L’iniziativa del Parlamento per definire una legge quadro nazionale in sostituzione della Legge Urbanistica del 1942 coincide con Il nostro lavoro per rafforzare la riforma del governo del territorio
Nel dibattito politico italiano il territorio, inteso come luogo dove si esplicano e prendono forma le ragioni dell’ecologia e quelle del vivere, le forme del paesaggio e le molteplici espressioni delle strutture urbane, dove trovano posto e consistenza beni culturali e ambientali e la rete delle infrastrutture, quel territorio è assente.
Non c’è mai stato e, probabilmente, non ci sarà se non cominciamo a porci il problema politico di cos’è il territorio oggi e come dobbiamo attrezzarci per governarlo, cioè per fare, per l’appunto, governo del territorio. Come ci chiede la nuova formulazione dell’art. 117 della Carta Costituzionale.
Problema politico reso ancora più evidente dai circa 8.000 assessori comunali con delega sul territorio, dai 123 assessori provinciali e regionali attualmente in carica, e da qualche centinaia di posizioni politiche di rilievo negli enti territoriali sovracomunali di secondo livello.
oblema politico reso ancora evidente dalle migliaia di persone che, quotidianamente, hanno a che fare con gli uffici tecnici comunali per problemi di natura territoriale.
Cos’è il governo del territorio
In Toscana, fin dal 1995, con legge regionale e a Costituzione non modificata, lo abbiamo inteso come l’azione dei pubblici poteri che indirizza le attività pubbliche e private a favore dello sviluppo sostenibile, e che al contempo garantisce la trasparenza dei processi decisionali e la partecipazione dei cittadini alle scelte; considerando il territorio come risorsa e la collaborazione interistituzionale un obbligo per assicurare coerenza a tutti gli atti di governo del territorio.
Nella rivisitazione della legge regionale oggi cerchiamo di rafforzare il concetto affermando che il governo del territorio è inteso come l’insieme delle attività relative all’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti la tutela, la valorizzazione e le trasformazioni delle risorse che lo costituiscono. L’azione del governo del territorio assicura, inoltre, il coordinamento delle politiche e la sinergia delle azioni di tutti i settori capaci di incidere sulle risorse stesse al duplice fine dello sviluppo sostenibile e della massima efficacia delle azioni dei settori. [1]
Ragionare sul territorio, senza ridurlo alla sola componente ambientale, oppure ai soli temi dei beni culturali, del paesaggio, o peggio ancora identificarlo solo con l’urbanistica intesa come disciplina dell’edificare, cioè con i soli regolamenti di uso del suolo, contribuirà a migliorare notevolmente il significato del termine e soprattutto a posizionare possibili politiche di governo a tutti i livelli istituzionali.
Una delle cause non secondarie della dissipazione del patrimonio culturale e della devastazione dell’ambiente e dell’alterazione del paesaggio sta proprio nella cattiva gestione del territorio, della frammentazione del suo governo, cioè della separatezza nella quale è ridotto il suo controllo.
Il territorio è oggi l’elemento chiave per governare i tempi contraddittori dell’economia contemporanea, ma anche quello più sensibile, perché le istituzioni e le amministrazioni del territorio sono oggi, rispetto al passato, più sole in confronto alla forza del capitale finanziario.
Le nuove dimensioni globali del mercato innescano competizioni sempre più estese e sganciate da regolazioni nazionali o regionali forti, per forza di cosa fanno emergere i territori locali e le forme locali di sviluppo e di organizzazione che, per funzionare o meglio per competere nella grigia omologazione del mercato globale, hanno bisogno di valorizzare le proprie specificità socio-economiche, ma soprattutto territoriali.
Qui entra in gioco prepotentemente il governo del territorio e le strategie politiche che su di esso e con esso è possibile attivare. È chiaro che non si può affidare il governo di questa strategia alla sola strumentazione urbanistica, ma appunto al governo del territorio.
Governare non per dirigere quanto per rendere coesa e coerente l’intenzionalità dei programmi politici con le politiche del territorio e con quelle della programmazione e questa con i programmi di sviluppo e i soggetti locali. Un’azione collaborativa e interistituzionale che coinvolge, stabilmente, le Regioni, le Province e i Comuni e che si apra alla democrazia partecipativa e sostantiva dal basso dei cittadini, rimettendo al centro del governo ordinario delle città e dei territori il metodo della pianificazione e della programmazione, come attività connotanti il ruolo stesso delle pubbliche amministrazioni.
