«C'è un compito politico che ci impone, nel tempo medio, di chiudere il dopo '89. Che vuol dire superare la dispora che ha diviso la sinistra a partire da quella data e ricomporla unitariamente, in grande, in avanti». Il senso della proposta di Mario Tronti all'Assemblea del Crs di ieri e ai molti ospiti eccellenti presenti in rappresentanza dei vari spezzoni della sinistra, da D'Alema a Bettini, da Mussi a Alfonso Gianni a Cuperlo, si può sintetizzare in questa citazione. E' una proposta politica, che «nel tempo medio» comporta una ristrutturazione del campo, oltre quella divaricazione fra un partito di centrosinistra moderato e un'aggregazione della sinistra radicale che è l'esito attuale del processo iniziato con la svolta del Pci dell'89. Ma è anche una proposta culturale, che fin da subito comporta una tematizzazione di lungo periodo della crisi della sinistra tutt'intera nel contesto storico e internazionale, e uno scatto antidepressivo per uscirne. Malgrado la sconfitta infatti, sostiene Tronti, «questo è un momento favorevole, perché c'è un cambio di fase» che domanda iniziativa. Si è esaurito il ciclo neoliberista, avviato dalla Trilateral nel '73, proseguito con Thatcher e Reagan negli anni 80, con la globalizzazione selvaggia nei '90 e con la rivoluzione conservatrice dei neocons negli Usa di Bush jr. E si è esaurito anche l'esperimento della «terza via» blairiana, «tentativo subalterno» delle sinistre occidentali di competere con l'egemonia liberista facendosi centro. Sul campo, fra le macerie, resta l'esigenza di ricostruire «una sinistra moderna, autonoma, critica, autorevole, popolare» che contrasti la destra «democratica e illiberale», non fascista o autoritaria, sedimentatasi in Italia dal '94 a oggi. Come, Tronti l''aveva già scritto nelle «Undici tesi dopo lo tsunami» del Crs (www.centroriformastato.it) e lo riarticola di fronte all'Assemblea: rilanciando il primato della politica sulla società, puntando cioè a «fare società con la politica» e non a rincorrere populisticamente gli umori e le viscere del sociale, convincedosi che è solo con «l'organizzazione del conflitto sociale, della lotta politica, della battaglia culturale» che si può di nuovo conoscere quella società che il risultato elettorale ci consegna opaca e distante. E ancora: ricostruendo delle elite politiche, contro il populismo di destra e la dequalificazione del ceto politico di destra e di sinistra; riformando rappresentanza e decisione, contro la deriva presidenzialista; associando alla «guerra di posizione» nello scenario nazionale stagnante una «guerra di movimento» nello scenario mondiale in trasformazione.
Resta aperta, per Tronti, l'alternativa tra fare «un grande partito della sinistra o un partito della grande sinistra». Che non è, s'intende, un gioco di parole. L'una e l'altra ipotesi, del resto, sono appunto da «tempo medio» e non sono realisticamente a portata di mano oggi o domani mattina: D'Alema sosterrà che la strada del Pd, «grande partito riformista di centro sinistra», è tracciata, Cuperlo che «la sua implosione sarebbe oggi un danno drammatico», ma entrambi insisteranno su una politica di alleanze a sinistra che archivi le velleità di autosufficienza del Pd, di cui Goffredo Bettini archivia peraltro qualcosa di più, la rincorsa della destra sulla «inciviltà» del mercato senza politica. Prevedibilmente, d'altro canto, risposte positive alla traccia di Tronti arrivano da Mussi e da Alfonso Gianni. Ma aldilà, o forse al di qua, dei passi politici più o meno cauti e felpati, incerti o paralizzati, qualcosa si mette finalmente in moto, e secondo linee non scontate, nella discussione del dopo-sconfitta, se è vero che, come sintetizza Cuperlo, la giornata mette sul tavolo «questioni che da anni abbiamo scelto colpevolmente di rimuovere». E restituisce, come dice Beppe Vacca proponendo un seguito della discussione, «una dimensione temporale, storica e teorica dei problemi che nessuna sede politica da sola è in grado di ordinare». Questione di cultura politica, prima che di agenda politica. Senza la quale, denuncia Alfredo Reichlin, il Pd, nel quale lui pure continua a credere, non fa «il salto di qualità» necessario a uscire dallo «spiazzamento» che lo accomuna alla sinistra europea. Manca qualcosa? Sì, dice Aldo Bonomi, un'analisi sociale della «fabbrica a cielo aperto» che ridisloca sul territorio glocal il conflitto capitale-lavoro. E certo, uno sguardo capace di uscire dal campo limitato del ceto politico della transizione, e di imparare qualcosa dalle esperienze di movimento che - vecchio vizio di partito - tutti oggi, da D'Alema a Bertinotti allo stesso Tronti, trascinano nell'orbita della sconfitta. Ma l'aria riprende a circolare. Non è poco.
