ROMA L’idea di un incontro a sinistra è venuta da Alberto Asor Rosa nell’ambito di un dibattito aperto da «Il Manifesto» sullo stato della sinistra in Italia. Adesso l’incontro si concretizza il 15 gennaio alla Fiera di Roma. L’adesione è stata superiore alle aspettative. «Le risposte - spiega Asor Rosa - per le motivazioni e l’ambito concettuale nel quale la proposta è stata formulata, sono venute da una certa sinistra, quella più radicale: Prc, Pdci, Verdi, gruppo Occhetto e una miriade di associazioni e gruppi della società civile, dai pacifisti al Laboratorio per la democrazia di Ginzborg». Il giorno dopo, il 16 gennaio, si terrà un altro incontro sul programma del centrosinistra promosso da un pool di riviste. Ma le due iniziative «hanno marciato indipendentemente l’una dall’altra, la coincidenza temporale è puramente casuale». Fatto sta che questa coincidenza consentirà una due giorni di riflessione a tutto campo in un momento critico per il centrosinistra: «È emersa con chiarezza la tendenza a spostare verso il centro l’asse del centrosinistra. Un errore, secondo me. Riuscire a dimostrare che esiste una forza coesa e solidale a sinistra capace di tirare nella direzione contraria, potrebbe impedire quella deriva moderata del centrosinistra che probabilmente sarebbe perdente anche sul piano elettorale».
Lei ipotizza un percorso. Con quale finalità?
«Tentare di fare chiarezza su quelli che possono essere i valori fondativi e le idee guida di una sinistra che non sia concepita come puro e semplice strumento di gestione di questo sistema, sia a livello nazionale che internazionale. Una operazione che è, in primo luogo, di cultura politica».
Questo implica l’esistenza di un vuoto di elaborazione politica a sinistra?
«Un vuoto pesantissimo, stratificato negli anni a partire dal momento in cui la vecchia cultura di sinistra, quella che ruotava intorno al Pci, è andata in crisi senza essere stata rimpiazzata da nessuna sintesi nuova o magari da più di una sintesi»
Lei rimprovera alla sinistra di essere diventata uno strumento di gestione del sistema. Vuole spiegare?
«La sinistra italiana nel suo complesso si è appiattita sulla gestione dell’esistente e sulla ricerca di formule organizzative destinate a sopperire a una serie di difficoltà con le quali di volta in volta ci siamo confrontati, sia stando al governo che all’opposizione. Il contingente ha prevalso nettamente sullo strategico e questo ha provocato anche un degrado della politica a mera gestione, ad amministrazione del potere. Il ragionamento riguarda la sinistra nel suo complesso anche se, per ora, a porsi il problema è stata quella componente della sinistra italiana ed europea che non ha scelto una via di tipo blairiano per intenderci».
Da una parte la sinistra che si aggrega nella Fed identificata come motore riformista della più vasta alleanza dell’opposizione, dall’altra una aggregazione più radicale che porta nel programma dell’alleanza un suo contributo di idee e di contenuti?
«Direi che si confrontano due diverse opzioni possibili di riformismo. La prima è quella della modernizzazione, formula usata da Piero Fassino fin dal congresso di Pesaro. La seconda insiste invece sul processo di mutamento del sistema economico sociale capitalistico nel senso di una maggiore solidarietà sociale e di una maggiore partecipazione. Due visioni diverse. Due approcci diversi a questo sistema e al modo di governarlo».
Su quali temi deve esercitarsi questa riflessione?
«Guerra e pace, innanzitutto. Capitale-lavoro, globalizzazione, diritti e garanzie costituzionali. A partire dai pericoli insiti nello slittamento autoritario e intriso di conflitto di interessi del governo Berlusconi e del sistema di potere che ha creato».
Lei ha detto che non serve un nuovo contenitore ma che va garantita a questa aggregazione a sinistra un minimo di rappresentatività. Ha proposto una Camera di consultazione permanente. Una forma di organizzazione stabile?
«La mia idea, che sarà oggetto di discussione in questa assemblea, è che occorre trovare una soluzione intermedia fra la ricerca di una struttura organizzativa permanente alla maniera della Fed, e l’assenza di organizzazione. La prima sarebbe troppo precoce e tradirebbe l’attesa di molti che cercano risposte strategiche e non forme organizzative. L’altra metterebbe chi partecipa all’iniziativa in una condizione di incertezza e di discontinuità. Una Camera di consultazione permanente sarebbe un organo al quale sono ammessi tutti quelli che lo desiderano (partiti, sindacato, rappresentanze di gruppi, associazioni...) con compiti di discussione ed elaborazione su temi di carattere generale ma anche attinenti allo svolgimento concreto della vicenda politica italiana».
Non c’è il rischio di spezzettare ancora di più il panorama politico? Da una parte la Fed riformista, dall’altra la sinistra radicale, mentre il programma della Gad ancora non parte perchè la sintesi è difficile e nel frattempo ci si attarda su primarie e regole varie?
«L’iniziativa del 15 gennaio va in direzione esattamente contraria a uno spezzettamento. È una scelta profondamente unitaria tesa a rendere più chiari gli elementi di programma sui quali c’è una convergenza. Penso a un processo unitario a sinistra capace di rendere più forte e solida anche l’alleanza democratica. Secondo me ci sono più prodiani convinti in questa zona della sinistra che non nella Margherita».
In questo quadro cosa accade ai Ds?
«Se una parte dei Ds punta alla fusione con la Margherita bisogna prendere atto che una parte della sinistra storica si appresta a percorrere una strada che non è la nostra. Ma non c’è niente di scontato in questo processo».