Immaginerò di essere un inviato francese in Italia per le elezioni regionali. Il fatto è che durante una sua trasferta in Francia, qualche tempo fa, Berlusconi fece delle spese. Comprò delle piccole sculture in bronzo, dei cosmetici, se non sbaglio, e quattro centrali nucleari.
In Italia sarebbe stato macchinoso, e per di più c’era stato il referendum del 1987, e l’80 per cento di No. Poi perfezionò quel suo acquisto privato firmando a Roma un contratto con Sarkozy. In Italia l’ostilità di principio al nucleare era naturalmente diminuita rispetto ai giorni di Chernobyl, ma le obiezioni di merito erano caso mai rincarate. Una spesa colossale – caricata, chiacchiere a parte, sul denaro pubblico; tempi lunghissimi per una quota molto bassa – chiacchiere a parte, il 4,5% dei consumi finali di energia; militarizzazione dei siti e pacchia di ecomafie; preoccupazioni insuperate sulla sicurezza e soprattutto la certezza di non sapere che cosa fare delle scorie, comprese quelle del nucleare già dismesso.
Una spesa simile sarebbe andata a scapito delle energie rinnovabili. Ma un’obiezione di fatto soverchiava le altre: dove sarebbero state piazzate le centrali? Potete scommettere che neanche l´amministratore delegato dell’Enel – cioè la persona più affezionata al balzo in Borsa garantito dal programma nucleare – accetterebbe una centrale nel proprio giardino, nemmeno sotto tortura. Infatti, in una trasmissione televisiva del dicembre scorso, l’amministratore delegato, che dev’essere un umorista e un tecnico della trasparenza, dichiarò di sapere dove sarebbero state situate le centrali, ma non lo avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura. La tortura da noi non esiste, non ai piani alti, e così il governo tacque a sua volta sul sito delle centrali a venire. In verità, per fare le cose in regola, votò in agosto una legge che rinviava di sei mesi la comunicazione dei siti designati: solo che i sei mesi scadevano alla fine di febbraio, e le elezioni regionali, mannaggia, erano alla fine di marzo. Dunque: acqua in bocca.
Nel frattempo, come succede per i nostri segreti di Pulcinella, l’elenco dei siti era stato reso pubblico da fonti benemerite. Bene: l’inviato francese che deve riferire in patria dello stato dell’affare ha preso nota. Una centrale a Chioggia? «Sì al nucleare, ma niente centrali in Veneto», ha proclamato il candidato Zaia. A Fossano e Trino? «Il nucleare è la soluzione –ha detto il leghista Cota – ma mai in Piemonte». Formigoni ha chiarito di essere per il nucleare, ma non in Lombardia, e «non in questo momento». Magari a Palma di Montechiaro, in Sicilia? «Ci batteremo a costo di barricarci per impedirlo», ha avvisato Lombardo. A Oristano? «In Sardegna non c’è posto per le centrali», ha tagliato corto il governatore Pdl Cappellacci. Latina, Montalto? «Nel Lazio non ce n’è bisogno», ha assicurato la Polverini. Forse a Mola di Bari, Nardò, Manduria? «Sono favorevole al ritorno al nucleare», ha detto il candidato Pdl Palese. Ah, ecco. «Però non in Puglia!» Ah, appunto. L’abruzzese Chiodi è stato laconico: «Sono favorevole, ma non in Abruzzo». Ci mancherebbe altro. Non cito i governatori e i candidati del centrosinistra perché grazie al cielo non uno di loro è favorevole al ritorno al nucleare. Che cosa scriverà dunque l’inviato francese? Il quale peraltro non avrà mancato lo spettacolo del coro dei candidati in piazza San Giovanni, nel quale si giurava fedeltà al patto di governo, che contiene il ritorno al nucleare. Potrebbe pensare allora che governatori e candidati tirano l’acqua al proprio mulino, ma Berlusconi tiene dritta la barra.
Ma ecco che Berlusconi, passando dalla Puglia, ha detto anche lui che il nucleare è bello, ma in Puglia no, e l´avrebbe detto in qualunque regione si fosse trovato a passare, così come è pronto a dire in Israele il contrario di quello che dirà a Ramallah fra mezz’ora, e Dio non voglia che passi da Teheran. In un tale imbarazzo, e volendo magari andare incontro alle aspettative dell’Edf, che ha venduto a Berlusconi le centrali in cambio della fontana di Trevi, l’inviato francese potrà riferire enigmaticamente che l’Italia è pronta per il nucleare, con l’eccezione delle sue regioni. Guardate che ci siamo arrivati davvero, visto che si è proposto di costruire le centrali nucleari italiane in Albania.
Questa incredibile pagliacciata avrebbe meritato di coprire ed esaurire un’intera campagna elettorale. Neanche tanto sul sì o il no al nucleare, quanto sui farseschi sotterfugi di una politica che compra le centrali come fossero popcorn, le tiene chiuse nel sacchetto, e poi si ingegna a farle ingoiare ai cittadini, a partire da lunedì pomeriggio. In tutto l’Occidente sono in costruzione due soli impianti nucleari, uno in Francia e uno in Finlandia, con la tecnologia francese scelta dall’Enel e dal governo italiano. L’impianto finlandese avrebbe dovuto essere consegnato un anno fa, si parla ora del 2012 e i costi sono già aumentati del 60 per cento. I sistemi di questi impianti sono stati messi in mora dalle agenzie per la sicurezza nucleare francese, britannica e finlandese.
Nel 2008 per la prima volta gli investimenti privati negli impianti di energia rinnovabile nel mondo hanno superato quelli per tecnologie a combustibili fossili. Da noi, Verdi, Democratici, Radicali, Sinistra, hanno elaborato programmi importanti, e valorizzato le esperienze di riconversione ecologica dell’economia italiana e di conversione dei consumi e delle aspirazioni. «Con la sua piccola e media impresa, con il patrimonio storico di saperi e di tradizioni artigianali, con la varietà produttiva mai completamente domata dagli imperativi della grande industria, il nostro è un Paese d’elezione della green economy». Ma il governo italiano è l’unico che non si sia proposto di affrontare la crisi puntando sull´economia verde. Ermete Realacci, responsabile per il Pd della green-economy, cita la sentenza di Berlusconi all´inizio della crisi: «Occuparsi di ambiente in un momento di crisi è come fare la messa in piega quando si ha la polmonite». Ognuno parla di quello che sa: economia di parrucchieri.