Con una sottolineatura, che forse a molti non è ancora del tutto nitida: da un lato non possiamo più confondere il ruolo della programmazione e quello della pianificazione (intesa come strumento del governo del territorio oltre la dimensione dell’urbanistica), dall’altro non possiamo più considerarela pianificazione come il braccio esecutivo della programmazione come purtroppo è accaduto nell’esperienza italiana di questo secondo dopoguerra né viceversa, come avrebbe voluto qualche teorico di un’urbanistica onnipotente.
L’idea politica, in breve, è quella di mantenere vivo un legame fecondo tra politiche del territorio e politiche di sviluppo, in un tessuto che è tradizionalmente alla base del riformismo e di molta parte del regionalismo italiano più recente.
Pensiamo ad un modello di governo del territorio che coniughi sostenibilità ed efficienza, nel quale al piano è affidata la prospettiva temporale lunga, sia verso il passato che verso il futuro, con la quale definire le certezze, gli elementi saldi e le connessioni profonde che condizionano inevitabilmente qualsiasi comportamento umano sul territorio, ed al programma il compiti di sviluppare in una prospettiva temporale breve e flessibile le potenzialità che il territorio stesso esprime.
In questo senso intendiamo accentuare la distinzione che la legge regionale n. 5 ha fatto tra i contenuti strutturali e gli aspetti gestionali ed operativi degli strumenti per il governo del territorio.
Riteniamo che la legislazione nazionale debba solo affermare il principio sostantivo della materia governo del territorio e nulla più:
1) ricostruire il quadro completo dei principi del governo del territorio in raccordo esplicito con le altre materie trasversali che in base al dettato costituzionale attengono alla competenza statale esclusiva, quali l’ordinamento civile e penale, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, o concorrente, quali la tutela della salute, i porti e aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, la finanza pubblica ed il sistema tributario, la valorizzazione dei beni culturali.
Occorre tuttavia tener presente che il concetto di competenza esclusiva dovrebbe avere un confine dinamico: una cosa è la competenza legislativa, che la costituzione affida inequivocabilmente allo Stato , una cosa è la competenza amministrativa che la legge ordinaria affida secondo il principio vincolante della sussidiarietà, dell’adeguatezza e della differenziazione [2].
La contrapposizione tra territorio e ambiente dovrebbe, quindi, essere stemperata, anche se attualmente, nella legislazione, esistono diverse contrapposizioni duali. Il termine Territorio, normalmente, ha un significato prevalentemente spaziale e come tale è il punto di riferimento delle logiche e delle pratiche della pianificazione fisica.
Il termine “ambiente” nei due significati: biologico (che fa riferimento alle condizioni di vita fisiche) e storico-culturale (che si riferisce alle attività umane) è il punto di riferimento dell’ecologia . Va abbandonato il sistema della pluralità di discipline, regole e piani che caratterizza l’attuale sistema normativo. Il territorio con le sue funzioni e potenzialità è infatti un valore unitario e come tale va pensato, disciplinato e gestito.
2) stabilire i riferimenti etici del governo del territorio, in rapporto con gli orientamenti europei e con l’evoluzione delle consapevolezze culturali che dal concetto di urbanistica affermato dalla legge 1150 attraverso il DPR 616, fino alle leggi regionali non solo recenti hanno portato a quello di governo del territorio nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.
Tra i vari temi degni di interesse sul piano normativo, ma anche culturale e amministrativo, vanno indicati alla riflessione del legislatore nazionale:
a) il processo di riforma relativo alla strumentazione urbanistica e territoriale che è andato di pari passo con l’attenzione per i temi ambientali all’interno della pianificazione degli usi del suolo
b) il progressivo spostamento di interesse dall’espansione edilizia ai temi del recupero e della riqualificazione urbana;
c) il territorio: da riferimento fisico indipendente a luogo di autopromozione
d) La partecipazione dal basso come elemento portante dell’aiuto alle decisioni pubbliche.
3) In conseguenza, stabilire in modo chiaro il ruolo ordinatore della pubblica amministrazione a tutela degli interessi della collettività ed a promozione e sostegno dello sviluppo, appunto, durevole, chiarendo quindi le ambiguità del rapporto pubblico–privato. Il che significa estendere la pianificazione e della programmazione a metodo ordinario nella gestione della pubblica amministrazione e nell’organizzazione dell’iniziativa privata.