«Dopo lo tsunami». Tutti uniti dal Crs, per un giorno
Come si riapre una «prospettiva di ricostruzione di un grande sinistra moderna, critica, autonoma, autorevole, popolare». Domandone del secolo nuovo, non solo alle nostre latitudini, quello che ha posto il filosofo Mario Tronti. E voglia di ragionare intorno all'argomento, c'è. Per lo meno tra i politici e gli intellettuali che si sono riuniti ieri all'assemblea annuale dal Centro di studi e iniziative per la riforma dello Stato. Parterre d'altri tempi, passati. Qualcuno si augura futuri. Tra gli altri, Massimo D'Alema, Fabio Mussi, Alfonso Gianni, Pierluigi Bersani, Goffredo Bettini, Alfredo Reichlin, Miriam Mafai, Giuseppe Vacca. Tronti, presidente del Crs, ha svolto la sua relazione, quella delle '11 tesi dopo lo tsnunami'(vedi manifesto dell'11 giugno) e ha invitato a «chiudere il dopo '89, superare la diaspora che ha diviso la sinistra a partire da quella data e ricomporla unitariamente, in grande, in avanti». Ora serve, ha detto, «riprendere la strada dritta e lunga. La cosa che lascerei in dubbio è se fare un grande partito della sinistra o un partito della grande sinistra». Ma il percorso è lungo, e la polemica con il Pd lo sta a testimoniare. Per Fabio Mussi quel partito è «l'ultimo atto della piece della crisi della sinistra», perché «l'idea che si dovesse occupare il centro è stata una idea sbagliata». Quindi, «bisogna lavorare per organizzare nella società e in parlamento una opposizione che si rispetti, poi a modificare il quadro politico per aprire un nuovo spazio per una sinistra moderna, popolare, autorevole». Per l'opposizione Pierluigi Bersani ha invitato a guardare al «tema del progetto, perché se vinci vinci da tutte le parti, anche al centro. Il che però non significa che non sei in un posto. Per me - ha aggiunto - è possibile avere un soggetto politico di una grande sinistra democratica che tolga il trattino del centrosinistra e che dica cose nuove». Alfonso Gianni, Prc, ha sottolineato che «la sinistra è un progetto politico, perché la politica deve parlare alla società, ed è per questo che un progetto politico serve. Ma è strano che chi, invece, dice che la sinistra esiste in natura poi la espelle dal proprio nome». Oggi, ha proseguito - tutti quelli che vogliono un cambiamento del sistema hanno il dovere di creare un nuovo soggetto, sapendo che le forze esistenti, di tutte le cromature, non sono sufficienti».
Della fine dell'illusione dell'autosufficienza ha parlato anche Massimo D'Alema, semnza risparmiare critiche all'indirizzo della prima gestione del Pd. «Non abbiamo avuto la forza di condurre a esito la transizione, il coraggio di fare innovazione politica». Però, visto che la destra è fragile e comunque ben lungi dall'aver vinto la partita, l'opposizione ha ancora più motivi per organizzarsi. «Adesso si sta creando, io spero che si crei, un grande partito riformista di centrosinistra. Ce n'era bisogno in Italia, purché questo non pensi di essere autosufficiente».