Dopo il terremoto di L’Aquila e Abruzzo, il governo ha formulato una nuova versione del decreto “per il rilancio dell’attività edilizia” e fa entrare in vigore la nuova normativa sismica più volte rinviata. Ma il lupo perde il pelo, non il vizio. All’articolo 1 del nuovo decreto si prevede che gli interventi di demolizione e ricostruzione di opere interne ai fabbricati possano iniziare con il semplice invio di una “informativa, anche per via telematica”. In buona sostanza, il proprietario di un edificio può ristrutturarlo e farci ciò che vuole limitandosi a inviare una e-mail! Quello stesso proprietario, sempre ai sensi dell’articolo 1, può anche mutare la destinazione d’uso dell’immobile. Aveva abitazioni, ad esempio, e può farci un albergo. Aveva un deposito e può aprire un opificio che preveda la presenza stabile di lavoratori.
Queste due attività sono soggette al rispetto della normativa antincendio. Porte tagliafuoco, vie di fuga, luoghi sicuri e quant’altro, così da scongiurare le tragedie che hanno punteggiato la storia del nostro paese, dal cinema di Torino, ad un albergo del centro storico di Roma, a tante fabbriche un tempo prive dei più elementari strumenti di prevenzione all’azione del fuoco. Piccole spese per salvare vite umane.
Ma per la classe dirigente economica che detta indisturbata l’agenda del governo queste conquiste di civiltà sono evidentemente inammissibili. Ecco il testo del secondo comma dell’articolo 1. “Ai fine di semplificare il rilascio del certificato di prevenzione incendi, il certificato stesso, ove previsto, è rilasciato in via ordinaria con esame a vista”. E’ scritto proprio così, con esame a vista. I tecnici dei vigili del fuoco dovranno recarsi sul posto senza poter disporre, come oggi, di un progetto antincendio presentato. E una volta lì dovranno rilasciarlo con esame a vista. Mancando un archivio, poi, qualsiasi cosa dovesse accadere negli anni a venire non si troverebbe alcun responsabile: mancano le prove sullo stato dei luoghi.
Ci sarebbe da scandalizzarsi. Ma purtroppo ogni volta che atti ufficiali di governo fanno emergere questa cultura inaccettabile per qualsiasi paese civile, appare soltanto un silenzio generalizzato da parte di tutti gli strumenti di comunicazione. Forse perché al potere economico -che ne controlla molti- fa immensamente piacere che qualcuno faccia il lavoro sporco.
Dall’attenuazione delle misure di sicurezza sul lavoro alla privatizzazione dell’acqua. Dall’inarrestabile spinta alla precarietà del lavoro fino al tentativo di cancellazione delle responsabilità della proprietà in caso delle morti sul lavoro. Dall’abolizione delle regole urbanistiche all’annullamento delle funzioni delle Soprintendenze di stato. In ogni settore della nostra società si sta purtroppo affermando una concezione selvaggia che ci allontana dall’Europa, dove, come noto, vengono continuamente potenziate le funzioni statali. La cecità della classe imprenditoriale sta mettendo in crisi le stesse basi della convivenza civile del paese. Sulla responsabilità penale della proprietà in caso di incidenti c’è voluto il decisivo intervento del Presidente della Repubblica. Ma se manca un moto di sdegno da parte dell’opinione pubblica sulle altre questioni aperte assisteremo a tante altre sconfitte.