggi

Bologna è una città che perde residenti ormai dal censimento del 1971: la popolazione a quel censimento era di 490.128 residenti, nel 1981 si riduce a 458.939, e oggi, secondo i dati provvisori del nuovo censimento i residenti sono meno di 370.000. Il numero di famiglie è passato da 171.233 del ’91 a 176.931 del censimento 2001 (2,33 individui/famiglia nel ’91 e 2,06 nel 2001).

Nell'intervallo intercensuario '71-'91 le abitazioni complessive aumentano da 173.222 unità a 190.154, ma quelle non abitate addirittura raddoppiano, passando da 10.637 del 1971 a 21.438 del 1991.

Nel frattempo, la sua vocazione terziaria e di città universitaria si consolida. Centomila studenti iscritti all'ateneo bolognese e un peso del tutto marginale degli addetti nell'industria, che rappresentano oggi meno del 16% degli addetti totali.

Ma la città si trasforma radicalmente anche sotto il profilo fisico: negli anni cinquanta la superficie urbanizzata del comune era di circa 1.400 ettari, negli anni ottanta aumenta fino a 3.800 ettari e oggi, nel duemila, la superficie urbanizzata di Bologna è di oltre 5.800 ettari: questo significa che in cinquant'anni il suolo urbano si è praticamente quadruplicato, e la sua incidenza sul suolo agricolo o "non urbano" (cioè la collina, le aste fluviali e i cunei periurbani) è passata dal 10% degli anni cinquanta a oltre il 40% di oggi. Ma questo significa anche che un cittadino bolognese solo vent'anni fa - negli anni '80 - aveva a disposizione circa 80 metri quadrati di suolo urbanizzato mentre oggi ne ha a disposizione oltre 150, cioè quasi il doppio.

Non c'è tempo di raccontare come queste quantità siano anche delle qualità, perché Bologna è cresciuta ma ha saputo farlo bene, almeno fino ad un certo periodo storico, almeno fino a quando è stato chiaro l'obiettivo pubblico delle trasformazioni. Qui m'interessa invece darvi la misura del problema, per dire che queste radicali trasformazioni hanno oggettivamente trasformato il ruolo della città, le sue relazioni interne ed esterne, hanno trasformato e dissolto i confini, al punto che oggi Bologna è un organismo assai più vasto e complesso di quel che i confini amministrativi racchiudono. Quei confini su cui negli anni ottanta si è costruita la Variante Generale al PRG.

1985-1989: due Piani, diversi obiettivi, una mutazione genetica

Il PRG che si forma nei primi anni ottanta viene discusso dal Consiglio Comunale nel 1984, ma l'iter viene sospeso per una "rottura" politica tra la componente Comunista e quella Socialista. Nella primavera dell'85 dalle elezioni amministrative si forma una nuova giunta, sostanzialmente monocolore, composta dal Partito Comunista, con l'appoggio esterno dei Socialdemocratici e dei Repubblicani. Nel luglio dell'anno successivo il Piano viene finalmente adottato, ma nell'autunno dello stesso anno la Giunta fu modificata, allargandosi alla compagine Socialista: negli anni che seguirono, dalle controdeduzioni all'approvazione, all'attuazione, il PRG appare drasticamente difforme, nei contenuti, nelle dimensioni e nelle strategie, dal Piano adottato nell'estate dell'86!

Esso, nella versione adottata, conteneva importanti innovazioni, ma soprattutto conteneva forti obiettivi d'interesse pubblico:

1. si proponeva la logica della trasformazione e della qualificazione degli insediamenti esistenti come scelta portante dell'intero progetto;

2. Bologna era considerata come un elemento non chiuso ma organico ad un sistema regionale, grazie anche alle esperienze del PUI e del PIC;

3. la nuova strumentazione tendeva a qualificare le periferie intermedie, tra il centro storico e le zone Peep degli anni '70;

4. si attribuiva alle Zone Integrate di Settore, cioè le grandi aree interstiziali tra la prima periferia e l'arco della tangenziale, il ruolo di spina dorsale dello sviluppo dei nuovi insediamenti residenziali e terziari, strutturando questo sviluppo attorno a un asse di trasporto pubblico di massa in sede propria. E' un queste zone che per la prima volta si potrà parlare di due temi che in futuro diverranno molto rinomati: la perequazione e la riqualificazione! (badate, entrambe all'interno di un solido processo di Piano);

5. si ribadiva la salvaguardia della collina, sulla base del piano approvato nell'82;

6. si ribadivano le scelte riguardanti la salvaguardia del centro storico, rafforzandole, individuando in esso il luogo principale per le funzioni di carattere pubblico, culturale e formativo;

7. si individuava la così detta "fascia boscata” al di sotto la tangenziale e al di sopra della ferrovia, come parte di un ecosistema urbano che faceva da cornice alla città, con le aste fluviali del Savena, del Reno e con la collina;

8. Infine, ma non ultimo, il dimensionamento del Piano, attestato su 6.500 nuovi alloggi circa, che oggi per altro risulta molto ragionevole, anche alla luce dell’aumento del numero di famiglie, pari a circa 5.700 unità, avvenuto nell’intervallo intercensuario ’91-2001.

