SIl manifesto, 20 ottobre 2015
Erri De Luca è stato assolto. La sentenza del Tribunale di Torino non lascia adito a dubbi: affermare che «la Tav va sabotata» non è un reato ma un’opinione, affidata al dibattito politico e non alle cure di giudici e prigioni. Qualche tempo fa sarebbe stata una «non notizia», quasi un’ovvietà (e senza bisogno di scomodare Voltaire). Non così oggi. Almeno a Torino, dove un giudice per le indagini preliminari ha disposto, per quella affermazione, un giudizio e due pubblici ministeri hanno sostenuto l’accusa e chiesto la condanna.
Dunque l’assoluzione e il punto di diritto affermato dal giudice rappresentano una buona notizia. Per una pluralità di motivi.
Primo. Ci fu un tempo in cui contestazioni siffatte erano all’ordine del giorno ed erano ritenuti reati il canto dell’«Internazionale» o di «Bandiera rossa» (forse per il versetto «avanti popolo tuona il cannone rivoluzione vogliamo far»…) o il grido «abbasso la borghesia, viva il socialismo!». Erano gli anni dello stato liberale e, poi, del fascismo quando si riteneva che «la libertà non è un diritto, ma un dovere del cittadino» e, ancora, che «la libertà è quella di lavorare, quella di possedere, quella di onorare pubblicamente Dio e le istituzioni, quella di avere la coscienza di se stesso e del proprio destino, quella di sentirsi un popolo forte». Poi è venuta la Costituzione il cui articolo 21 prevede che «tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Inutile sottolineare il senso della norma che è quello di tutelare l’anticonformismo e le sue manifestazioni poco o punto accette alle forze dominanti perché, come è stato scritto, «la libertà delle maggioranze al potere non ha mai avuto bisogno di protezioni contro il potere» e, ancora, «la protezione del pensiero contro il potere, ieri come oggi, serve a rendere libero l’eretico, l’anticonformista, il radicale minoritario: tutti coloro che, quando la maggioranza era liberissima di pregare Iddio o osannare il Re, andavano sul rogo o in prigione tra l’indifferenza o il compiacimento dei più».
In termini ancora più espliciti, le idee si confrontano e, se del caso, si combattono con altre idee, non con l’obbligo del silenzio. Troppo spesso lo si dimentica e, dunque, un «ripasso» era quanto mai opportuno.
Secondo. La contestazione mossa ad Erri De Luca non riguardava solo la libertà di espressione del pensiero in astratto. Essa riguardava l’esercizio di quella libertà oggi in Val Susa e con riferimento al Tav.
Nel nostro Paese in questi anni sono, infatti, avvenute cose assai strane. Nessuno ha mai sottoposto a giudizio – a mio avviso, con ragione – gli autori di «istigazioni» assai più gravi e impegnative come quelle, praticate da ministri della Repubblica e capi del Governo, dirette a sovvertire l’unità nazionale o a evadere le tasse. Ma, in Val Susa, Erri De Luca non è rimasto isolato: alcuni responsabili di associazioni ambientaliste sono stati indagati per «procurato allarme» in relazione alla presentazione di un documento-denuncia concernente i rischi in atto al cantiere della Maddalena a causa di una frana, l’uso della espressione «libera Repubblica della Maddalena» è stato considerato un sintomo di attività sovversiva, la distribuzione di volantini contro il Tav (senza commissione di reati) è stata ritenuta un indice di potenziale irregolarità di condotta (sic!) di alcuni studenti minorenni e via seguitando.
Affermare la liceità penale delle affermazioni di De Luca non può non incidere anche su queste situazioni.
Terzo. Alcuni decenni orsono ci fu, in alcuni settori della magistratura, un’attenzione significativa ai temi della libertà di manifestazione del pensiero. Sul finire degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, in particolare, Magistratura democratica ingaggiò una dura battaglia culturale sul punto stigmatizzando, tra l’altro, «provvedimenti che hanno creato un clima di intimidazione particolarmente pesante verso determinati settori politici» ed esprimendo «profonda preoccupazione rispetto a quello che non può apparire che come un disegno sistematico operante con vari strumenti e a vari livelli, teso a impedire a taluni la libertà di opinione, e come grave sintomo di arretramento della società civile» (ordine del giorno Tolin, dicembre 1969) e tentando anche, pur senza successo, di promuovere un referendum abrogativo dei reati di opinione (tra cui quell’articolo 414 del codice penale contestato a De Luca).
Oggi ciò sembra un lontano ricordo. Chissà che la sentenza del Tribunale di Torino non stimoli una nuova stagione di sensibilità al riguardo.
Quarto. In questa vicenda ha brillato per assenza e silenzio gran parte degli intellettuali e della cultura giuridica italiana.,Non è un caso che anche l’appello diffuso alla vigilia del processo da scrittori e da uomini e donne dello spettacolo rechi, per quattro quinti, sottoscrizioni francesi… Non è la prima volta in questa epoca di pensiero unico.
