La Repubblica, 20 gennaio 2016
LA discussione sulle unioni civili avrebbe bisogno di limpidezza e di rispetto reciproco, invece d’essere posseduta da convenienze politiche, forzature ideologiche, intolleranze religiose. Di fronte a noi è una grande questione di eguaglianza, di rispetto delle persone e dei loro diritti fondamentali, che non merita d’essere sbrigativamente declassata, perché altre urgenze premono. I diritti, dovremmo ormai averlo appreso, sono indivisibili, e quelli civili non sono un lusso, perché riguardano libertà e dignità di ognuno.
Bisogna liberarsi dai continui depistaggi. La maternità surrogata, vietata fin dal 2004, viene evocata per opporsi all’adozione dei figli del partner, penalizzando proprio quei bambini che si dice di voler tutelare e tornando così a quella penalizzazione dei figli nati fuori dal matrimonio eliminata dalla civile riforma del diritto di famiglia del 1975. E si dovrebbe ricordare che la Costituzione parla della famiglia come società “naturale” non per evitare qualsiasi accostamento alle unioni tra persone dello stesso sesso. Ma per impedire interferenze da parte dello Stato in «una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita », come disse Aldo Moro all’Assemblea costituente. Altrimenti ricompare la stigmatizzazione dell’omosessualità, degli atti “contro natura”.
L’impegno significativo del presidente del Consiglio per arrivare ad una disciplina delle unioni civili rispettosa di quello che la Corte costituzionale ha definito come un diritto fondamentale a vivere liberamente la condizione di coppia si è via via impigliato nel prevalere delle preoccupazioni legate alla tenuta della maggioranza. Il riconoscimento effettivo di diritti fondamentali viene così subordinato ad una esigenza propriamente politica che sta svuotando la portata della nuova legge. E non si può dire che si cerchi di procedere con la cautela necessaria, data la delicatezza dell’argomento, perché la cautela si è trasformata nel progressivo abbandono di una linea rigorosa, nel gioco delle concessioni verbali che tuttavia inquinano il senso della legge in punti significativi. È indispensabile riprendere una strada coerente con il fatto che si sta discutendo di dignità e identità delle persone, dunque di una materia dove non tutto è negoziabile. Il legislatore sta oscillando tra concessioni improprie e irrigidimenti ingiustificati. Una assai discutibile e discussa sentenza del 2010 della Corte costituzionale viene eretta a baluardo inespugnabile, che non consentirebbe neppure di adempiere a quel dovere positivo di riconoscimento pieno dei diritti delle coppie tra persone dello stesso sesso imposto all’Italia da una sentenza di condanna del 2015 della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per sfuggire a questa responsabilità, più si va avanti più si delinea una situazione in cui il legislatore sta costruendo una sua gradita impotenza. Non posso intervenire perché avrei bisogno di una legge costituzionale. Non posso intervenire perché devo ancora considerare il codice civile come un riferimento ineludibile. Non posso muovermi nel nuovo contesto costruito dai principi e dalle regole europee. Non posso intervenire perché l’opportunità politica variamente mascherata me lo preclude.
Ancora e sempre l’eguaglianza, che la Corte costituzionale non ha adeguatamente considerato in quella sentenza del 2010, la cui interpretazione dovrebbe essere seriamente riconsiderata a partire dal nuovo contesto istituzionale europeo. Perché no? Ricordiamo che, con una violazione clamorosa del principio di eguaglianza, nel 1961 la Corte costituzionale dichiarò legittima la discriminazione tra moglie e marito in materia di adulterio. La Corte sui ravvide nel 1968, mostrando che l’eguaglianza e la vita non possono essere consegnate alla fissità di una decisione.
Un legislatore, che sta costruendo la sua impotenza, dovrebbe piuttosto riflettere sulla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che, nel 2015, ha ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ferma restando la legittima manifestazione di ogni opinione, i giudici americani hanno affermato il loro dovere di sottrarre i diritti fondamentali alle «vicissitudini della politica».