Le modalità di funzionamento della pubblica amministrazione e il suo intervento e le forme organizzative e l’iniziativa privata non sono due fini in sé contrapposti; ma due modi a disposizione della società di conseguire, caso per caso, circostanza per circostanza, gli obiettivi e i risultati che si sono espressi e programmati.
Questo significa lavorare in cooperazione, ma con distinzione di ruoli racchiudibili nello slogan “ piani pubblici, progetti pubblico-privati o privati”, ma significa anche reinventare totalmente il governo e le sue modalità introducendo nei comportamenti, nella organizzazione e nelle scelte tecniche la pianificazione e la valutazione strategica, dando attuazione innovativa alla Direttiva 2001/42/CEE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.
Il principio nodale che deve essere esplicitamente richiamato è che la pianificazione e la programmazione costituiscono il metodo ordinario per l’organizzazione della pubblica e per le modalità del governo del territorio.
Si deve richiamare a questo proposito l’esperienza Toscana, dove, sin dagli anni ’70, lo strumento principale del governo del territorio, il Piano, da strumento regolatore, di vincolo passivo – che talora era considerato ostacolo alle esigenze dell’economia – ha sempre teso a diventare progetto, rappresentazione di un possibile sviluppo sostenibile, capace di sollecitare in modo ordinato le azioni dei soggetti pubblici e privati, capace di proporre.
Prendendo atto della necessità di superare la inaccettabile rigidezza che caratterizza la precedente generazione dei Piani regolatori, tanto da renderli estranei alle dinamiche economiche e incapaci di concorrere alla definizione ed all’attuazione di politiche di sviluppo sostenibile, si è scelta la via di recuperare il metodo della programmazione – pianificazione territoriale come attività permanente della pubblica amministrazione, con decisi correttivi per riallineare i tempi ed i contenuti della pianificazione alle reali esigenza delle politiche di sviluppo.
La conclusione logica è evidente: l’affermazione di principi fondamentali verso la collettività quali il diritto di tutti a partecipare alle scelte ed il non delegabile dovere della pubblica amministrazione di governare le trasformazioni territoriali nel rispetto delle risorse territoriali.
A questo riformismo si contrappone un liberismo anarcoide che sostanzia purtroppo alcune convergenze a livello parlamentare che tendono a sostituire i piani con labili documenti, che mostrano di ignorare il principio della sostenibilità e che tendono invece a tutelare la posizione dei poteri forti privati in una contrattazione in assenza di qualsiasi regola salda e condivisa a tutela dei diritti collettivi e del patrimonio comune.
Siamo consapevoli che la riforma che si sta realizzando in base alla legge regionale n. 5 del 1995 ha sortito esiti positivi:
- tempi procedurali enormemente ridotti rispetto al vecchi regime [3];
- c’è stata un’adesione massiccia dei Comuni e delle Province al processo di rinnovamento del sistema della pianificazione [4];
- si è accresciuta la consapevolezza dei valori del territorio e si sta acquisendo il senso della necessità del principio della sostenibilità;
- si è avviato un dialogo tra i settori e tra le istituzioni;
- nonostante l’affermazione del principio della sussidiarietà (in anticipo rispetto alla riforma del titolo V della Costituzione) i conflitti tra livelli istituzionali sono stati quasi sempre risolti senza ricorsi in sede giurisdizionale, assumendo dimensioni patologiche in pochissimi casi che hanno richiesto tale rimedio.
Siamo anche consapevoli dei limiti dell’esperienza di questi anni:
- sono ancora scarse le sinergie nell’attività di definizione delle scelte di governo del territorio, dato il permanere di molti procedimenti paralleli (le pianificazioni separate) i cui tempi ed effetti non risultano coordinati;
- I costi della pianificazione per il governo del territorio sono gravosi per i soggetti più deboli;
- non è ancora soddisfacente il controllo che la legge opera sulle scelte di singoli soggetti pianificatori che producono effetti su altri soggetti istituzionali;
- spesso è risultato incompleto il controllo sugli strumenti della gestione da parte degli strumenti strategici e tendenza a riproporre i vecchi modelli della pianificazione urbanistica rendendo incoerente il rapporto tra quadri conoscitivi di buon valore e scelte pianificatorie talvolta non giustificate.