Per carità, nessuno pretende nuovi Pasolini o Sciascia e del resto, come avrebbe detto Manzoni, «il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare». Ma un po’ di dignità non guasterebbe. Anche questo ci ricorda la sentenza torinese.
No Tav. Il tribunale di Torino fa prevalere l’articolo 21 della Costituzione sul codice Rocco. Il fatto non sussiste come reato. Lo scrittore in aula prima della sentenza: rivendico la mia nobile parola contraria
Assolto perché il fatto non sussiste. Cade l’accusa di istigazione a delinquere per Erri De Luca. E finisce così un processo che non sarebbe mai dovuto iniziare che ha visto sul banco degli imputati, per un reato d’opinione, lo scrittore napoletano, reo di aver sostenuto in alcune interviste che la «Tav va sabotata».
Dopo la lettura del dispositivo della sentenza da parte del giudice monocratico Immacolata Iadeluca, l’aula gremita è esplosa in un applauso. L’autore de Il peso della farfalla è rimasto quasi impassibile, nascondendo la commozione, poi ha dichiarato: «Mi sono trovato in una lunga sala d’attesa che adesso è finita. Rimane la grande solidarietà delle persone che mi hanno sostenuto qui e in Francia. Ero tranquillo perché avevo fatto il possibile — ha aggiunto — Questa assoluzione ribadisce il vigore dell’articolo 21 della costituzione che garantisce la più ampia libertà di espressione».
Ieri, nella maxi aula 3 del Palagiustizia di Torino, utilizzata per i grandi processi ThyssenKrupp ed Eternit, con la sentenza di assoluzione l’articolo 21 della Costituzione ha prevalso sull’articolo 414 del codice penale fascista. Prima che la giudice si ritirasse in camera di consiglio per quattro ore, Erri De Luca aveva letto alcune dichiarazioni spontanee. «Sarei presente in quest’aula anche se non fossi lo scrittore incriminato. Considero l’imputazione contestata un esperimento, il tentativo di mettere a tacere le parole contrarie. Svolgo l’attività di scrittore e mi ritengo parte lesa di ogni volontà di censura. Confermo la mia convinzione che la linea di sedicente alta velocità in Val Susa va ostacolata, impedita e intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa del suolo e dell’aria di una comunità minacciata. La mia parola contraria sussiste e sono curioso di sapere se costituisce reato».
Per le sue dichiarazioni, ritenute dall’accusa un reato, i pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino avevano chiesto per l’imputato una condanna a otto mesi di reclusione, in seguito alla denuncia di Ltf, la società italo-francese che si è occupata dal progetto e delle opere preparatorie della Torino-Lione. L’accusa è caduta. E per il popolo No Tav, che nel pomeriggio ha festeggiato De Luca a Bussoleno, si tratta di «un’altra sconfitta per i pm con l’elmetto». La vittoria «della parola contraria, più forte delle parole del potere», ha scritto notav .info.
De Luca ha difeso la legittimità e nobiltà del verbo sabotare. «Sono incriminato per aver usato il verbo sabotare. Lo considero nobile e democratico. «Nobile — ha osservato — perché pronunciato e praticato da valorose figure, come Gandhi e Mandela, con enormi risultati politici. Democratico perché appartiene fin dall’origine al movimento operaio e alle sue lotte. Per esempio — ha sostenuto — uno sciopero sabota la produzione». Parole «dirette a incidere sull’ordine pubblico» per la procura di Torino. «Ma io difendo l’uso legittimo del verbo sabotare nel suo significato più efficace e ampio», ha affermato De Luca, che si è detto disposto persino a «subire una condanna penale per il suo impiego» piuttosto che a farsi «censurare o ridurre la lingua italiana». La giudice, assolvendo lo scrittore con formula piena, perché «il fatto non sussiste», sembra avere accolto questa tesi.
La politica si è divisa su sui social tra chi ha apprezzato e festeggiato la decisione del Tribunale (M5s, Sel, Prc, Arci) e chi si invece l’ha fortemente criticata e si è detto dispiaciuto se non addirittura irritato dalla sentenza: un ampio schieramento che va dal Pd Stefano Esposito a Maurizio Gasparri. Duro l’ex ministro Maurizio Lupi, caduto in seguito a uno scandalo sulle «grandi opere» e da sempre favorevolissimo alla Torino-Lione: «De Luca non avrà commesso un reato, ma forse ha fatto di peggio, ha convinto tanti giovani che lanciare una molotov o picchiare un poliziotto è un diritto. Non sarà l’assoluzione di un tribunale a togliergli questa colpa».
Soddisfatto il legale dello scrittore, Gianluca Vitale: «La sentenza riporta le cose al loro posto, si può parlare anche di Tav. Bisogna che tutti capiscano che c’è un limite alla repressione, le opinioni devono essere lasciate libere. Anche Torino e la Val Susa sono posti normali». Talvolta anche l’Italia può essere un paese normale.
Erri de Luca, non se l’aspettava un’assoluzione, vero?
