Nel disegno di riforma della legge regionale toscana le modifiche all’impianto procedurale sono integrate con una più estesa revisione dell’orientamento culturale, fondate sulla fertile distinzione tra "risorsa" e "patrimonio", cioè tra valora di scambio e valor d'uso. EyesReg, Vol.3, N.4 – Luglio 2013
Il recente articolo di Ferdinando Semboloni, pubblicato sul numero 3 (Vol.3, Maggio 2013) di EyesReg, affronta in maniera molto opportuna uno dei temi destinati ad incidere fortemente sulla pianificazione della Regione Toscana con prevedibili conseguenze anche sul dibattito nazionale: la riforma della Legge Regionale 1/2005 sul Governo del Territorio, recentemente proposta dall’Assessore Anna Marson. Un disegno di legge che, pur essendo ancora in una fase di definizione e modifica, ha visto fin da subito il netto contrapporsi tra Regione e Associazione dei Comuni, in particolar modo sui temi del controllo sugli strumenti operativi comunali e sulla reintroduzione di un sistema istituzionale-amministrativo accusato di essere eccessivamente piramidale (Semboloni, 2013).
Le preoccupazioni dei Comuni, seppur legittime, rischiano però di sviare l’attenzione dei media e degli amministratori stessi dai contenuti di natura culturale e tecnica introdotti e modificati dalla proposta di legge, ponendo al contrario maggiore attenzione sugli aspetti organizzativi e procedurali. Ferma restando l’impostazione originaria della legge oggi vigente, è possibile infatti leggere all’interno del nuovo articolato alcuni aspetti innovativi di ordine generale volti ad adeguare e risolvere problematiche gestionali e concettuali emerse negli otto anni di efficacia della 1/2005.
Già nei primi articoli del disegno di legge, quelli dedicati alla definizione degli obiettivi e delle finalità, è possibile ravvisare alcune modifiche lessicali interessanti per capire la nuova visione strategica e culturale che si pone alla base dell’azione normativa.
La promozione dello “sviluppo sostenibile delle attività pubbliche e private che incidono sul territorio”, enunciata al primo comma dell’art. 1 e definita appunto quale oggetto e finalità delle successive disposizioni, diventa nella nuova stesura “la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio territoriale inteso come bene comune”; un cambiamento – rilevato da Semboloni – solo apparentemente formale, che tuttavia manifesta una profonda revisione dei modelli socio-economici dai quali la legge trae ispirazione.
Il modello dello sviluppo sostenibile – di un processo cioè che, tenendo conto delle capacità di auto-riproduzione dei sistemi di risorse alle quali attinge, è per definizione orientato ad una progressiva dinamica di crescita – è sostituito e mutuato dalla possibilità che il sistema economico-territoriale permanga in una condizione di equilibrio nel quale le azioni umane divengono tese non tanto ed esclusivamente allo sviluppo quanto alla conservazione e alla manutenzione dei territori.
Il nuovo testo normativo sembra assumere la sempre più diffusa perplessità che possa esistere un modello di sviluppo permanente, ancorché sostenibile, e condividere la tesi che un modello di una crescita infinita in un mondo finito sia contrario alle generali leggi della natura. (Georgescu-Roegen, 1994).
Ne deriva una concezione essenzialmente meno dinamica dell’interazione tra azioni umane e ambiente e sicuramente meno antropocentrica. L’obiettivo della pianificazione è quello della salvaguardia e della valorizzazione agenti, continua il nuovo testo, “in funzione di uno sviluppo locale sostenibile e durevole” che tuttavia diventa una possibilità subordinata e non più un obiettivo.
E’ riscontrabile in questa impostazione la sempre maggiore influenza esercitata in ambito economico-sociale, complice forse anche il particolare momento che l’Europa sta attraversando, dalle teorie della decrescita, riproposte e articolate negli ultimi anni da molti autori fra i quali il più noto è Serge Latouche, sostenitore della necessità di nuovo modello sociale post-sviluppo basato appunto sull’assenza di crescita e di sovra consumo (Latouche, 2008).