La nuova legge, come già anticipato dal PRS 2003-2005, intende riaffermare ed evolvere i principi affermati dalla 5/95 ed in particolare:
1. renderli del tutto coerenti con i nuovi principi costituzionali, comunque già in buona misura presenti nella legge attuale;
2. rafforzare le sinergie tra i soggetti e tra i settori, attraverso un procedimento unificato [5] che aumenti l’efficienza dei percorsi decisionali ed il riallineamento delle norme di riferimento in un Codice regionale per il governo del territorio;
3. di conseguenza, assumere i contenuti delle nuove disposizioni comunitarie [6] in ordine alla valutazione integrata degli atti strategici [7].
4. migliorare l’efficacia nel perseguimento degli obiettivi della riforma.
Quali in questa prospettiva gli obiettivi fondamentali del lavoro sulla nuova legge:
1. Pensare e realizzare gli strumenti per attuare davvero la sussidiarietà.
2. Disciplinare un procedimento unificato per la formazione degli atti di pianificazione.
3. Costruire riferimenti unificati per coniugare sviluppo e tutela, per garantire lo " sviluppo sostenibile"
4. Apportare i correttivi - chiarimenti che risultano opportuni in base all’esperienza di questi anni di gestione della 5/95
5. Fornire stabilità al quadro normativo nel lungo periodo.
Uno dei motivi principali che spingono a rivedere le norme per il governo del territori è rappresentato dalla riforma del titolo V della Costituzione.
I punti consolidati, alcuni già presenti nella legge attuale e gli altri costruiti assieme al sistema delle autonomie, sono di grande rilievo politico istituzionale: andiamo verso un’attuazione piena della riforma costituzionale
Si afferma la pari dignità dei soggetti istituzionali all'interno del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Principio di pari dignità
· Nella proposta ogni soggetto assume le sue decisioni senza sottostare ai condizionamenti di altri soggetti
· Ogni soggetto ha a disposizione gli strumenti per tutelare le proprie competenze dalle ingerenze altrui
Principio di sussidiarietà
· Il cittadino ha rapporti con l’ente che assicura l’adeguatezza e che gli è più vicino: per la gran parte della disciplina delle trasformazioni del territorio questo ente è il Comune, storicamente titolare della competenza in urbanistica.
L’attribuzione delle funzioni amministrative è riservata alla fonte legislativa competente ai sensi dell'articolo 117 (stato, per le sole funzioni di esclusiva competenza statale, o regione), secondo i criteri:
· di adeguatezza
· di differenziazione
Criterio di adeguatezza:
· Solo la legge può definire qual è il livello adeguato per svolgere una determinata funzione: l’articolato propone i ruoli di Regione (strategie territoriali e regolamentazione generale), Provincia (definizione dei limiti di utilizzabilità delle risorse) e Comune (disciplina dell’uso del territorio, urbanistica)
Criterio di differenziazione
·Nessun soggetto fa le stesse cose degli altri per consentire la non sovrapposizione e, dunque, la non gerarchia
PENSARE E REALIZZARE GLI STRUMENTI PER ATTUARE DAVVERO LA SUSSIDIARIETÀ E LA DIFFERENZIAZIONE
Cosa serve dunque ai Comuni in questa prospettiva che impone di partire dal soggetto più vicino al cittadino? Servono riferimenti certi entro cui gestire una completa autonomia. Gli stessi Comuni chiedono un controllo degli effetti sovracomunali delle scelte (C’è una grande domanda di AREA VASTA).
Questi riferimenti sono:
· gli indirizzi di programmazione del territorio.
· condizioni di ammissibilità certe ed esplicite per sviluppare ognuno il proprio autonomo potere di governo del territorio.
Ciò deve corrispondere alle competenze che si vanno a proporre per ogni livello di pianificazione:
La Regione
La Regione deve essere il soggetto che definisce le strategie generali: il Piano di indirizzo territoriale in raccordo con il piano regionale di sviluppo (sono quindi da precisare le relazioni tra i due strumenti secondo la logica affermata con l’ultimo PRS)
Si stabilisce comunque un forte rapporto fra programmazione generale dello sviluppo e pianificazione territoriale. Il Piano regionale di sviluppo ed il Piano di indirizzo territoriale operano in forte sinergia.
Il PIT è nello stesso tempo lo strumento territoriale del PRS e momento di proposta per le politiche di sviluppo.
