La costituente delle idee
ACHILLE OCCHETTO
Caro Alberto Asor Rosa, vedo che da un po' di tempo le nostre posizioni si sono sensibilmente avvicinate. Ben lungi da me l'intenzione di dare alle nostre persone più valore di quello che effettivamente hanno, tuttavia mi sembra che anche questo avvicinamento sia un segno del fatto che i tempi sono profondamente cambiati, che le differenze non sono più quelle di 15 anni or sono, e soprattutto che è matura l'esigenza di una mossa del cavallo capace di scompaginare i vecchi giochi, una mossa che saltando le pedine più vicine vada a coprire una casella vuota dalla quale sia possibile guardare a nuovi orizzonti. Per questo dico anche a te quanto ho già scritto a Bertinotti in una mia recente lettera aperta, nella quale ho commentato positivamente la sua disponibilità a un incontro in un nuovo contenitore: sono ormai superate le divisioni della svolta e ora dobbiamo sapere guardare avanti. Lo stesso processo che ha avuto inizio nell'89 si è diviso in due tronconi: quello che riteneva e ritiene necessaria una fuoriuscita da sinistra dal crollo del socialismo reale, e quello che si è mosso nella direzione di un riformismo moderato, guidato prevalentemente, come la signora Verdurin nella ricerca del tempo perduto, dall'ansia di essere accolti nel «salotto buono». Gli eventi sempre più drammatici che ci sovrastano rendono ancora più evidenti le differenze tra un riformismo radicale e un riformismo moderato. Ciò sta a dimostrare che è ormai matura la necessità di una riorganizzazione complessiva della sinistra, che naturalmente non deve fermarsi alla mera ingegneria organizzativa, ma deve, al contrario, prendere le mosse da una nuova svolta progettuale della sinistra, da un salto culturale, dalla messa in campo di un sapere rinnovato che tutti insieme siamo chiamati ad elaborare. Tu ti sei domandato nell'importante dibattito che hai aperto sul , e che io ho seguito con grande interesse, se esiste lo spazio di questa nuova sinistra. Rispondo affermativamente a questa tua domanda. Se si guarda bene alla realtà circostante ci si accorgerà che è presente un vasto settore democratico e di sinistra, laico e cattolico, che guarda oltre i parametri della sinistra, e, direi, della politica del Novecento, recando dentro di sé una sua del tutto originale alterità rispetto ai modelli di sviluppo e culturali delle società capitaliste. Questo settore, in una democrazia che sta diventando sempre più ristretta, e non solo per via del crescente astensionismo, rischia di non essere rappresentato. Ciò appare tanto più vero se si tiene conto che siamo dinnanzi ad una crisi strutturale della democrazia, che richiede un ripensamento radicale del rapporto tra partecipazione, rappresentanza e decisione, capace di farci uscire dall'attuale regime oligarchico trasversale, fondato sempre di più, a partire dalla grande democrazia americana, sul censo.
In questo contesto, come tu sottolinei nel tuo recente articolo apparso su questo giornale, diventa centrale determinare e influenzare il rapporto capitale-lavoro a partire dall'esigenza di dare rappresentanza a un mondo del lavoro che l'ha ampiamente persa. Lo stesso atteggiamento verso la guerra sta disegnando, ancora una volta, la grande discriminante tra le due sinistre. C'è una parte della sinistra che non ha ancora messo radicalmente in discussione la considerazione della guerra come una continuazione, con altri mezzi, della politica, e che respinge con sdegno tutte quelle forme di pacifismo intransigente che considerano la guerra stessa un tabù, esattamente come lo schiavismo e l'incesto. Non è un caso che il riformismo moderato sia molto riluttante a denunciare le spinte interne al sistema verso la guerra e a valutare tutta la portata della tremenda alternativa che si è aperta, per l'incapacità degli Usa di garantire la crescita globale in forme sostenibili, tra democratizzazione della global governance e militarizzazione della globalizzazione. Con questo intendo dire che sono ormai maturati i tempi perché la ricerca possa andare oltre le ragioni che ci videro su fronti diversi al momento della svolta. Riformismo non è necessariamente sinonimo di moderatismo: esiste una radicalità riformatrice che ha il coraggio di sperimentare strade nuove, di liberarsi dal tallone culturale del pensiero unico monetarista, di riprendere, in modi diversi dal passato, il percorso che conduce a un diverso modello di sviluppo. A questa esigenza non si fa fronte intrecciando in vario modo tra di loro sempre le stesse sigle, frutti, a volte avvelenati, di un partitismo senza partito. Occorre fare entrare in campo forze ed esigenze che fanno politica in modo diverso, anche al di fuori dei partiti.
Tu ti chiedi perché nel dibattito da te aperto su queste colonne ci siano state tante latitanze. Rispondo che uno dei motivi sta nelle gelosie di parte, nell'attaccamento ostinato alle ragioni e divisioni di un tempo ormai remoto. No, non si può andare avanti così. Bisogna che tutti sappiano abbandonare le proprie rendite di posizioni, le gelosie reciproche riconoscendo con umiltà che la sinistra non è la risposta, è il problema, e che occorre ritornare a ridiscutere i fondamenti dell'idea stessa di sinistra e di democrazia. In questo senso è necessario immaginare e progettare nuovi luoghi della politica.
Uno di questi luoghi cercherà di essere il «Gruppo del Cantiere» per la ricostruzione della democrazia, della politica e della sinistra che prenderà vita nei prossimi giorni, sulla base di una carta di intenti che consegneremo venerdì prossimo, per primo, a Romano Prodi. Ti voglio fin da adesso dire che gli intenti di tale gruppo sono molto simili a quelli da te delineati nei tuoi recenti articoli. Accanto ai partiti e per la loro riforma devono vivere luoghi che si pongono come un servizio democratico che fornisce i terreni di confronto, apre tavoli programmatici, suscita e coordina iniziative. Noi ci proponiamo di essere uno di questi servizi democratici. Questi luoghi, non strettamente legati all'immediatezza del potere e della reciproca concorrenza, potrebbero fare saltare vecchie ruggini, rivalità di bottega. Ed è proprio sulla base di questa ispirazione che ritengo possiamo dichiararci fin da adesso interessati alla tua proposta di dar vita ad una assemblea della sinistra non moderata, e aggiungerei della vasta zona democratica dei movimenti, a partire da quelli pacifisti.
Questa tua iniziativa coincide con la nostra proposta. Cioè di dar vita ad un'area che senza chiedere a nessuno di lasciare la propria organizzazione, si rivolga, attraverso un lavoro a rete tra partiti, associazioni e gruppi, a quel settore di cui ho parlato e che rappresenta potenzialmente la nuova sinistra. In sostanza un'area formata da movimenti, singole personalità, partiti, associazioni al cui centro si collochi non il partito guida, o la forza numerica, ma il Progetto in continua elaborazione. Già questa sarebbe una bella riforma della politica. Proprio per questo credo che saremo tutti ben lieti di partecipare e di promuovere assieme ad altri l'assemblea da te propugnata. Incominciamo dunque con il luogo del Progetto, con la costituente delle idee, per vedere solo in un secondo tempo se ci sono le condizioni di nuove unificazioni sul terreno della rappresentanza politica. Se sei d'accordo, in partenza la proposta dovrebbe essere rivolta a tutti coloro che riconoscono la necessità di una ricerca che si muova al di fuori di ogni ipotesi di riformismo moderato e subalterno. Il punto di arrivo potrà essere, anche sul piano dell'organizzazione politica, qualcosa di inedito. Ma lo vedremo dopo.