SI RESPIRA una strana aria, nel centrosinistra. Un´aria frizzante, quasi euforica, che ne influenza il clima (d´opinione). Si è convinti, a centrosinistra, che il "futuro è nostro". Che le prossime elezioni siano largamente segnate. A proprio favore. Il voto alle recenti suppletive (7 a 0, tre collegi espugnati al centrodestra) ha rafforzato questo sentimento. Mentre, fra gli altri episodi, il "dimissionamento" di Mentana dal Tg5 viene letto come un´ammissione di debolezza dell´altro schieramento. Il premier deciso a investire tutto sul marketing e sulla comunicazione, perché costretto a navigare controcorrente.
Questa convinzione appare diffusa. Nel giugno del 2003 solo una quota minoritaria della base elettorale di centrosinistra pensava che la propria coalizione avrebbe vinto le elezioni. Oggi (secondo le indagini dell´Ipsos) è salita al 75%. Tre elettori di centrosinistra su quattro, in altri termini, si sentono già vittoriosi. Ma la percentuale, probabilmente, cresce ulteriormente nel ceto politico e nella classe dirigente. Le cui dichiarazioni pubbliche, al proposito, non palesano incertezze. Non tanto, sospettiamo, per motivi tattici. Ma per "convinzione convinta". Incoraggiati, anzitutto, dai sondaggi. Che continuano ad attribuire al centrosinistra un vantaggio molto netto nella competizione maggioritaria. E, in misura più ridotta, anche in quella proporzionale. Complice, una memoria selettiva, che induce a rivisitare la storia passata, anche quella più recente, in modo coerente con le proprie aspettative attuali. Così, si tende a leggere quanto è avvenuto nel giugno scorso isolando il voto amministrativo. Dove, effettivamente, il centrosinistra ha prevalso in modo netto.
Ma si glissa sul voto alle europee, che, pur confermando la ripresa del centrosinistra, ha sancito - in parziale contrasto con le stime dei sondaggi - un sostanziale equilibrio fra i poli. Confermando ancora una volta che il centrosinistra "rende" meglio nelle competizioni su base amministrativa. Dove dispone di personale politico credibile, organizzazione radicata e, contrariamente a quanto avviene a livello nazionale, può lasciare sullo sfondo le differenze di programma e identità.
Si trattasse di "credulità demoscopica", denoterebbe solo imprudenza; e una certa dose di assimilazione del modello berlusconiano. Ma l´impressione è che si tratti di un vizio più radicato. Di un pregiudizio ideologico, che induce a leggere nel cambiamento, profondo, che coinvolge, da qualche anno, il paese, un processo destinato a produrre effetti prevedibili, quasi scontati, anche sul piano del comportamento elettorale. Trascinandolo, naturaliter, a sinistra.
D´altronde, i modelli e i riferimenti che avevano caratterizzato gli anni novanta oggi sono declinati. Il mito dell´imprenditore e del mercato, il privato efficiente opposto al pubblico necessariamente dissipativo. La protesta politica dei ceti medi fondata sull´interesse locale e fiscale. Il ripiegamento della partecipazione e dell´organizzazione, in politica, a favore della comunicazione e della personalizzazione. Tutti questi orientamenti da qualche anno hanno svoltato. E tutti, ormai, se ne sono accorti. È appassito il mito dell´imprenditore, mentre il mercato riserva più incertezze che motivi di speranza. Al richiamo individualista è subentrata, impetuosa, una diffusa domanda di comunità, di integrazione e interazione sociale. E la voglia di privato si è appannata. Mentre riprende la domanda di pubblico. E di stato. Anche in politica, le cose sono cambiate rapidamente. La protesta sociale si esprime attraverso la mobilitazione e la partecipazione "visibile". Cui contribuiscono in modo consistente, a differenza del passato recente, i giovani e gli adolescenti. La personalizzazione e la televisione, contano, ma non bastano. A volte giocano contro, suscitando saturazione e rifiuto. Riacquistano, invece, importanza la presenza sul territorio, la stessa "professionalità" politica.
Tutte queste tendenze contrastano con la fase precedente, interpretata dai partiti di centrodestra e soprattutto da Berlusconi. Il motore del suo successo - la speranza nel miracolo economico e nel benessere diffuso - si è decisamente inceppato. Visto che oggi tutti si sentono più poveri; e tutti guardano al presente e ancor più al futuro con inquietudine. Tutti: ma soprattutto i cosiddetti "ceti medi" privati. Fondamentali per il successo del centrodestra.