La Regione deve definire le regole invarianti in riferimento ai livelli prestazionali irrinunciabili (la Regione esercita il potere regolamentare generale)
La Provincia
Alla Provincia è affidato il compito di definire le condizioni di sostenibilità ("tutti livelli di piano inquadrano prioritariamente invarianti strutturali da sottoporre a tutela, al fine di garantire lo sviluppo sostenibile". Articolo 5 della legge vigente – dove per invarianti s’intende i livelli prestazionali non negoziabili delle risorse del territorio per garantirne la riproducibilità nella qualità)
Al livello intermedio si definiscono i contenuti programmatici dello sviluppo sostenibile (obiettivi, azioni, progetti di sviluppo locale come cerniera tra top - down e bottom - up): al PTC è affidato il compito di raccordare con propri indirizzi le strategie regionali al governo del territorio comunale.
- Secondo il criterio della differenziazione il piano territoriale di coordinamento della Provincia (come afferma già la legge 5) deve differenziarsi dal piano strutturale comunale.
- Secondo il principio della sussidiarietà il piano territoriale di coordinamento della Provincia deve dire quelle cose che sono necessarie alla pianificazione comunale e che il comune non può governare in modo adeguato in quanto eccedono i suoi confini.
Il Comune
Al Comune è attribuita la competenza in ordine alla disciplina dell’utilizzazione e della trasformazione delle risorse del territorio nell’ambito comunale
in tal senso il Comune:
- riconosce le identità dei luoghi e tutela le risorse essenziali del territorio;
- definisce gli indirizzi per il governo del territorio comunale espressi dalla comunità locale, nel rispetto di quelli espressi dalla Regione e dalla Provincia, dei quali promuove ove occorra i necessari adeguamenti;
- stabilisce gli obiettivi delle proprie politiche di settore e ne definisce l’attuazione programmata.
I RAPPORTI TRA LE COMPETENZE DELLE ISTITUZIONI ED I RIMEDI PER LE EVENTUALI PATOLOGIE IN ORDINE ALLA LORO TUTELA
C’è chi ritiene che anche nell’attuale disciplina contenuta nella legge n. 5 l’autonomia comunale si eserciti in modo eccessivo e dunque vorrebbe tornare indietro e trasformare il processo di consolidamento della riforma in controriforma, chi ha nostalgia dell’autorità della Regione che approva e stralcia gli atti di pianificazione altrui, magari attraverso la CRTA
La legittimità costituzionale, la storia e la realtà presente dei rapporti tra le istituzioni toscane, l’affermazione stessa del ruolo del governo regionale vietano questo ritorno al passato: la logica delle gerarchie comprenderebbe anche una supremazia statale nei confronti di tutti gli altri soggetti.
Questa proposta si colloca invece sulla linea delle intese e della leale collaborazione definita dalla sentenza 303 del 2003 della Corte costituzionale.
Per evitare le patologie nei rapporti interistituzionali si propone un sistema di warning precoce (durante il procedimento unificato chi intende tutelare le proprie competenze viene interessato ordinariamente all’avvio del procedimento e prima dell’adozione dell’atto, e comunque ha facoltà di presentare osservazioni).
Se infine con ciò non si perviene ad una composizione delle divergenze, non essendo data ad alcun soggetto la potestà di intervenire autoritativamente, si deve ricorrere ad un soggetto terzo (che oggi è rappresentato dal giudice amministrativo) che sia rappresentativo di tutti i livelli istituzionali.
Nella proposta di legge si è prevista una commissione paritetica Regione, ANCI, URPT, alla quale, nel caso che lo warning preventivo non abbia funzionato, si potrà rivolgere il soggetto che riterrà violate dall’amministrazione procedente le proprie competenze, le prescrizioni del proprio strumento di pianificazione o la stessa legge.
Il ricorso produrrà l’automatica sospensione dell’atto fino alle determinazioni del comitato. Sono peraltro previste misure di salvaguardia e poteri sostitutivi a tutela delle competenze di ciascun soggetto istituzionale e infine si potrà comunque ipotizzare un eventuale ricorso al giudice amministrativo.
UN MODELLO EFFICIENTE E SOSTENIBILE: DISCIPLINARE UN PROCEDIMENTO UNIFICATO PER LA FORMAZIONE DEGLI ATTI DI PIANIFICAZIONE.
