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Noi: libere di correre senza paura
4 Novembre 2014
Spazio pubblico
Un appello che non è un appello, ma un richiamo alla ragione: sicurezza degli spazi pubblici è qualità di progettazione, non paranoia securitaria vagamente militarista.
Un appello che non è un appello, ma un richiamo alla ragione: sicurezza degli spazi pubblici è qualità di progettazione, non paranoia securitaria vagamente militarista. Corriere della Sera Milano, 4 novembre 2014, postilla (f.b.)

Sul Naviglio Grande ci sono aree da poco rinnovate e frequentate a ogni ora da runner e ciclisti. Uno spazio che i milanesi hanno riconquistato. Il Naviglio Grande è la zona dove è stata aggredita Irene: era lì a correre. Non era notte. C’era luce. Minuti sottratti a famiglia, lavoro, incombenze perché si ha bisogno di stare all’aperto, con i propri pensieri. Una città è anche questo: luogo di scambio e luogo dove riappropriarsi di momenti di libertà. Fa rabbia la storia di Irene. E sconfortano alcuni commenti: «Correte in gruppo, coi mariti. Vestitevi con tuta larga, evitate magliette aderenti». No. Vogliamo essere libere di correre. O camminare, zoppicare, saltellare, muoverci come vogliamo, quando vogliamo. Dove vogliamo. Senza paura. All’alba, al tramonto. In centro e in periferia. Troppo? Gli uomini vanno al calcetto con gli amici. E le donne? Perché non possono correre, anche da sole?
Perché Milano sia un bene comune, va ripensata. Con le donne. Difficile? Con l’Expo e con il Consiglio metropolitano nato per riorganizzare la città c’è un’opportunità. Ci sono gli esempi. Vienna, Marsiglia, Cordoba in Argentina, altre città in Canada lavorano sull’urbanistica di genere. Non solo colonnine Sos e illuminazione. Ma anche spazi pubblicitari vietati a inserzionisti che propongono un’immagine della donna distorta. O parchi pensati ascoltando i bisogni delle cittadine e chiamando architetti e urbaniste donne a contribuire al cambiamento.

postilla

Si dice Milano ma si potrebbe dire Ovunque: un'aggressione a una signora che fa jogging, in pieno giornoin un parco cittadino, e scatta immediatamente la reazionerepressiva, da ordine pubblico o poliziesca teoria della finestrarotta che dir si voglia. Mentre invece qui, come ben capisce il testodell'appello, si tratta di un'idea di città sbagliata, in cui lospazio pubblico viene pensato burocraticamente, applicando in modo unpo' svogliato il manuale degli standard e quello della progettazionedei giardini, e realizzando invece l'ennesima graziosa Little BigHorn, luogo ideale di agguati in quanto sottratto ai famosi “occhisulla strada”. Ci sono due concezioni di spazio sicuro: quellomilitarizzato, e quello vissuto continuamente. Uno dovrebbe essereespressione di una città paranoica e fascistoide, quella che a ogniproblema propone come soluzione il manganello, l'altro aspira a bendiverse idee, che non sono di vaga solidarietà e comprensione, ma dipura condivisione. Gli strumenti sono intelligenza e visione, bastausarli, non servono neppure soldi in più. Ripensiamo alla troppo celebrata ma in fondo poco capita Jane Jacobs (f.b.)

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