In mezzo a tanta incertezza "materiale", infine, la società cerca motivi di identità, invece che di utilità. Insegue i valori, non solo gli interessi. Si mobilita per la pace, per i diritti, per l´ambiente.
Da ciò la "fiducia", che si respira nel centrosinistra. Riflette la certezza che il "mondo" sia destinato a spostarsi verso la sua sponda. Spinto dal "cambiamento" dei comportamenti, dei miti, dei valori. Perché la partecipazione, l´insoddisfazione economica, la richiesta di "pubblico", la domanda di identità piegano a sinistra il vento della storia. Una convinzione quantomeno discutibile. Perché molti di questi cambiamenti riflettono paura e delusione. La paura della guerra, l´incertezza economica e dei mercati. Spingono a rivalutare il "pubblico" e lo Stato, come fonte di tutela e protezione. La delusione. Riflette le cattive prestazioni della classe imprenditoriale e di quella politica (sedicente dilettante). In fiero contrasto con le promesse degli anni precedenti. Peraltro, l´individualismo, la competizione di mercato, generano solitudine e senso di vulnerabilità. In tempi di minacce globali. La partecipazione diventa, essa stessa, una sorta di terapia, contro lo spaesamento e la solitudine.
Insomma: i miti degli anni novanta si sono spezzati. E nessuno più crede alla felicità privata, al mito dell´imprenditore - in economia e in politica. Mentre la partecipazione soddisfa più della protesta rancorosa e silenziosa. E i valori dimostrano una crescente "utilità" agli occhi e al cuore della gente. Ma questa corrente sociale e d´opinione non segue un corso obbligato. Può, invece, orientarsi diversamente. Perché ha bisogno di risposte adeguate, in grado di incanalarla.
Si guardi al voto degli Usa. Che, certamente, riflette le specificità del caso americano. Ma serve, anche a noi, a dimostrare come la "domanda di valori e di comunità" possa essere soddisfatta dai repubblicani (secondo il nostro schema: la destra) invece che dai democratici. In base a un´offerta di "protezione" e di ordine, alimentata dalla paura del terrorismo. In base a una mobilitazione della risorsa "comunitaria" presente nella periferia americana, che coincide con la gran parte del territorio degli Usa.
Peraltro, il voto degli Usa serve ad allertare circa un altro pregiudizio, particolarmente diffuso in Italia. Che la partecipazione e la mobilitazione elettorale premino il centrosinistra. Non è vero. La capacità di mobilitazione dei partiti di centrosinistra è tanto più efficace quanto più basso è il grado di partecipazione degli elettori in generale. Quando, come alle elezioni suppletive di ottobre, vota il 50% degli elettori. Allora, il peso dell´organizzazione e dell´identità del centrosinistra diventa preponderante. Ma quando la campagna riesce a mobilitare l´elettorato nell´insieme, coinvolgendo i settori più disincantati, distaccati e periferici, la competizione diventa sicuramente più aperta.
Fa male, allora, il centrosinistra a pensare che la delusione, la domanda di valori, la partecipazione, da sole, siano in grado di spingere i voti verso le sue sponde. Sbaglia a pensare di "avere la ragione dalla sua parte". E, se anche così fosse, sbaglia a pensare che sia sufficiente per vincere. Le ragioni, le parole di "destra", funzionano ancora. Perché ciò avvenga, deve dare agli elettori "buone ragioni". Esprimere valori diversi. Fondativi di un´identità diversa. Attraverso un linguaggio diverso. Rispetto al centrodestra. In grado di rispondere all´incertezza, alla paura, al disagio concreto e al disorientamento dei cittadini. Oggi non è (ancora) così. E le ragioni, le parole della destra continuano a funzionare.
Dovrebbe, il centrosinistra, insistere, sulle "sue" parole. Solidarietà, sicurezza e benessere "sociale", equità. Che oggi (ce ne accorgiamo mentre le scriviamo; e, ancor più, mentre le pronunciamo) appaiono largamente "svalutate". Anacronistiche. Fuori moda.
Tali rischiano di restare anche le attese del centrosinistra. E le sue pretese. Di essere sospinto verso la vittoria (annunciata) dal "vento della storia". Senza disporre di vele capaci di domarlo. Di parlare agli elettori delusi, in modo persuasivo.
Senza trovare le parole.