Sarebbe davvero una brutta notizia avere la conferma che un'amministrazione di grande saggezza, meritevole di avere per la sua città il riconoscimento di Capitale della cultura, fosse costretta a dismettere il vistoso patrimonio culturale perunaltracitta.org, 28 maggio 2017
Sono più di un centinaio gli immobili che il Comune di Pistoia ha messo in vendita con il cosiddetto “Piano delle alienazioni e delle valorizzazioni immobiliari”. È sorprendente notare come, con grande disinvoltura, questa amministrazione si sbarazzi di beni che hanno una straordinaria rilevanza storico architettonica, dall’ex Convento di San Lorenzo a parte del complesso delle ex Crocifissine al fabbricato delle ex Scuole Leopoldine. Per non dimenticare poi Villa Benti in piazza San Lorenzo, Villa Baldi Papini in Via dei Pappagalli e il bell’edificio in Via Desideri, angolo Viale Petrocchi. A queste, vanno aggiunte le alienazioni previste dalla Regione, e approvate dal Comune, dell’ex ospedale psichiatrico delle Ville Sbertoli, del Padiglione Lazzereschi e dell’ex Convento di Santa Maria delle Grazie nell’area dell’ex ospedale del Ceppo.
Nel Piano delle alienazioni sono inserite anche numerose aree agricole, aree industriali nella zona di Sant’Agostino oltre a numerosi alloggi (una ventina circa), al Complesso “Abetina” (Ecomuseo del ghiaccio) e numerosi lavatoi, alcuni con terreni annessi, sparsi in tutto il territorio comunale. Scopriamo anche che sono in vendita numerose proprietà con una destinazione pubblica, dallo Stadio comunale al Palazzetto dello sport, alla sede dell’Ufficio Tecnico in Via dei Macelli, ben quattro Scuole elementari e tanto altro. Insomma un ampio repertorio immobiliare che farebbe invidia a qualsiasi fondo speculativo internazionale.
A questo ingente patrimonio il Comune ha affiancato le proprietà trasferite dal Demanio statale in seguito al cosiddetto federalismo fiscale. Tra queste spicca l’area dell’ex Tiro a segno, dello splendido lavatoio con terreno annesso di Ponte di Gello, e altri terreni e alloggi. È bene essere molto vigili su queste proprietà perché, se non dovessero essere attuate entro tre anni le destinazioni con le quali il Comune ha giustificato il trasferimento, potrebbero anch’esse essere vendute, visto che al Comune resterebbe ben il 75% del prezzo di vendita: un’occasione difficile da rifiutare. È un vero e proprio attacco ai beni comuni della città che conferma la resa, di questa amministrazione di centro sinistra, allo sfruttamento speculativo del nostro patrimonio collettivo, dei nostri beni culturali, destinati a trasformarsi in “liquidità” pronta ad evaporare al primo stormir di foglie delle crisi finanziarie.
Allora, cosa fare? Aspettare che si attui l’assalto alla diligenza con la conseguente estinzione delle proprietà e, soprattutto, delle funzioni collettive? Riteniamo che il patrimonio comunale non debba essere venduto e comunque, se proprio fosse necessario, prima di alienarlo debba essere gestito nel migliore dei modi. Attualmente il Comune non possiede un servizio destinato a questo scopo: proponiamo quindi
- la revisione del Piano delle alienazioni,
- la contrattazione con le eventuali controparti di scelte già in essere a partire dalla constatazione che - la decisione ultima relativa alle destinazioni degli immobili spetta al Comune, la cui volontà non è subordinata a nessuna forma di pressione se non a quella di operare nell’interesse della collettività,
l’istituzione di un Ufficio di Gestione del patrimonio disponibile che faccia da filtro e selezioni in maniera rigorosa gli immobili da vendere sulla base di scelte seriamente motivate.
Non siamo ingenui, sappiamo che parte del patrimonio pubblico è malmessa, che servono risorse economiche attualmente non disponibili. Ma sappiamo anche che la gestione di parte di esso può essere affidata, a costi ridotti, sia all’autorecupero, sia al cosiddetto privato sociale e al terzo settore, sia agli stessi privati ai quali si offre un’occasione di giusto profitto, ma non di speculazione e privatizzazione del bene.
Per esempio, l’offerta di aree agricole e industriali non può essere messa a disposizione di start up giovanili, di un’imprenditoria sociale che privilegi le produzioni locali? I numerosi terreni e lavatoi non potrebbero essere affidati, dopo averne verificato lo stato di conservazione, alle comunità locali per creare occasioni di attrazione culturale e turistica proprio sulla base di una riscoperta di una architettura e di una storia minore, ma non per questo meno significativa? Gli alloggi in vendita non potrebbero essere affidati in autorecupero, previsto dalla Regione Toscana, a cooperative sociali o a giovani coppie per affrontare l’emergenza abitativa così tanto grave a Pistoia? Il sito dell’Ecomuseo del ghiaccio deve essere venduto? Non è possibile prevederne forme di recupero? Si tratta solo di avere lo spessore culturale e la volontà politica di affrontare in maniera inclusiva le questioni che si pongono.
A questo proposito Tomaso Montanari sostiene: «La religione del mercato sta imponendo al patrimonio culturale il dogma della privatizzazione. Ma se l’arte e il paesaggio italiani perderanno la loro funzione pubblica, tutti avremo meno libertà, uguaglianza, democrazia. L’alternativa è rendere lo Stato efficiente. Ma non basta: dobbiamo costruire uno Stato giusto».
Noi aggiungiamo: dobbiamo costruire un Comune giusto.