Il 15 gennaio 2005, preceduta da una campagna di stampa sul durata sei mesi, alla quale parteciparono le personalità più rilevanti della sinistra italiana, politici e intellettuali, si riunisce alla Fiera di Roma una grande Assemblea nazionale.Un'assemblea, affollatissima ed entusiastica, che darà vita a quella che qualche giorno più tardi si definirà, - modestamente e ambiziosamente insieme - «Camera di consultazione della sinistra».
Compiti espliciti e teorizzati del neonato organismo sono: a) la riformulazione di un organico programma della sinistra radicale italiana, quale non era ancora uscito dalla fase convulsa post-1989; b) l'intenzione di mettere a confronto continuo ed organico società politica e società civile, politici e intellettuali, partiti e associazionismo, secondo una modalità, da tutti a parole auspicata, di «democrazia partecipativa»; c) l'avvio di un processo di fusione delle forze organizzate della sinistra radicale, allora molto più consistenti di oggi (nel titolo redazionale del mio articolo del 14 luglio 2004, con cui il manifesto dette inizio alla campagna suddetta, vi si accennava in forma interrogativa ma chiara: «Che fare di quel 15%?»). Aderirono in maniera attiva, oltre a molte associazioni politiche e culturali di base (mi piace ricordare con particolare rilievo il fiorentino «Laboratorio per la democrazia»), Rifondazione comunista, i Comunisti italiani, una componente significativa dei Verdi (Paolo Cento e altri). Vi svolsero un ruolo non irrilevante la Fiom e l'Arci. Vi partecipa attivamente Occhetto. Dà un contributo insostituibile Rossanda. Alle riunioni tematiche intervengono o collaborano Rodotà, Tronti, Ferrajoli, Dogliani, Magnaghi, Ginsborg, Serafini, Bolini, Lunghini, Gallino e altri.
Quando nell'aprile 2005 si tratta di fare un passaggio decisivo, - quello che consiste nel «mettere in comune» un certo numero di temi da discutere e di decisioni da prendere («dichiarazione d'intenti»), - nel corso di un'animata riunione presso la Casa delle culture di Roma, Fausto Bertinotti, improvvisamente e calorosamente, se ne chiama fuori. Una gentile signora, sua fedelissima, abbandonando la sala, mi passa accanto e affettuosamente mi sibila: «Bella come esperienza intellettuale ma la politica è un'altra cosa».
Mi rendo conto, naturalmente, che ognuno che abbia preso parte, attivamente e convintamente, ad una qualche esperienza, sia spinto ad attribuirle un'importanza eccessiva. Mi pare però che, obiettivamente, sia legittimo, a partire da questa, anche personale, disfatta, porre almeno due domande: 1) Quale altro serio tentativo di perseguire l'«unità della sinistra» è stato fatto successivamente? (spero che a nessuno venga in mente di tirar fuori l'aborto elettoralistico dell'Arcobaleno, che è esattamente il contrario di quel che io pensavo si dovesse fare); 2) è mai possibile che ci si ripropongano di volta in volta gli stessi problemi e non ci si chieda mai quale esperienza ne abbiamo già fatto, positivamente o negativamente, nel (talvolta immediato) passato? (sicché non si sa mai bene di chi e di cosa si parla).
La scelta bertinottiana, giusta o sbagliata che fosse (a me pare, naturalmente, che fosse drammaticamente sbagliata), consisteva nello scegliere senza esitazioni le «ragioni del Partito», del «suo» Partito, ovviamente, che, in base al sacro principio dell'autoreferenzialità del ceto politico italiano (di qualsiasi colore esso sia), coincidevano con quelle sue personali. I risultati delle elezioni del 2006, cui egli guardava, sembrarono perfino dargli ragione. Ma su di un periodo appena un po' più lungo, sono risultate catastrofiche.
Cercherò di dire ora, a scanso di equivoci, perché lo schema logico-politico della «Camera di consultazione», così nostalgicamente richiamato nelle righe precedenti, non sia più oggi riproponibile. Quello, in realtà, era un semplicissimo schema binario: bisognava costruire una sinistra radicale unitaria da affiancare in maniera tutt'altro che subalterna ad una sinistra moderata altrettanto unitaria, allo scopo di governare decentemente il paese, arginando la possente ondata berlusconiana.
Oggi le cose rispetto ad allora si sono estremamente complicate, da una parte come dall'altra (ha ragione Parlato a farlo rilevare). Lo schema binario non regge più, se non nei termini assolutamente generali della coppia «progresso-reazione» (sulla quale tuttavia tornerò più tardi). Le ragioni mi sembran queste: 1)fra le due componenti più consistenti (si fa per dire) della sinistra radicale le divergenze sono strategiche, e dunque incomponibili; 2)le forze che hanno dato vita alla lista «Sinistra e libertà» promettevano all'origine di rappresentare una seria alternativa riformista al, presunto, riformismo della cosiddetta sinistra moderata; da come stanno andando le cose, rischiano di fungere solo, al centro come, soprattutto, in periferia, da gambetta di sinistra del Pd; 3)il Pd non è, come dichiarava di voler essere, il partito della sinistra moderata, o di un centro-sinistra moderato o di un moderato riformismo: è invece un qualcosa che rischia sempre più di sparire come tale per la sua organica incapacità di darsi una fisionomia e un'identità, quali che siano; contemporaneamente, non è più neanche in grado di egemonizzare la sinistra (?) moderata (crescita del dipietrismo); 4)l'autoreferenzialità del ceto politico della sinistra - tutto - è cresciuto in misura feroce in ragione diretta della lotta che esso conduce per la propria sopravvivenza.
Contestualmente, il caso italiano, da «anomalo» qual era, rischia di diventare, come è accaduto altre volte nella storia, «esemplare» a livello europeo. La deriva di destra del Vecchio Continente, che rappresenta la sua patetica ma dura e inquietante risposta ai rischi e alle incertezze, contemporaneamente, della globalizzazione e della crisi (in controtendenza, e questo ne costituisce un ulteriore motivo di debolezza, con le scelte americane), dovrebbe costituire attualmente il vero tema di riflessione per la costruzione di una «nuova sinistra» in Italia e in Europa. Anzi, più esattamente: cosa s'intende per «programma di sinistra» oggi in Italia e in Europa? Come si organizza e «si rappresenta», al di là di ogni ulteriore qualificazione, una «forza di sinistra» oggi in Italia e in Europa?
La domanda è così radicale (e io desidero consapevolmente che lo sia) da riguardare nella stessa misura, anche se con modalità diverse, forze di sinistra moderate e forze di sinistra radicali: i socialdemocratici tedeschi, i socialisti francesi e spagnoli, i laburisti inglesi, i democratici (?) italiani; e la Link in Germania, i verdi in Francia, i «comunisti» e tutti gli altri in Italia. Insomma, nel suo insieme, il «blocco» politico e sociale di forze cui è affidata in Europa la possibile alternativa (qui torna alla fine, naturalmente molto semplificato per ovvii motivi, lo schema binario, che però, lo ribadisco, in questa parte del mondo è ineludibile).
È chiaro che s'apre in questo modo un orizzonte sconfinato di problematiche e di riflessioni, frutto, oltre che della complessità dei problemi, anche dell'immenso e disastroso ritardo con cui vengono affrontati (ammesso che, ora, lo siano). Io penso seriamente che i milioni di astenuti a sinistra si astengano esattamente perché non hanno una risposta a queste domande. C'è un'alternativa già oggi operante, che sostituisca alla lenta e seria fusione una qualche miracolosa formula alchemica? Fatemela vedere, e cambierò opinione.