Un buon esempio di ipocrisia applicata a un tema che tocca l'essenza profonda della democrazia: quello dell'uguaglianza tra gli esseri umani.
Corriere della sera, 18 giugno 2017, con postilla
Pur essendo favorevole in linea generale alla nuova legge sulla nazionalità in discussione al Senato, trovo che le si possono egualmente muovere alcune ragionevoli critiche. Principalmente due. La prima è che nella concessione automatica della cittadinanza prevista per coloro che sono nati in Italia da genitori di cui almeno uno con regolare permesso di soggiorno da cinque anni come minimo, non si prevede però alcun accertamento preliminare circa la conoscenza né della nostra lingua, né dei costumi, né delle regole, né di niente della società italiana.
Bisognava far capire insomma che la concessione della cittadinanza esclude in modo assoluto qualunque eventuale doppia fedeltà. Così come sarebbe stato forse utile considerare l’ipotesi di accrescere i motivi per i quali la cittadinanza, una volta acquistata, la si può anche perdere. Proprio in relazione a questi ragionevoli dubbi mi pare per nulla campata in aria la preoccupazione che l’immissione di nuovi cittadini provenienti da contesti radicalmente differenti dal nostro possa finire per alterare l’identità storico-culturale del Paese.
Ma da noi questo si rivela sempre difficile. Presentando la proposta di legge di cui stiamo dicendo la Sinistra, ad esempio, ha avuto l’indubbio merito di porre il problema in modo concreto, indicando comunque una soluzione concreta, ed è del merito di questa che si dovrebbe parlare. Che bisogno c’è allora che essa ricorra al sentimentalismo un po’ dolciastro di pubblicare teneri visini di bimbi extra-comunitari dagli occhi spalancati, che - si dice per convincerci - «sono nati qui»?
Su tutto aleggia poi una sorta di furibonda paranoia identitaria nonché l’idea, non saprei dire se più ingenua o più bizzarra, che senza la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana di una legge sulla concessione della nazionalità, milioni di africani se ne starebbero tranquilli a morire di fame rinunciando a intraprendere il loro disperato viaggio verso l’Europa. Invece, se una cosa è certa è l’impeto ininterrotto e di difficilissimo contenimento del fenomeno migratorio da cui siamo investiti. Si tratta di una vera e propria emergenza nazionale che richiederebbe alle forze politiche d’opposizione, ma in modo tutto particolare a quelle della Destra, il perseguimento degli interessi vitali del Paese, non la ricerca a tutti i costi di un qualche possibile guadagno elettorale.
La cultura della nazione, il patriottismo, quello vero, significa tra le altre cose anche questo: capire quando bisogna rinunciare agli interessi della propria parte in nome di un interesse generale. Oggi tale interesse si sostanzia in due obiettivi assolutamente prioritari. All’interno, evitare da un lato l’apartheid di fatto e dall’altro il comunitarismo multiculturale, assicurando nel modo più rigoroso la legalità e la sicurezza; all’esterno utilizzare tutte le risorse politiche e diplomatiche (il ricatto compreso, caro presidente Gentiloni, il ricatto compreso!) per obbligare i nostri soci europei a non lasciarci da soli nelle peste alle prese con un problema che è anche il loro problema. Chiunque dia comunque una mano per raggiungere uno di questi obiettivi, a qualunque partito appartenga, è un benemerito del nostro Paese.
postilla
Sono nato da genitori entrambi italiani, da molte generazioni (sebbene i miei avi paterni fossero di ispanica prosapia). Lo giuro, e posso documentarlo in modo ineccepibile. Quindi ho il pieno diritto di essere considerato italiano per jus sanguinis: ho certamente tutti quei requisiti che, secondo Ernesto Galli della Loggia, devono essere posseduti da chi voglia avere il brand di cittadino italiano Secondo lo jus sanguinis. E infatti, la legge mi ha riconosciuto tale.