Come ho già detto questo Piano non è quello che fu attuato a partire dal 1990. Nella fase immediatamente successiva all'adozione infatti gli equilibri politici, i rapporti di forza, si complicarono; vennero meno gli obiettivi di chi aveva pensato al piano quale strumento per il governo degli interessi pubblici. Il tutto con disastrose conseguenze:

1. si gonfiarono in modo sconsiderato gli indici edificatori, con la conseguenza di raddoppiare le previsioni urbanistiche originarie;

2. si introdussero - con serie incertezze giuridiche - meccanismi premiali sugli indici, fino al 20% in più, con l'unico scopo di velocizzare l'attuazione del Piano;

3. con un cambiamento, apparentemente innocuo, della definizione di Superficie Utile (da lorda a netta) si concessero implicitamente ulteriori possibilità edificatorie, in modo del tutto casuale, e si premiò la rendita fondiaria;

4. nelle zone investite da nuova edificazione, non si garantì il mix funzionale, perché si scardinò il principio della "percentuale minima di usi garantiti", lasciando invece al mercato la libera allocazione delle funzioni: e il mercato ha risposto con case, case, case, e un po' di terziario!

Successe insomma che l'incertezza politica di quella fase modificò incertamente anche la paternità del Piano: chi l'aveva proposto e pensato non era più chi lo stava portando avanti. Ma la stessa incertezza, in fase di controdeduzione alle osservazioni, modificò gli stessi obietti e criteri con cui si andava a rispondere alle osservazioni. Nel frattempo, sempre in quei tre anni, a complicare le cose, molte delle aree in Piano cambiarono di proprietà, innescando ulteriori aspettative di rendita, e complicando le relazioni tra il pubblico e i "nuovi" privati.

Privati che però, ben presto, cominciano ad avvertire che da quel Piano sorgono notevoli problemi: ad esempio le zone terziarie e per il produttivo avanzato sono così sovradimensionate da non incontrare la reale domanda; gli indici poi, nelle zone residenziali, sono così elevati che in alcuni comparti interstiziali, risulta oggettivamente impossibile reperire gli standard minimi di legge: con uno standard di 1 mq per ogni mq di superficie edificabile - com'è il caso Emiliano - quando l'indice di utilizzazione territoriale si avvicina a uno, è molto difficile rispettare la norma!

Gli anni del "non Piano"

Il Piano quindi fatica a decollare, per le sue stesse incertezze, e soprattutto perché esplode di fatto un conflitto tra chi gestisce le aree e chi deve gestire il Piano. Mentre nel dibattito nazionale cominciano ad apparire, per complicate questioni che qui non riassumo, i così detti "programmi complessi".

Sebbene la legge che prevede i "piani integrati" sia del 1992, le incerte vicende di questo strumento inducono la Regione Emilia-Romagna ad introdurlo solo nel 1995, con la legge numero 6 (articoli 20 e 21).

Nel luglio 1996, il Consiglio Comunale di Bologna approva un ordine del giorno intitolato “per l’attivazione di interventi in materia urbanistica” [1], con il quale la Giunta viene impegnata a definire nuove modalità di intervento, sulla base di alcuni criteri di "sostenibilità" degli interventi e in coerenza con la legge 179/92.

Nell’aprile del 1997, un anno dopo, il Consiglio delibera quindi le procedure per la promozione e l’approvazione degli interventi di recupero e riqualificazione urbana [2].

Si procede mediante un bando pubblico per la presentazione di proposte di intervento da parte di soggetti pubblici e privati, che l’Amministrazione si riserva di valutare nel merito per definirne l’ammissibilità ed arrivare alla formazione di una variante specifica al PRG che ne consenta l’attuazione. La stessa procedura si applica relativamente alla valutazione di ipotesi di dismissioni industriali, che vengono valutate in un tavolo specifico, con la partecipazione delle organizzazioni sindacali e della Conferenza metropolitana.

