Il 4 marzo scorso il Consiglio dei Ministri ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale tre (marginali) disposizioni contenute nella recente legge regionale n. 1 del 2005 sul governo del territorio. Non è stata impugnata la legge che è pienamente valida ed attiva, nonostante i suoi numerosi contenuti innovativi e nonostante l’assenza di una legge nazionale cornice in linea con i cambiamenti introdotti nel 2001 al Titolo V della Costituzione italiana. Forse non tutti sanno che la legge cornice è ancora la gloriosa legge nazionale 1150 del 1942.
I punti impugnati sono tre: due legati alle norme sul paesaggio e uno legato all’inizio dei lavori edilizi in zone classificate come sismiche. Riassumiamoli brevemente. I punti del paesaggio si riferiscono alle norme che regolano la modifica del regime degli immobili e delle aree di notevole interesse paesaggistico, che nella legge regionale toscana, vengono affidate alle procedure di approvazione degli strumenti della pianificazione territoriale, senza il preventivo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali, come indicato nel cosiddetto “Codice Urbani” entrato in vigore nel 2004. Il secondo punto impugnato è legato alle aree dove non richiedere l’autorizzazione paesaggistica, che nella versione della legge regionale è affidata ai Comuni che la esercitano attraverso il Piano strutturale comunale, mentre il “Codice Urbani” prevede che sia il Piano paesaggistico – di cui deve dotarsi la Regione – ad avere questa funzione. Il terzo punto impugnato, infine, si riferisce alla possibilità prevista dalla legge regionale di consentire l’inizio dei lavori in zone classificate sismiche, anche in mancanza di preventiva autorizzazione da parte della struttura regionale competente, contrastando in tal modo il Testo unico sull’edilizia del 2001, le cui norme sono considerate dal Governo materia di esclusiva competenza nazionale.
In fin dei conti, nei tre rilievi fatti dal Governo, sono stati violati: il principio di intesa tra Regione e Stato, per il primo punto; il principio gerarchico tra i livelli di piani, per quanto riguarda il secondo; ed infine il principio della competenza esclusiva della legislazione statale per il terzo.
Sarà la Corte Costituzionale ormai a dirimere questi nodi in nome di quella leale collaborazione oramai necessaria. Tuttavia non si può non richiamare il senso di una politica regionale che tradizionalmente ha fatto della tutela del paesaggio, della sua attiva conservazione e integrazione nelle scelte territoriali e urbanistiche e dei presidi regolativi comunali sugli usi dei suoli, la bandiera di una buona e sana amministrazione della cosa pubblica. Sì perché non bisogna dimenticare che i paesaggi della Toscana, la qualità media del vivere nei suoi territorio territori, le politiche di recupero dei centri antichi e il controllo delle espansioni edilizie, hanno fatto della regione un punto di riferimento mondiale.
Questo è stato possibile per una scelta della Regione, ormai trentennale: il rifiuto di predisporre un piano paesaggistico separato dai piani urbanistici e territoriali, proprio per non considerare il paesaggio (che è un prodotto della storia e delle relazioni che gli uomini hanno con il territorio) come qualcosa di separato e settoriale rispetto all’urbanistica. Non consideralo tale, ha significato affidarlo all’autonoma responsabilità degli enti preposti al governo pubblico del territorio, ma soprattutto ha fatto in modo che l’urbanistica avesse come fine anche quello della tutela e valorizzazione del paesaggio. Se i paesaggi della Toscana sono riconoscibili, e conservano ancora le identità delle comunità locali insediate, lo si deve proprio a questo. Se il territorio in Toscana produce valore aggiunto è proprio per questa decennale attenzione delle popolazione locali e dei loro governi. Non a caso la Convenzione Europea sul Paesaggio è stata firmata proprio a Firenze nel 2000. Nella Convenzione, infatti, si sostiene che il paesaggio è una risorsa, che si estende a tutto il territorio, dagli spazi naturali a quelli rurali fino a giungere a quelli semi-urbani e urbani, in uno spirito di integrazione con tutte le politiche e i piani territoriali e urbanistici.
Meraviglia che il Governo non abbia colto questa caratterizzazione regionale, sottolineando la necessità che solo una intesa Stato-Regione, che metta sotto tutela le autonomie locali, sia garanzia di tutela e conservazione; o abbia fuorviato che le competenze affidate agli enti locali nell’indicare le aree paesaggistiche soggette ad autorizzazione non siano di natura autoritativa, eppure la legge regionale parla di parere regionale vincolante; ed infine che l’impugnatura determini un ritorno indietro di 23 anni nel riproporre una autorizzazione di inizio attività edilizia nelle zone classificate sismiche, che in Toscana – con la legge regionale 88/82 – sono affidate alla certificazione di un professionista, salvo il controllo regionale a valle.
E meraviglia che il Governo si sia soffermato su questi marginali punti della legge, dopo aver perdonato, con il semplice pagamento di qualche centinaia di euro, tutti quelli che il paesaggio e il territorio lo hanno bistrattato e offeso.
Postilla
Un governo serio doveva invitare a correggere un errore, sebbene compiuto per l’orgogliosa autosufficienza di una regione in cui la tutela del paesaggio è sempre stata impegno prioritario (ricordo i primi “gloriosi” assessori Silvano Filippelli, Renato Filippini e Anselmo Pucci degli anni Settanta) e che pensava (secondo me sbagliando) di poter fare a meno della “intesa” con lo Stato, anch’esso depositario della responsabilità della tutela. Ma non è un governo serio quello che censura per “eccesso di tutela” e lascia passare leggi regionali che la tutela aboliscono, con smaccata illegittimità sostanziale e formale, ordinaria e costituzionale: come la Regione Lazio, comandata dal gauleiter Storace. Ma sul fatto che lo Stato italiano è costituito da Repubblica, Regioni, Province e Città metropolitane, Comuni (e non solo da uno o due di questi istituti) occorrerà tornare, perchè gli equivoci sono molti.