Un gruppo di intellettuali, tra i quali molti nostri preziosi collaboratori, firma un documento politico-culturale, che già nel titolo ne illustra la finalità: «Manifesto per un soggetto politico nuovo, per un'altra politica nelle forme e nelle passioni». Il lungo testo sostiene che non c'è più tempo, né speranza di cambiare questi partiti, spesso causa prima della crisi di democrazia che dovrebbero interpretare e risolvere. Dunque la partecipazione ha bisogno di altre forme, altri uomini, altre donne, altre ragioni e altri sentimenti.
I contenuti che animano questo manifesto politico fanno riferimento al "benecomunismo" elaborato negli ultimi anni a partire dalla battaglia sull'acqua pubblica. La riflessione sui beni comuni, le esperienze di movimento che ne sono seguite, sono lo scheletro, il perno su cui poggia l'opposizione radicale al bagaglio teorico e alla pratica politica delle attuali formazioni della sinistra, descritte come vuote oligarchie che nutrono leadership malate di narcisismo. In questa critica si sfondano porte spalancate. La rottamazione è ormai un risentimento di massa.
Più interessante la parte costruttiva, il percorso, l'habitat, le procedure, le suggestioni di una partecipazione del cittadino alla cosa pubblica. L'idea di superare lo sfogatoio qualunquista del «sono tutti uguali», la necessità di sperimentare una nuova delega, strutture intermedie, comunali, territoriali, che l'esperienza della rete dei «Comuni per il bene comune» stanno scoprendo e valorizzando. Compresa la ricerca di nuove parole per indicare nuove speranze.
Se il progetto si risolverà nell'aggiungere una nuova sigla all'attuale spezzatino della sinistra o invece sarà l'epicentro di una scossa per terremotare l'attuale geografia dei partiti, lo capiremo strada facendo. Nell'uno o nell'altro caso, le culture politiche e le esperienze sociali che oggi precipitano nel documento che pubblichiamo hanno animato le nostre pagine, le nostre campagne. Spesso in sintonia con il punto di vista del giornale, altre volte in contrasto con l'analisi e le soluzioni che suggerivamo nella crisi globale. Ed è facile prevedere qualche scintilla, per l'autorevolezza delle firme e l'eterogeneità delle culture e dei mondi che rappresentano. Se l'iniziativa provocherà una discussione sarà già un buon risultato. Che merita attenzione.
Mettere in campo «un'altra Italia, lavorare per un'altra Europa» è un progetto ambizioso, un vasto programma. Come del resto è sempre avvenuto quando, nel suo processo di scissionismo acuto, la sinistra si è fatta in mille pezzi, sempre più piccoli e sempre meno rilevanti. Da tempo si è capito che rimettere insieme i cocci non è possibile, né utile. Del resto chi firma il testo che pubblichiamo non fa parte di nomenklature partitiche, rappresenta l'anticorpo di un intellettuale collettivo sempre critico, e per questo mal digerito dal ceto politico.
Nei dibattiti che intorno alla sorte del nostro giornale si svolgono nei circoli degli amici del vediamo spesso la litigiosa famiglia della sinistra tornare a parlarsi. E siamo contenti di essere usati come un campo non neutrale, un laboratorio pienamente partecipe nuove connessioni, di un modo gentile di parlarsi. Ci piace esserlo anche nei confronti del tentativo di questo partito-movimento. Con la curiosità e l'autonomia di chi non ha mai rappresentato la voce di un partito.