Per mio temperamento sono sempre preparato al peggio ma in questo caso i pronostici erano impossibili perché si è trattato di un processo sperimentale: nessuno scrittore era mai stato incriminato prima con questo arnese del codice fascista — l’istigazione — che risale al 1930.
La sua dichiarazione spontanea prima della sentenza ha messo in luce l’assurdità di avere ancora in vigore il codice Rocco.
Quell’articolo 414 non era mai stato usato prima contro l’opinione di una persona, ma ho voluto sottolineare il conflitto tra l’articolo 21 della Costituzione che garantisce la nostra libertà di espressione e quell’articolo del codice penale fascista che invece la nega. Questa era la posta in gioco nel processo, al di là del mio trascurabilissimo caso personale. Aveva un peso per stabilire la temperatura della libertà di parola: se soffre di febbre, aggredita da una volontà di censura, o se è sfebbrata ed è sana.
E qual è la diagnosi?
La sentenza dice che l’articolo 21 della Costituzione gode di ottima salute: il tentativo di sabotaggio da parte della pubblica accusa è stato respinto.
La ministra di Giustizia francese, Christiane Taubira, ha twittato due volte in suo onore. «#ErriDeLuca, quando tutto sarà scomparso dietro all’ultimo sole, resterà la piccola voce dell’uomo, citando ancora Tennessee Williams», scrive nel primo post. Mentre nel secondo la Guardasigilli francese usa una delle poesie del comunista Louis Aragon per salutare la sentenza nella quale, a suo giudizio, sfuma la giustizia salomonica.
Non lo sapevo. Posso solo dire che da noi un ministro di giustizia che cita uno scrittore come minimo sbaglia.
In questa vicenda, ha sentito più vicine le istituzioni francesi che quelle italiane?
La Francia si è espressa al massimo livello delle sue istituzioni, considerandomi un suo cittadino: il presidente della Repubblica francese è intervenuto più volte su questo caso.
Lo stesso François Hollande avrebbe telefonato a Renzi per invocare clemenza nei suoi confronti. Che lei sappia, è vero?
osì risulta dal Journal Du Dimanche, ed è evidente che questa notizia non può essere uscita che dall’Eliseo. Il presidente francese ha evidentemente permesso che la notizia diventasse pubblica. Dunque, è una cosa certa. La Francia, attraverso il suo massimo esponente, si è tirata fuori da questa storia: è come se avesse detto «una condanna di questo tipo non è concepibile per noi, non in nome dei francesi».
Secondo lo stesso settimanale francese, però, il premier italiano non avrebbe mostrato «alcuna indulgenza». E comunque ieri Palazzo Chigi ha smentito «il merito e le circostanze» della notizia.
egare l’evidenza è uno degli stati dell’ubriachezza. Ma tra Renzi e Hollande io credo al presidente francese, ovviamente.
Lei ha avuto contatti personali con le istituzioni d’Oltralpe? Perché l’hanno presa così a cuore?
No, mai avuto contatti. Lo fanno solo perché sono uno scrittore. E uno scrittore incriminato per le sue parole viene adottato da quella società civile, da quella opinione pubblica. È già successo ad altri scrittori, che erano in situazioni ben peggiori delle mie, di trovare lì una seconda cittadinanza. Io resto un ostinato cittadino italiano, non mi faccio smuovere dalla mia cittadinanza, ma lì mi hanno voluto sostenere come se fossi un loro concittadino.
Prima della sentenza ha voluto ripetere che per lei la Tav va ostacolata e sabotata. Voleva farsi capire meglio o sfidare il suo giudice?
La parola sabotaggio ha tanti significati che non riguardano il danneggiamento fisico. Non volevo che il verbo «sabotare», che ha piena cittadinanza nel vocabolario italiano, fosse ridotto a questo: a un guasto meccanico. O che fosse censurato da una condanna penale. D’altra parte, anche questa incriminazione contro di me voleva sabotare la libertà di parola. Ho detto che se quelle mie parole erano un crimine, non solo ho ripetuto il crimine ma lo avrei continuato a ripetere.
Adesso che «è stata impedita un’ingiustizia», come ha detto lei, c’è da fare qualcosa ancora su questo fronte?
Intanto è stato fermato un tentativo di censura che poteva essere un precedente. Dunque, le persone si possono sentire più incoraggiate nella loro libertà di espressione. Ma c’è ancora molto da fare perché le lotte delle popolazioni riescano ad avere accesso ai canali di informazione che costruiscono l’opinione pubblica.
E sulla Tav?
La Tav della Val di Susa — sedicente «alta velocità», parole che sono una frottola oltre che una truffa — è un’opera che non si farà. Si saboterà. Da sola: per mancanza di copertura finanziaria.
Nell’aula giudiziaria c’erano molti valsusini…
Sì, e giustamente considerano questa assoluzione una loro vittoria, perché è stata una delle rare volte in cui qualcuno impegnato a contrastare la Tav è stato assolto.