Scrive Francesco Indovina
Mi era sembrato di esagerare nel giudicare l'atteggiamento del il manifesto distratto, se non proprio antipatizzante, per il gli «stati generali della sinistra» (nome pomposo, va bene!), ma l'articolo di Rossanda di mercoledì mi ha fatto capire di non essere il solo ad avere avuto questa impressione.
Ho cercato qualcuno, Valentino Parlato o qualche altro dell'establishment del giornale, tra la folla di sabato e domenica, ma non ho trovato nessuno (ho trovato tanti compagni del Manifesto, movimento), ho pensato troppa gente. Ma leggendo la cronaca di martedì ho percepito che quei due giorni erano stati ... passati sotto gamba. Eppure sono stati due giorni interessanti e densi, sono stati due giorni pieni di entusiasmo, un entusiasmo così contagioso che i quattro «segretari» si sono gasati al punto di esporsi oltre ogni aspettativa verso la prospettiva dell'unificazione.
Certo, come osservava Rossanda, siamo al di sotto delle necessità, eppure un'elaborazione comune, fondamentale per la costruzione di un soggetto politico, è iniziata. Niente di più che un inizio, ma di questi tempi e tenendo conto dello stato anche conflittuale di queste forze non è poco. Il documento di intenti, come carta iniziale di un percorso di lavoro non è male. Per quello che conta ero venuto a Roma speranzoso e scettico sono ripartito ottimista. Con questo non voglio dire che tutto è stato risolto, ci vuol altro, ma i problemi da affrontare sono stati messi in agenda a partire dal riferimento sociale, che si può presumere scontato, ma non lo è (troppo ha lavorato ai nostri fianchi il pensiero prevalente).
Ha ragione Franco Giordano, si è cominciato a lavorare fuori da logiche di nicchia, e questo mi pare molto importante se fosse vero che il «declino» o la debolezza della sinistra va anche colta nella «cultura di nicchia». L'auspicio della costruzione di una nuova strategia della sinistra nel confronto diretto con i soggetti sociali, così indicato ancora da Giordano, implica un «corpo a corpo» con questi soggetti. Un soggetto plurale non è sommatoria, ma riduzione a unità, dove ciascuno ha «lingua», ma anche e soprattutto «orecchie» e capacità rielaborativa; dove le singole soggettività fondate su esperienze di vita e di lotte si misurano e si rapportano a un universo comune. Non è poco, non è semplice, non è certa la riuscita, ma questo ci tocca. Il fallimento di questa prospettiva unitaria sarebbe drammatico per la sinistra, per i lavoratori per i soggetti deboli. Voglio anche dire che i giorni subito dopo gli «stati generali» non sono entusiasmanti; il protagonismo marchiato di egotismo non sembra sconfitto. Quando, chiedo ai quattro «segretari», il «soggetto federato» riuscirà a parlare con un sola bocca e soprattutto con lo stesso contenuto?
Ma a questo punto torniamo al : in questo processo il suo ruolo è quello di osservatore distratto. Così è apparsa la cronaca dei due giorni. Già in un altro mio intervento avevo prospettato che, nella ovvia indipendenza critica del giornale, anzi ci si può aspettare che questa possa essere utilmente più «affilata», questa prospettiva unitaria andava sostenuta. Ma non sostenuta facendo da «megafono», ma accompagnata e aiutata con gli strumenti propri del giornale, impegnando le forze, mobilitando i suoi collaboratori, per alimentare la costruzione di una cultura comune del nuovo soggetto. E detto francamente questa ipotesi di lavoro, ovviamente parziale per il giornale, sarebbe salutare anche per la «cultura» del giornale.
Risponde Valentino Parlato
Caro Francesco,ho letto con attenzione autocritica il tuo articolo. Che cosa risponderti? Posso solo risponderti che hai ragione e che io sono «dalla parte del torto», ma senza l'orgoglio che noi attribuiamo a questa formula. Hai ragione, come ha ragione Rossana Rossanda quando ci (mi) ha scritto di essere meno snob e di dare maggiore attenzione agli Stati generali delle sinistre.
Ci conosciamo da più di quarant'anni e non posso imbrogliarti. Le sinistre, cosiddette radicali, mi lasciano molti dubbi, come la formula del plurale e unitario che mi fa pensare alla santa trinità, uno e trino. Detto tutto questo (sono andato distrattamente sabato) sarei dovuto andare domenica e anche intervenire. Ripeto: faccio severa autocritica personale e anche del giornale, che talvolta mi appare un Sisifo stanco e anche un po' spocchioso. Aggiungo che proprio per questa autocritica ho ringraziato molto sinceramente Franco Giordano, che ci ha mandato l'articolo che tu citi, in segno di amicizia (nonostante noi) e di stimolo.
Bene fatta questa autocritica mi chiedo e chiedo, questo manifesto «quotidiano comunista», che da 36 anni resiste a tutte le sconfitte e a tutte le ritirate della sinistra e che non ha affatto l'intenzione di autodefinirsi «quotidiano democratico» può chiedere, lo chiedo io a Franco Giordano, a Fabio Mussi, a Oliviero Diliberto, Alfonso Pecoraro Scanio di venire una mattinata qui alla sede del manifesto e dirci (e dirsi) che cosa veramente vogliono fare, quale è il loro obiettivo strategico, non solo tattico, perché - a mio avviso - nella tattica stiamo affogando.
Caro Francesco temo - sono quasi sicuro - che questo mio invito sarà del tutto disatteso. Ciascun leader impegnato nei suoi guai non avrà avuto il tempo di leggere questo mio modesto (forse presuntuoso) invito.
In tutti i modi, caro Francesco, ti assicuro che nonostante tutte le mie autocritiche non ho assolutamente voglia di mollare. E' meglio sbagliare e resistere che avere ragione e mollare. E non solo per snobismo.
Un abbraccio.