I principi del governo del territorio sono affermati anche per le azioni di settore attraverso la definizione di obiettivi valutati in relazione ad ambiti di sviluppo e ricercando sinergie intersettoriali. Punto fondamentale è la definizione di un procedimento unificato e di valutazioni integrate.
Spariscono dalla legge i procedimenti ora previsti per la formazione e l’approvazione dei diversi strumenti, sostituiti dalla definizione di uno schema di procedimento unificato a valere verso tutti gli atti incidenti sul territorio
Si prevede di ricondurre ai principi propri del “governo del territorio” una serie di procedimenti di settore, di origine regionale o statale, il cui esito operativo induce effetti e trasformazioni significativi sul territorio e sulle sue risorse e che, ad oggi, rispondono a criteri in varia misura separati, estranei, e talvolta conflittuali, rispetto ai procedimenti ed agli obiettivi della sostenibilità affermati dalla L.R.5/95.
Fra questi assumono evidente importanza i temi dei programmi complessi, degli sportelli unici, le tante procedure messe in campo dal settore ambientale, nazionale ed europeo, che generano ulteriori complessità e separatezze, rendendo sempre più complessi i rapporti fra le norme generali di governo del territorio e quelle di settore.
La nuova legge prevede un unico schema di procedimento per la formazione e l'approvazione di tutti gli atti aventi effetto sul territorio.
Si definiscono i capisaldi del procedimento (avvio, progressiva definizione del progetto, verifiche, formalizzazione, evidenza pubblica ecc.) definendo per ciascun caposaldo le funzioni da svolgere e le prestazioni qualitative da garantire . Il titolare del procedimento è l’unico responsabile della perfetta legittimità di esso, non essendoci alcun soggetto sovraordinato che approva. Tale assunto, già presente nella legge vigente, viene rafforzato eliminando tutte le residue ambiguità.
Particolare rilievo è dato all'avvio del procedimento che è il momento in cui il titolare del procedimento provoca l’incontro e la sinergia di tutti i soggetti dai quali si attende un sostanziale apporto in termini di qualità, di definizione del quadro delle conoscenze, delle regole e degli obiettivi, e di quelli che per competenza espressa sono tenuti ad esprimersi sul prodotto finale. Lo scopo evidente è quello di trasferire il massimo di conoscenze alla successiva fase di progettazione, dotandola così di quanto necessario per conseguire i dovuti livelli di qualità e rendendola consapevole da subito delle regole secondo le quali sarà valutata.
I soggetti interessati all'avvio non saranno, quindi, solo i livelli istituzionali, ma tutti quei soggetti, pubblici e privati che, per loro funzione e ruolo specifico, il titolare del procedimento ritenga essere effettivi portatori di conoscenza, ovvero gestori di regole formalmente espresse ed incidenti sul procedimento, oppure titolari di un potere decisionale concorrente loro assegnato dalla legge.
Nel corso dell'iter progettuale il titolare del procedimento può porre in essere momenti formali di verifica, da stabilire all'atto di avvio, per garantire progressivamente la correttezza dello sviluppo progettuale e per portare tempestivamente gli eventuali correttivi, evitando al massimo che essi intervengano nella fase terminale del procedimento.
Elaborato il progetto, la legittimità di questo e la compatibilità e coerenza con gli strumenti di riferimento viene certificata formalmente dalle strutture tecniche responsabili del procedimento (autocertificazione).
Tutto avviene prima che l’organo politico istituzionale del titolare del procedimento assuma le proprie determinazioni in modo autonomo e consapevole
Sono esclusi dall’obbligo di seguire tutti i passaggi del procedimento unificato (salvo che per l’autocertificazione) gli atti meramente gestionali che sviluppino i propri effetti nell’ambito esclusivo delle competenze di un unico soggetto (ad es. il Regolamento Urbanistico ed i piani attuativi del Comune per i quali sussiste solo l’obbligo della trasmissione alla Regione – per il R.U. - e alla Provincia)
Alla luce della riforma del titolo V della Costituzione e dei recenti orientamenti della relativa giurisprudenza, non sembra da escludere che la norma regionale possa incidere sui comportamenti degli organi statali nell’esercizio delle loro competenze amministrative in materia di governo del territorio. Sembra possibile che la legge individui nei suoi procedimenti forme e momenti di concertazione operativa per attivare processi di collaborazione secondo il principio della leale collaborazione.
