Radicale immaginario, per il presente
Stimolante riflessione, a partire da uno studio di Brett Neilson che propone di dare peso, nella politica della sinistra, ai sentimenti e all'immaginario. Su il manifesto, 28 luglio 2004
In un articolo scritto per la neonata rivista «Studi culturali» del Mulino, Brett Neilson, un giovane docente della University of Western Sydney molto vicino al pensiero radicale italiano e autore di un interessante saggio sulla politica dell'immaginario ( Free trade in the Bermuda Triangle... and Other Tales of Counterglobalization, University of Minnesota Press, 2004), traccia alcune note provocatorie, a suo dire provvisorie e a mio avviso molto stimolanti, sui rapporti che il potere intrattiene oggi con la sfera dei sentimenti e dell'immaginazione e su quelli che una politica alternativa dovrebbe a sua volta imparare a intrattenere. Mi permetto proditoriamente di anticiparne alcune intuizioni (l'articolo non è stato ancora pubblicato), perché mi sembrano rilevanti anche come contributo indiretto al dibattito sulla sinistra radicale che si sta svolgendo in questo scorcio di luglio sulle pagine del manifesto. Niente meglio dell'Italia berlusconiana, osserva infatti Brett e io concordo con lui, mostra lo scarto fra una politica del potere che usa la manipolazione dei sentimenti e dell'immaginario come parte integrante delle tecniche di governo di una democrazia post-costituzionale, e una politica di opposizione ancorata a categorie puramente razionali e istituzionali che della mobilitazione dei sentimenti e dell'immaginario si ostina a sottovalutare l'importanza. Anche se, come sempre, il laboratorio italiano fa luce su una situazione più generale. Non è Berlusconi ma l'intero quadro della politica globale a imporre la centralità del tema. L'11 settembre e il successivo trattamento dell'evento da parte dell'amministrazione americana e dei grandi network televisivi; l'11 marzo e il successivo conflitto fra la versione televisiva di Aznar e la controinformazione degli elettori spagnoli via Internet; la gestione a effetto delle immagini della guerra in Iraq, fra bombe «shock and awe» e statue di Saddam decapitate; la via fotografica alla denuncia delle torture di Abu Ghraib; la diffusione in Rete della decapitazione degli ostaggi occidentali da parte dei terroristi islamici: sono tutti esempi di come il potere fa leva su sentimenti elementari e fa politica dell'immaginario usando le tecnologie dell'immaginario, e di come a sua volta il contro-potere - caso 11 marzo, caso Abu Ghraib - riesce a vincere quando agisce sugli stessi terreni e con le stesse tecnologie, ma a modo suo e per fini suoi. Non si tratta solo, sottolinea giustamente Neilson, di analizzare la potenza del visuale nelle società postmoderne. Si tratterebbe di analizzare le complesse strategie del potere e del controllo che si formano all'incrocio fra visuale e tecnologico (quante tracce lasciamo ogni volta che andiamo in Rete?), fra livello cognitivo e livello emozionale della ricezione dei messaggi, fra ideologia e senso comune, fra razionalità degli enunciati e corporeità dell'esperienza. E di rispondere a queste complesse strategie del potere con pratiche alternative altrettanto complesse, e altrettanto emozionali.
Che la sinistra radicale, continua l'autore, si trova però a dover interamente reinventare, oltre le vie classiche della rappresentanza e oltre l'illusione di poter contrastare la «falsità» delle rappresentazioni del potere contrapponendole la «verità» del contropotere. Rappresentanza politica e rappresentazione linguistica, i due potenti bastioni della razionalità del Politico moderno, vacillano entrambi quando a politicizzarsi, sul versante del potere, sono il corpo, i sentimenti, le emozioni, la percezione, l'immaginario. A quel punto non bastano, sul versante dell'opposizione, dei razionali progetti di ingegneria istituzionale o costituzionale. Ma non basta neanche rispondere con l'immaginazione di «un altro mondo possibile», con un movimento reattivo di rifiuto del presente che rinvia il problema a un domani migliore. Ci vorrebbe, dice Neilson parafrasando Marx, «un movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti», a partire dalle condizioni materiali e immateriali in cui siamo immersi, mobilitando verso l'azione i corpi e le menti, la razionalità e l'emotività, il sapere e l'immaginario. Qualcosa di non molto diverso da quello che il femminismo italiano ha chiamato «politica del simbolico». Perché invece la sinistra radicale, italiana e non solo, continua a discutere di contenuti programmatici, formule organizzative, mondi a venire, come se la razionalità politica non c'entrasse niente con i sentimenti e l'immaginario, e come se i sentimenti e l'immaginario fossero diventati per sempre una colonia di Silvio Berlusconi?