La procedura di valutazione si conclude nel dicembre del 1997, definendo l’ammissibilità di 23 dei 51 interventi proposti. Delle 23 proposte ammesse alla concertazione, 7 riguardano aree non edificate. 11 comparti hanno destinazione quasi esclusivamente residenziale e altri 6 hanno più della metà della superficie con medesima destinazione.

Oggi, in un momento in cui si possono apprezzare nella loro consistenza materiale i primi risultati dell’attuazione dei programmi integrati, è possibile cominciare qualche seria valutazione.

Innegabilmente, si sono ottenute alcune contropartite a favore della collettività:

- in vari casi la cessione di aree pari al doppio degli standard minimi di legge o anche di più;

- in qualche caso qualche onere di opera pubblica a carico degli attuatori;

- in qualche caso qualche alloggio convenzionato in affitto.

Disastrosi i casi invece di ridislocazione industriale nei quali le contropartite dovevano essere rappresentate da presunte garanzie occupazionali, sulla tenuta e l’efficacia delle quali l’insuccesso è completo.

L’impressione, in complesso, al di là di qualche rara eccezione, è che dalla concertazione si sia ottenuto talmente poco, che per alcune delle operazioni non si capisce in cosa consistesse l’interesse della collettività, e bisogna dire che non è stato serio accettarle. [3] Badate, sebbene presi singolarmente questi siano quasi tutti piccoli interventi, se si mettono assieme i soli programmi integrati fin qui negoziati (circa la metà del totale) e gli si aggiunge qualche piccolo accordo di programma nel frattempo sopraggiunto, la superficie della città investita da questa modalità casuale e derogativa, è di quasi 40 ettari, a cui corrispondo quasi 1.500 nuovi alloggi: questo è accaduto a partire dagli ultimi 3-4 anni; e la cifra, ripeto, è assolutamente in difetto!

Ma i risultati dei programmi integrati sono prevalentemente preoccupanti ed insoddisfacenti anche per altri osservatori [4], mi riferisco in particolare ai giudizi espressi dal direttivo regionale dell'Inu Emilia-Romagna (che com'è noto non è composto da un nucleo di estremisti); risultati insoddisfacenti per diversi aspetti (cito testualmente il documento dell'Inu diffuso qualche mese fa):

- quello della qualità ambientale, della vivibilità e salubrità della città; quasi tutti gli interventi si traducono in un aumento di residenze, e quindi di persone, in collocazioni esposte a cattiva qualità dell’aria e ad alti livelli di rumore.

- quello delle conseguenze per la città in termini di incrementi di carico urbanistico su reti infrastrutturali, tecnologiche e per la mobilità che sono rimaste quelle di prima, vecchie e insufficienti; non c’è stato un intervento di trasformazione che si sia fatto carico della realizzazione di nuove infrastrutture per la mobilità;

- infine anche i risultati formali lasciano in molti casi quanto meno perplessi: indici di edificazione ingiustificabilmente alti hanno prodotto e stanno producendo il sorgere di complessi massicci, densi, sproporzionati rispetto ai caratteri del contesto urbano in cui si collocano.

Qualche anno fa, come sapete, per la prima volta dal dopoguerra, alle elezioni amministrative la coalizione di centro destra vince, grazie al non voto meditato di molti elettori di sinistra (infatti, nello stesso giorno, 15.000 elettori scelgono di votare solo la scheda per le elezioni provinciali astenendosi dal votare per il comune), e a un risicato margine di vantaggio nei ballottaggi. E vince, probabilmente, anche perché i cittadini hanno ritenuto insostenibili i livelli di vivibilità urbana prodotti da tutte le incertezze delle precedenti amministrazioni.

S'insedia una nuova giunta, ma sul profilo urbanistico la "musica" non cambia. Anzi, peggiora. A fronte dei problemi del PRG - che ho ricordato poco fa - e a fronte dei pessimi esiti dei programmi integrati, la nuova giunta risponde con un ”avviso pubblico per la promozione di proposte di intervento per la formazione ed attuazione di programmi di riqualificazione urbana”; cioè nuova edificazione al di fuori di un disegno di Piano, sulla base di criteri di selezione ancora più deboli di quelli della giunta precedente.