La legge afferma inoltre la necessità di procedere a valutazioni integrate degli effetti ambientali/territoriali, economici, sanitari e sociali indotti dalle trasformazioni del territorio risorsa. La nuova legge prevede che tali valutazioni siano effettuate nella fase di predisposizione dei piani o programmi, comunque prima della loro adozione, così da permettere alle amministrazioni competenti di operare scelte coerenti (valutate) con i principi dello sviluppo sostenibile
La nuova legge stabilisce infatti che “ogni soggetto che intende adottare uno strumento della pianificazione territoriale o un atto del governo del territorio effettua la valutazione integrata degli effetti territoriali, ambientali, sociali, economici e sulla salute umana, anche in più momenti , a partire dalla prima fase utile delle elaborazioni, prima che vengano assunte determinazioni impegnative, anche per consentire la scelta motivata tra possibili alternative e per individuare aspetti che richiedano ulteriori integrazioni o approfondimenti.” Le valutazioni compiute in una fase di elaborazione non sono ripetute con lo stesso livello di approfondimento e con le stesse modalità nelle fasi successive.
La nuova legge conferma che le disposizioni di carattere territoriale degli atti delle politiche di settore sono preventivamente sottoposte ad una verifica tecnica di compatibilità relativamente all’uso delle risorse essenziali del territorio. Dell’esito delle verifiche è dato espressamente atto nel provvedimento di approvazione dell’atto di programmazione settoriale. Gli strumenti della pianificazione territoriale determinano quali atti del governo del territorio debbano essere sottoposti alle valutazioni
COSTRUIRE RIFERIMENTI UNIFICATI PER CONIUGARE SVILUPPO E TUTELA, PER GARANTIRE LO " SVILUPPO SOSTENIBILE": UN TESTO UNICO DELLE NORME PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO
L’ obiettivo è stato in primo luogo quello di sincronizzare e portare a coerenza le diverse norme, in primo luogo quelle regionali, in tutte quelle materie che direttamente e tradizionalmente attengono all'urbanistica ed al territorio e che, ancora oggi, risultano "esterne" alla 5/95, anche se in parte ne hanno assunto i principi.
L'elenco è consistente e riguarda aspetti che vanno dal recupero del patrimonio edilizio esistente agli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia nelle zone a prevalente funzione agricola, dalla normativa edilizia alla disciplina paesaggistica, dall'edilizia residenziale o produttiva di iniziativa pubblica al commercio, dalla mobilità alla gestione dei tempi, ai porti e approdi turistici.
Si tratta di argomenti di rilievo che, si ricorda, attengono, fra l’altro, ad alcune Leggi Regionali importanti quali:
· LR 59/80 "Norme per gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente";
· LR 21/84 "Norme per la formazione e l'adeguamento degli strumenti urbanistici ai fini della prevenzione del rischio sismico";
· LR 39/94 "Norme in materia di variazioni essenziali e di destinazione d'uso degli immobili"
· LR 64/95 e successive modificazioni "Disciplina degli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia nelle zone a prevalente funzione agricola";
· LR 68/97 "Norme sui porti e gli approdi turistici della Toscana";
· LR 52/99 “Norme sulle concessioni e le denunzie di attività edilizie”;
· LR 38/98 Governo del tempo e dello spazio urbano e pianificazione degli orari della città
· L.R. 78/98 Testo Unico in materia di cave, torbiere, miniere, recupero di aree escavate e riutilizzo di residui recuperabili.
· la normativa urbanistica relativa alle aree per l'edilizia residenziale o produttiva di iniziativa pubblica e privata (lottizzazioni, piani particolareggiati, aree "167", aree P.I.P. ecc.);
· la normativa urbanistica relativa ai parchi regionali.
· la normativa urbanistica relativa al commercio
In questa operazione si è affrontato il tema importante della disciplina paesaggistica. Per quanto ci riguarda intendiamo riaffermare la convinzione che da sempre ci ha caratterizzato, secondo la quale la presenza di un piano dotato di specifiche norme sulla qualità paesaggistica e architettonica degli interventi da trasporre nella disciplina urbanistica locale, possa e debba costituire condizione per una modalità di gestione della tutela del paesaggio diversa da quella attuale. Il riconoscimento della sussistenza nel piano di tali norme si porrebbe infatti come condizione di garanzia della correttezza e della qualità degli interventi più efficace ed efficiente dell’attuale procedimento autorizzativo. La compatibilità di questi ultimi con il piano, quindi, potrebbe essere adeguatamente verificata in ambito comunale, risultando non più necessario il puro vincolo passivo e la modalità autorizzativa della tutela.
