Come ogni estate, ad agosto, Richard Rogers, si riposa in Toscana. Arriva da Los Angeles. Subito prima, a Londra, ha ricevuto il Pritzker Prize, equivalente al Nobel per l’Architettura; l’anno scorso, alla Biennale di Venezia, il Leone d’Oro alla Carriera. Riconoscimenti importanti, che si aggiungono, tra gli altri, al Premio Imperiale del Giappone, alla Legione d’Onore francese, all’attribuzione del titolo di Pari d’Inghilterra. Ma ciò che davvero conta, per il progettista di molti tra i più innovativi edifici del mondo, chiamato insieme a Daniel Libeskind, Norman Foster e Fumihiko Maki alla ricostruzione del World Trade Center a Manhattan, è aver contribuito alla riqualificazione delle grandi metropoli moderne.
A 74 anni, passeggiando per Londra, Barcellona, Berlino, Lisbona, o New York, o Seul, si trova a vivere dentro la sua visione realizzata: quartieri ad alta densità, nati dal riuso delle aree industriali dismesse, popolati di costruzioni high-tech, (prototipo il Beaubourg, creato dalla coppia Richard Rogers/Renzo Piano nel 1977) e spazi pubblici pedonalizzati, sottintesa l’idea di piazza della città rinascimentale (Rogers rimanda alla sua nascita, avvenuta in quel di Firenze), luoghi ameni di incontro e scambio tra persone, fulcro della progettazione e della rigenerazione urbana sostenibile, ma anche punto nodale dei collegamenti cittadini.”
Lord Rogers, come ha fatto?
“A far entrare architettura e progettazione urbanistica nell’agenda della politica? Da bambino ero dislessico e lottavo disperatamente per non essere l’ultimo della classe, ho imparato la tenacia… e anche tante cose sulla convivenza sociale: arrivavo in Inghilterra da Trieste, nel ’39, dove la mia famiglia viveva da 2 generazioni. Poi gli studi… io credo nella responsabilità etica dell’architettura, sono ancora un convinto modernista, e penso che l’architettura abbia il ruolo dell’arte di avanguardia: deve generare nuova coscienza e preparare il futuro.”
La sua personale ossessione, che ha prodotto una dottrina: il “rinascimento urbano”.
“L’80% della popolazione mondiale vive nelle città, è il dato da cui partire. In Inghilterra il 90%. E sono loro, le persone, il primo referente dell’urbanistica. Poi c’è il mutamento climatico, la più grande minaccia al futuro del nostro pianeta, che ci impone di tutelare l’ambiente naturale ponendo un limite al consumo di suolo e di energia. E quindi la città deve essere: compatta (rimanere all’interno dei suoi confini), verde (anche perché progettata in modo sostenibile: gli edifici producono il 50% dell’inquinamento), multi-centrica (tanti quartieri ognuno con una sua identità e autonomia), integrata (la convivenza di ceti sociali diversi evita sofferenza e delinquenza), multi-funzionale (ci vivo, ci lavoro e ci passo il tempo libero), ben connessa (anche perché ben pianificata: ci si va a piedi, in bicicletta, in autobus, in metrò).”
Facciamo l’esempio di Londra.
“Negli Anni ’80 era il caos, non esisteva nemmeno un Ufficio che avesse la responsabilità della pianificazione. La politica della Thatcher, in coincidenza col più grande boom immobiliare del secolo, era totalmente al servizio della speculazione. E ovviamente favoriva l’espulsione delle classi povere dalla città verso i quartieri dormitorio, con il devastante corredo di nuovi centri commerciali, quadruplicati poco dopo il suo arrivo. A proposito! Ma che sta succedendo in Italia? Da nessun altra parte al mondo vedo il cancro dei centri commerciali, multisale comprese, dilagare come da voi… state distruggendo il tessuto sociale delle città, fate chiudere i negozi e consegnate i centri storici ai turisti che li trasformano in parco dei divertimenti… guardi qui vicino, anche Pienza… “
Appunto. Siamo qui perché Lei ci indichi un rimedio.
