Una prima analisi sulle sconfitte e sulle vittorie del referendum. Il Fatto Quotidiano, 18 aprile 2016 (p.d)
L’effetto sui posti di lavoro temuto dai sindacati e agitato dal governo non ci sarà: va ricordato che i numeri, nel caso di specie, sono assai ballerini. Assomineraria, per dire, ha stimato gli addetti (indotto incluso) prima in 5mila, poi 13mila; i chimici Cgil dicono 10mila; legambiente 3mila. Per la Fiom Cgil, invece, sulle piattaforme oggi lavorano in 100. Qualunque sia la cifra, non cambierà niente. Le compagnie petrolifere poi, col prolungamento delle concessioni, ci guadagnano il rinvio sine die dello smantellamento di quasi la metà delle piattaforme esistenti classificate “non eroganti” o “non operative”: bonificare quei 35 impianti gli costerebbe almeno 800 milioni, ma bonifica e smantellamento sono fasi a grande intensità di manodopera (tradotto: creano più posti di lavoro per anni).
Rimane in piedi, ovviamente, il rischio ambientale: per Greenpeace - che si basa su dati Ispra raccolti in 34 piattaforme Eni - le cozze cresciute sugli impianti hanno livelli oltre i limiti per almeno una sostanza chimica pericolosa nel 75% dei casi.
Il referendum ha vinto: l’esecutivo ci ripensa
Le Regioni, in ogni caso, hanno costretto il governo a fare marcia indietro su temi fondamentali: ad esempio è stata abolita la previsione che le trivelle hanno caratteristica di “strategicità, indifferibilità e urgenza”, il che esautora i governi locali da qualunque decisione e militarizza gli impianti sul modello del Tav Torino-Lione. Anche il “titolo concessorio unico” è stato abbandonato: previsto dallo “sblocca Italia” regalava in sostanza alle compagnie petrolifere il tratto di mare da perforare senza alcun limite di tempo (ora dura 30 anni, ma è vigente pure il vecchio iter prorogabile a piacere dal ministero fino a 50 anni).
Il tema del “Piano delle aree” invece è una vittoria agrodolce. Serviva a decidere una volta per tutte dove si può trivellare e dove no: il governo voleva decidere da solo, Regioni e territori chiedevano di partecipare. Soluzione: il “Piano delle aree” è stato abolito. Curioso che la norma sulle proroghe salvata dal fallimento del referendum potrebbe essere abolita dall’Ue: viola i principi della concorrenza.