Prima che sull'articolo sul Settantasette di Giampaolo Pansa su la Repubblica di sabato, varrebbe la pena di interrogarsi sulla pervicacia con cui la medesima testata ha deciso, fin dalla domenica precedente, di presentare la «spesa sociale» al supermercato e alla libreria Feltrinelli fatta dai disobbedienti durante la manifestazione sul precariato come una funesta replica delle «cupe violenze» del Settantasette e un sicuro annuncio di efferate violenze prossime venture. Guerra preventiva della sinistra perbene contro ogni possibile collusione con la sinistra permale? Chissà. Quanto a Pansa, c'è poco da aggiungere al commento che ne ha fatto su di domenica Piero Sansonetti, compresa l'autodenuncia di quanti libri ci siamo «procurati» furtivamente da giovani tradendo, prima che le leggi del mercato e i controlli dei librai, le legalitarissime educazioni di padri specchiati che mai ci avrebbero perdonato quelle piccole illegalità pur commesse in nome del désir de savoir. A proposito, perché non ne parliamo? Perché nessuno si applica a considerare il piccolo problema che il circuito librerie-biblioteche è fatto apposta, in Italia, per ostacolare invece che incoraggiare il consumo specialmente giovanile di pagine scritte? Neanche Carlo Feltrinelli, che a latere di Pansa difende giustamente la «ragione sociale» del proprio marchio ma glissa su questo punto come sull'altro, spinoso, del carattere precario dei posti di lavoro che, come egli rivendica, le stesse librerie Feltrinelli creano. Ci si applica invece con inveterata passione a fare cattiva storia e cattiva memoria del Settantasette, riducendo quella che è stata una delle più complesse stagioni della vicenda politica italiana a una collana di morti ammazzati, un campo di battaglia da guerra civile, una sequenza senza soluzione di continuità fra espropri proletari, rapine, P38, ammazzamenti e terrorismo. Bizzarra approssimazione, nel paese del manierismo politico in cui un mediocre cronista ha il dovere di imparare subito a distinguere con acribìa le virgole delle dichiarazioni di mezza sera di Fassino e Rutelli o di Fini e Casini. Col Settantasette invece andiamo all'ingrosso: «un anno miserabile e sporco di sangue», Lama dixit e Pansa sottoscrive con l'aggiunta dell'«inquietante parallelismo» con l'oggi. Mettiamola così: i disobbedienti, con la «spesa sociale», del `77 ci mettono una citazione, gli obbedienti un fantasma. Non sarebbe il caso di analizzare il fantasma?
Sarà il caso, prima o poi. Anche a partire dalla domanda che si pone a un certo punto Sansonetti, perché tanta parte del giornalismo e dell'intellettualità italiana sia diventata sempre più conformista e sempre meno critica rispetto al potere. Questione che con quel fantasma c'entra eccome, non poche ottusità nell'analisi della società e della politica italiane essendo riconducibili precisamente a una mancata comprensione della cesura - anche violenta e tragica, ma non solo violenta e tragica - che il Settantasette ha operato sulla vicenda italiana. Se si smettesse di ridurlo a un fascio di insensate efferatezze, si riuscirebbe forse finalmente a capire che in quel complicato movimento c'era l'annuncio di trasformazioni sostanziali che nei decenni successivi hanno travolto il paradigma tradizionale della politica, rivoltate di segno e impugnate da poteri (e figuri) non meno violenti dei militanti dell'epoca. La trasformazione in senso postfordista del sistema produttivo, la crisi senza ritorno della rappresentanza, lo slittamento sui massmedia della comunicazione politica, la crisi della razionalità politica classica fecero irruzione sulla scena allora e da allora non l'hanno più abbandonata. Anche il problema della violenza di alcune pratiche (e anche l'esodo femminile - di cui nessuno si ricorda, a cominciare da Bertinotti - dalla violenza di alcune pratiche). Questione da sdoganare anch'essa nella discussione della sinistra estrema di oggi. Se i fantasmi alla Pansa non lavorassero tanto attivamente a renderla tabù.