Richiamando ancora le preoccupazioni recentemente espresse dall’INU regionale, quest'ultimo avviso pubblico ha aspetti fortemente critici perchè:

- non contiene nessuna vera preindividuazione delle aree da interessare con la riqualificazione urbana: anche se c’è un riferimento ad una precedente individuazione di cosiddetti “ambiti strategici” (che peraltro nell’insieme coprono buona parte della città e quindi non sono selettivi), tuttavia le proposte possono essere avanzate ovunque; la collocazione entro gli “ambiti strategici” è considerata solo uno dei criteri di “priorità”;

- non contiene alcun criterio di esclusione, a parte le ovvie esclusioni di legge e le zone CVT (Zone per verde urbano e territoriale);

- contiene un elenco di “criteri di priorità”, che di per sè non produce alcun effetto selettivo, non venendo definito un tetto o un limite all’accettazione: le proposte infatti potrebbero essere accolte anche tutte, fino a quella che nella scala delle “priorità” risultasse ultima;

- non contiene alcun limite massimo di valorizzazione del suolo, in termini di massima densità edilizia, lasciando così aperta la possibilità di ulteriori operazioni di addensamento indiscriminato rispetto alle caratteristiche del contesto e alla capacità di carico delle infrastrutture urbane;

- non contiene nessuna effettiva individuazione di obiettivi, a parte quelli desumibili dai generici “criteri di priorità”.

- viene inoltre abbandonata anche la richiesta di un raddoppio delle aree da cedere come standard (che era presente nel bando precedente del 1997), preferendo viceversa la monetizzazione del 50% del plusvalore economico generato.

Insomma la strada dell'incertezza prosegue.

La nuova legge urbanistica Emiliana prevede una nuova strumentazione per il governo del territorio, e il Comune, sulla base anche di questo rinnovamento normativo, si è impegnato a redigere un nuovo Piano Strutturale, ma ha chiarito da subito che lo intendeva più strategico che strutturale: come dire, non aspettatevi scelte di struttura, ma politiche flessibili. Di questo Piano, tuttavia, non se ne sa più nulla, ma si presagisce il peggio: cioè che sia tutto fermo!

Ma quel che è peggio, è che in città si sta diffondendo "la voce" che il Piano è "morto", cioè non esiste più (quello vigente), non serve più, e che la strada per lo sviluppo sia la contrattazione diretta tra chi possiede un area e chi vuole trasformarla. E l'assessore all'urbanistica, nel gennaio dell'anno scorso, in un documento di indirizzo dichiarava (cito testualmente):

[della pianificazione urbanistica] tre caratteri negativi saltano all’occhio: l’autoritarismo, la rigidità, l’inefficacia. (..) All'autoritarismo va sostituito il contratto; alla rigidità ed alla gerarchia va sostituita la pluralità e la parzialità dei progetti;

A questo atteggiamento rispondo che l'autoritarismo è per chi non ama la democrazia; la gerarchia e l'inefficacia sono proprie di chi non sa governare: il Piano non è il governo, il Piano è uno strumento per il governo, e chi non perde l'occasione per indicarlo come "rigido e inutile", nasconde che ha politicamente bisogno di derogarlo, cioè nasconde la completa assenza di obiettivi pubblici nell'azione di governo.

Spero, con questo intervento, di aver contribuito a chiarire "dove va l'urbanistica a Bologna". Dico solo, per chiudere, che per combattere questa recessione culturale a Bologna è nata una esperienza, di cui faccio orgogliosamente parte

La Compagnia dei Celestini è un gruppo di persone, cittadini bolognesi e non solo, che si è incontrato circa un anno e mezzo fa, rispondendo all’appello di una decina di urbanisti preoccupati per l’assenza di dibattito sulle politiche urbanistiche che stavano e stanno trasformando la nostra città. Denunciamo l'assenza di obiettivi politici per una città pubblica che è in via di progressiva scomparsa, una città nella quale gli spazi fisici per la qualità della vita dei cittadini e le occasioni per la partecipazione alle scelte sulla trasformazione urbana sono costantemente negate.

www.celestini.it

grazie

[1] Comune di Bologna, consiglio comunale, O.d.G. n. 221 del 22.07.1996

[2] Comune di Bologna, consiglio comunale, O.d.G. n. 70 del 11.04.1997.

[3] Rudi Fallaci, Le “ragioni di scambio” nell’attuazione del PRG di Bologna, in Dal piano regolatore al piano regalatore, a cura della Compagnia dei Celestini, 2002, Bologna.

[4] i commenti che seguono sono tratti dalla relazione introduttiva presentata dal Consiglio Direttivo Regionale dell’Istituto di Urbanistica al convegno “Urbanistica a Bologna: situazioni e prospettive”, organizzato a Bologna dall’INU Emilia-Romagna il 10 maggio 2002.

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