L’altra Europa è nata con una positiva forzatura “approfittando” di una scadenza elettorale. L’obiettivo minimo è stato raggiunto. Ma è bene riconoscere – come fai tu - che l’esperienza contiene delle ambiguità originarie e prospettive divergenti. Per alcuni (i partiti) la Lista è stata usata come uno strumento specificamente limitato al suo scopo: portare dei loro rappresentanti al Parlamento europeo, e, con ciò, ribadire la loro esistenza. Altri, al contrario, speravano che fosse l’inizio di un processo fusionale che finalmente invertisse la tendenza alle separazioni dei partiti della sinistra. Altri ancora hanno sperato nell’avvio dal basso di una “coalizione sociale” (parole di Rodotà), prima ancora che elettorale, sul modello di Podemos.
Tu dici, giustamente, che serviranno tempo ed esperienze concrete per sciogliere le contraddizioni e capire in quale direzione sceglierà di andare l’esperienza dell’“Altra Europa-Italia” (non abbandonerei la dimensione europea nemmeno nel nome). Ma per riuscirci è necessario esplicitare le opzioni, pronunciarsi ed affrontare i nodi teorici e pratici che ci stanno di fronte. Mi pare infatti evidente che dietro alle varie opzioni possibili vi siano delle “visioni” di fondo che andrebbero messe a tema ed affrontate con la serietà e l’approfondimento necessari. Ad esempio: il rapporto tra politica e movimenti sociali (che poi è il riflesso del rapporto tra democrazia e società civile). Io penso che la “forma partito” tradizionale, sovraordinata e professionalizzata sia da abbandonare in radice. Da ciò derivano opzioni organizzative radicalmente diverse (reti orizzontali, non gerarchiche, capaci di iniziativa autonoma). L’idea della “confederazione delle autonomie sociali” del primo movimento operaio, ma anche di certo cattolicesimo (Capitini) e certo pensiero anarchico(Carlo Levi, Danilo Dolci), ripresa negli studi di Pino Ferraris, può essere messa alla nostra attenzione, o dobbiamo rimanere per sempre prigionieri della nostalgia del “più grande partito comunista d’Europa”?
Secondo: qual è la nostra teoria dello stato nel mondo globalizzato attuale? Pensiamo davvero che le istituzioni politiche rette dal modello della democrazia liberale rappresentativa siano praticabili dalla democrazia autentica (autodeterminazione delle popolazioni)? La smania elettorale, “prendere voti” (qualcuno parlava di una forma di “cretinismo”), non nasconde forse una insufficienza di consapevolezza e una “cattura” anche delle forze sane e critiche nei confronti del capitalismo dentro istituzioni ormai svuotate e asservite al sistema-mondo-liberista? Che significa “andare in parlamento” se non si sa prima che la nostra funzione è quella di fare “irruzioni scandalose” nelle istituzioni per destrutturarle, delegittimarle, dissolverle… ?
Terzo. Che cos’è la democrazia per noi? Manuel Castells parla di “democrazia delle persone”. E’ cioè un modo di praticare le relazioni umane e sociali. Questa democrazia radicale, sociale (diceva Bobbio) è inconciliabile con i rapporti di produzione e di consumo capitalistici (non solo quelli finanziarizzati) dominati dalla coercizione, dal ricatto, dalla violenza. Se non affrontiamo queste questioni rischiamo che perfino il capo della Chiesa cattolica riesca ad essere più convincente di noi.
Per dire, solamente, che, secondo me, l’Altra Europa- Italia potrà decollare solo se saprà accendere un vero dibattito pubblico all’altezza della crisi epocale che attraversa la democrazia. E il compito del gruppo di intellettuali e dei siti che citavi dovrebbe essere proprio questo: tenere alto il confronto culturale sul “sistema dei valori” di riferimento necessari per la trasformazione e il cambiamento.