“Io, all’epoca, scelsi di impegnarmi in campagna elettorale a fianco del New Labour Party, scrissi in quell’occasione il mio unico libro: Architecture: A Modern View (1991). Quando abbiamo vinto, era la sera delle elezioni del 1997, ricordo che ero in mezzo alla folla del South Bank a Londra, a urlare di gioia. Poi nel 1998, con Tony Blair, abbiamo creato la struttura che doveva individuare le cause del declino urbano e costruire una prospettiva per le nostre città, la Urban Task Force. Oggi molte delle 105 Raccomandazioni,frutto del lavoro iniziale, fondano la nostra politica nazionale per grandi e piccole città. Ci tengo a dire che a Londra abbiamo avuto un incremento della popolazione di 1 milione di persone in 10 anni e non abbiamo toccato un solo metroquadrato di green field, la campagna intorno alla città. Abbiamo costruito solo su brown field, le ex aree industriali. Dal 2001 è legge nazionale: il 70% di ciò che si decide di costruire, laddove esiste, deve essere su brown field, e a Londra il sindaco Livingstone sta arrivando al 100%.”
Unrisultato straordinario.
“Abbiamo ottenuto questo aumentando la densità edilizia. E non vuol dire salire in altezza. A Barcellona, che ha la più alta densità d’Europa, la media è di 8 piani, tranne un paio di grattacieli. Il punto è che non dovremmo mai costruire meno di 40 unità per ettaro. Questo parametro è tale perchè servono 5.000 persone per rendere economicamente sostenibile una fermata d’autobus, le case distanti, a piedi, non più di 8 minuti. Se costruisci così 3 ettari, ad alta densità, puoi garantire una linea d’autobus, se arrivi a 4/5 puoi avere la stazione. Sto sempre parlando di edificare su brown field, naturalmente! Lo sa, abbiamo calcolato che la costruzione di una villetta fuori dal perimetro urbano, nel green field, costa alla collettività € 50.000. Sono tasse invisibili che la comunità paga, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti: distruzione del paesaggio, una sconfinata periferia di non-luoghi… accelerazione del riscaldamento globale.”
Per questo, anche con Livingstone, avete puntato sul trasporto pubblico.
“Le misure più radicali, per ridurre le emissioni legate alla mobilità,sono del 2003: a Londra in un’area di 22 km quadrati, con un buon 20% della popolazione contro, è stato imposto un ticket giornaliero di circa € 8,00, sconti solo per i residenti e il ricavato a finanziare il trasporto pubblico. Dopo 1 anno: 70.000 auto in meno, 29.000 passeggeri in più sugli autobus, puntualità migliorata del 30% , inquinamento ridotto del 15%.”
Niente parcheggi?
“Per carità! Un’altra follia tutta italiana, questa dei parcheggi sotterranei nei centri storici! Così si continua a inquinare, a congestionare la viabilità, si rallenta la velocità dei mezzi pubblici… A Genova, per esempio, so che Renzo Piano ha provato a opporsi. Pensi che a Londra, negli ultimi 40 anni, non abbiamo autorizzato la costruzione di un solo parcheggio.”
Quindi, a 10 anni dall’istituzione di Urban Task Force, il bilancio è totalmente positivo?
“Segnalo che avevamo un precedente. Nel dopoguerra con le città distrutte e il paese in rovina, il governo del Labournazionalizzò i diritti edificatori e per contrastare lo sprawl, il dilagare delle casette fuori dalla cerchia urbana, impose un greenbelt attorno all’area di Londra. Era il 1944. La popolazione in eccesso sarebbe stata accolta nel sud-est d’Inghilterra, oltre il greenbelt, nelle “new towns” accuratamente pianificate e edificate dallo Stato. E comunque la mia risposta è no. Ciò che siamo a riusciti a fare a Londra non vale per tutto il paese. Rimangono enormi disuguaglianze nelle nostre città, i prezzi delle case sono spinti verso l’alto, l’offerta di edilizia sociale è insufficiente, il potere dei costruttori rimane troppo grande. C’è di buono che, per ottenere i permessi, sono obbligati a costruire un 35% che viene immesso sul mercato a prezzi accessibili, in vendita e in affitto. Il sindaco Livingstone, vorrebbe alzare questa quota fino al 50%. Oggi in Inghilterra la percentuale di alloggi di edilizia sociale, in rapporto al totale di alloggi esistenti, è del 21%.”
In Italia siamo al 4%, l’Olanda, invece …
“In Olanda è il 35% , ma lo stato è padrone quasi del 90% dei terreni e questo perché li hanno materialmente strappati al mare! L’Olanda da questo punto di vista è un modello per tutti. Noi usavamo lo stesso sistema prima della Thatcher, credo che ci torneremo: acquistare i terreni, per poi vendere ai costruttori i lotti edificabili. Così si esercita un controllo anche sulla qualità della progettazione, non solo sull’offerta di edilizia sociale.”