APPORTARE I CORRETTIVI CHE RISULTANO OPPORTUNI IN BASE ALL’ESPERIENZA DI QUESTI ANNI DI GESTIONE DELLA 5/95
Occorre precisare la definizione dei contenuti degli strumenti del governo del territorio (PIT regionale, PTC provinciali, PS comunali) secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, prevedendo per ognuno una parte “statutaria” strutturale ed una parte strategica più direttamente operativa;
E’ necessario rafforzare il controllo del Piano strutturale sulla gestione delle trasformazioni (regolamento urbanistico e piano complesso)
La nuova legge dovrà infine garantire la continuità, e la permanente adeguatezza e la certificabilità dei dati conoscitivi su cui si fonda e si valuta l’azione di governo del territorio, evitando vuoti di conoscenza, ridondanze, duplicazioni e costi economici fortemente crescenti a carico delle istituzioni e dei privati.
[1]Come emerge chiaramente, in Toscana, ci siamo orientati nel considerare la nozione “governo del territorio”, seguendo l’evoluzione delle elaborazioni disciplinari, amministrative e politiche di cinquant’anni intorno alla materia “urbanistica”,, dal concetto ridotto della legge del 1942, alla pan-urbanistica degli anni settanta, così estesa con il DPR 616 del 1977 da diventare un’altra cosa, così come, fin dalla nascita delle Regioni ordinarie, il regionalismo riformista auspicava e indicava.
In Toscana abbiamo dunque applicato il principio della continuità e al contempo il principio della continenza (nel più sta il meno), per cui nella nozione “governo del territorio” da una parte la consideriamo come la sintesi politica ed amministrativa più alta sul territorio, cioè quel complesso di istituti ed azioni che presiedono alla definizione, regolamentazione, controllo e gestione della principale risorsa in mano pubblica: il territorio, le sue regole, i suoi principi; dall’altra come inclusiva di tutti quegli aspetti tecnico-organizzativi che permettono di trasferire la sintesi nell’agire: l’urbanistica e l’edilizia in primis. Cioè il cuore normativo del governo del territorio è rappresentato anche dalla regolamentazione urbanistica e da quella edilizia, ma anche dalle regolamentazioni del paesaggio, dell’ambiente, ecc.
[2] Ad esempio, l’art. 9 della costituzione recita infatti che “la Repubblica…. tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico”; sottolineo la Repubblica, che come recita il successivo art. 114 “è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo stato”. E questo, operativamente, vuole pur dire qualcosa).
[3] Alla data del maggio 2003, dei 79 Piani strutturali giunti all’approvazione il più rapido è stato il caso di Bientina (PI) con soli 352 giorni effettivi; il più lento è stato quello di Terricciola (PI) con 2.419 giorni. La media tra tutti i piani strutturali approvati è di 1.245 giorni.
Alla stessa data, dei 39 Piani regolatori completi (Ps + Ru) il più veloce è stato quello di Bagno a Ripoli (FI), che ha chiuso l’intera procedura in 688 giorni effettivi; il più lungo quello di Scarlino (GR), che ha impiegato 2.450 giorni. La media è risultata pari a 1.506 giorni.
I dati si riferiscono al periodo che va dall’avvio delle elaborazioni all’entrata in vigore delle disposizioni. Entro cinque anni, l’arco del mandato amministrativo, nel 77% dei casi il piano giunge alla sua completa formalizzazione.
Prima della riforma i tempi di ratifica istituzionale non considera il periodo di elaborazione del progetto che nella maggior parte dei casi va attorno ai due anni: il 93% degli strumenti urbanistici necessita di altri tre anni per la sola fase di ratifica istituzionale, dall’adozione del piano all’esame regionale alla definitiva approvazione; addirittura il 37% supera la soglia dei cinque anni. Ciò significa che, sovente, una diversa Giunta comunale si trova a dover sostenere davanti agli organi tecnici regionali uno strumento urbanistico generale che non ha contribuito a definire.Infinitamente più breve è oggi il periodo di formazione delle varianti, che nei casi più semplici non supera i sei mesi dall’inizio delle elaborazioni all’efficacia.
[5] Vedi scheda n. 1 allegata
[6] Vedi scheda n. 2 allegata
[7] Vedi scheda n. 3 allegata