A proposito di qualità…
“Per me la qualità del design si deve esercitare innanzitutto sugli spazi pubblici. A Londra abbiamo istituito per questo CABE (Commission for Architecture and the Built Environment) che valuta i progetti dei nuovi insediamenti e tra breve altre tre Commissioni saranno funzionanti nel resto del paese. Esaminano i progetti e possono bloccare l’iter autorizzativo. Lo sa che in Inghilterra non serve un professionista per firmare? Chiunque può farlo. Il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale poi si incarica di controllare la conformità agli standard.”
Lo considera un buon sistema?
“Guardi, mi verrebbe voglia di rispondere con una battuta: in Italia gli architetti firmano il progetto, ma poi sono gli Uffici comunali che ci mettono le mani. Succede così: intanto si blocca tutto, poi si taglia un pezzo qui, se ne mette un altro lì e finalmente lo si chiude nel cassetto. Restiamo in Toscana: il mio primo progetto, per l’area di Novoli, è del 1978; del 1983 è quello per il recupero delle rive dell’Arno (nel frattempo sono riuscito a farlo sul Tamigi), poi viene l’area ex-Fondiaria di Castello, nel 1995, sempre a Firenze. Aggiunga, nel 1999, il piano per riqualificazione della Passeggiata di Viareggio e il più recente, commissionato nel 2001, per il centro di Scandicci. Ebbene, non se n’è fatto niente, sono trent’anni che faccio progetti in Italia, ma ancora non ho costruito una casa.”
C’è da chiedersi se architetti della sua fama non vengano usati come arieti, per far saltare i Piani Regolatori: un nome importante per far passare aumenti di cubature altrimenti ingiustificabili.
“Forse…”
Riguardo al suo progetto per l’area ex Alitalia alla Magliana di Roma, Legambiente si è fatta portavoce della protesta; a Viareggio è nato il Comitato Salviamo la Passeggiata… per Scandicci, i Comitati dei Cittadini denunciano il tentativo di saturare residui spazi verdi…
Ricordo ancora, con entusiasmo, un’assemblea a Scandicci con la gente, fino all’una di notte, ad ascoltare il progetto sulla loro città. Era il 2002. Non sono i cittadini a bloccare i progetti, ben venga il loro contributo. E tra l’altro, quello di Scandicci, è l’unico ancora in essere… Guardi, io nel 2003 ho pubblicato su la Repubblicauna lettera aperta al Sindaco Leonardo Domenici…”
Cosa diceva nella lettera?
Chiedevo, dopo 7 anni, che fine avesse fatto il mio Piano guida per Castello, mentre vedevo Firenze continuare ad espandersi oltre i confini urbani, consumando il suo bellissimo e prezioso territorio. Segnalavo la mia preoccupazione che, sotto la pressione delle dinamiche di espansione, si considerino solo le convenienze della politica, rinunciando alla qualità sostenibile della città del futuro”.
Non ha usato mezze parole.
Senta: questo è il paese dove è nato il concetto di proprietà pubblica, a Roma, l’avete inventato voi! Ma in Italia, e non da oggi, chi governa ha perso il senso di responsabilità nei riguardi della cosa pubblica. E manca il riconoscimento del bene comune come valore condiviso. Un esempio? Dato che siamo in Val d’Orcia…”
Monticchiello?
Sì, ma prima voglio dirle che se lei guarda giù dalle mura di Pienza, ancora vede un paesaggio intatto. Aver conservato la bellezza è frutto di una cultura che c’è, o c’era fino a pochissimo tempo fa. E’ per questo che vengo qui. La lottizzazione speculativa di Monticchiello é la negazione di questa cultura. Conservare il paesaggio è interesse pubblico. Costruire quegli edifici, a Monticchiello, è interesse privato.”
Demolire?
Bisogna coltivare la passione per un gesto del genere… sì, voi italiani ce la potete fare. Ma prima di buttar giù, bisogna avere il coraggio di dire no: chi vuole una seconda o una terza casa in mezzo alla campagna deve trovarsela tra quelle esistenti.”
Si obietta che villettopoli sviluppa l’economia locale.
“Non voglio rispondere a una tale scemenza. Sappia che una classe politica, se non ha una visione collegata a un progetto, a un’idea di società del futuro, non potrà mai essere all’altezza del compito che gli affidiamo.”