Una lettura confermata da un’altra proposta di modifica che riguarda sempre il Titolo I della legge: la modifica dell’art. 3 e la sostituzione del termine “risorse essenziali del territorio” in “patrimonio territoriale”. Anche in questo caso il termine risorsa, che induce a una visione del territorio e dell’ambiente in chiave produttiva, come materia prima, è sostituito da un termine, quello di patrimonio, che rimanda ad una stratificazione di lungo periodo non necessariamente finalizzata allo sviluppo e alla trasformazione.
Una distinzione, quella tra risorsa e patrimonio, più volte sostenuta e approfondita anche da Alberto Magnaghi (2000), fautore di una visione nella quale è “utile distinguere il patrimonio (che … è di lunga durata e in essa si costruisce e si accumula) dal suo uso come risorsa (che è contingente e relativa al ruolo che una specifica civiltà gli attribuisce)”. Una visione nella quale, per usare i termini di Semboloni, l’invarianza è preminente rispetto al cambiamento (Semboloni 2013)
Si delinea quindi, seppur nei limiti di un testo normativo ancora fluido e mutevole, un parziale cambio del paradigma culturale che informa la legge e le conseguenti politiche di governo del territorio. Una modifica degli obiettivi alla luce di una visione post-sviluppo destinata giocoforza a prendere corpo nel dibattito urbanistico.
Un’altra linea di azione del processo di revisione è quelle tesa a precisare e definire alcuni strumenti normativi che rendano conseguenti e coerenti le parti statutarie degli strumenti urbanistici con quelle di natura più marcatamente operativa. E’ indubbio d’altronde come alcuni importanti temi della pianificazione abbiano assunto in questi anni una natura puramente dichiarativa, quasi con valenza di manifesto, per poi avere un’influenza minima nella pratica pianificatoria corrente.
Una volontà, quella di legare in modo più efficace gli elementi generali con quelli operativi, che è leggibile nelle modifiche riguardanti lo statuto del territorio, definito come cardine dell’identità dei luoghi e criterio di individuazione dei percorsi di democrazia partecipata dall’art. 5 del testo vigente e che viene rafforzato nella nuova stesura sottolineandone la valenza di “quadro di riferimento conformativo per le previsioni di trasformazione” da redigere attraverso la partecipazione delle comunità interessate.
La specificazione della natura “conformativa” e partecipata assegna così allo statuto del territorio una valenza che va ben oltre l’esposizione di auspici, indirizzi e generiche strategie andando ad interessare direttamente la disciplina d’uso dei suoli. Anche il tema del consumo di suolo agricolo è approfondito e spostato dalla generale enunciazione, finora limitata alla definizione della priorità del recupero e della riutilizzazione rispetto alla nuova edificazione (comma 4 dell’art.3 del testo vigente), alla precisa, e per certi aspetti radicale, individuazione degli ambiti suscettibili ad essere interessati da nuovi impegni di suolo. Nella proposta di legge, non unica ad avere una tale impostazione, (De Lucia 2013; AA.VV Eddyburg 2007) le previsioni di nuova edificazione potranno interessare solo le aree già urbanizzate e prive di caratteri di ruralità, operando così un sostanziale congelamento dei margini urbani esistenti. Le deroghe previste per gli insediamenti commerciali, produttivi e per le opere infrastrutturali vengono subordinate ad una verifica di sostenibilità nei confronti di una, forse poco precisata, area vasta.
Nell’ambito di una nuova articolazione normativa, rilevando alcune carenze emerse nell’attuazione della legge, è introdotta la proposta che forse più di tutte ha destato le opposizioni dei Comuni, ovvero la competenza della Regione ad esprimersi circa la conformità degli strumenti urbanistici, di qualsiasi livello, alla Legge regionale. Un passo indietro secondo i Comuni che leggono questa nuova impostazione come una negazione del principio di sussidiarietà tra i diversi livelli amministrativi introdotto nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione, così da prefigurare, secondo l’ANCI, un sostanziale ritorno al sistema normativo del “command and control” . Finora infatti Regione Toscana e Province limitavano il loro ruolo alla verifica di conformità rispetto ai relativi strumenti della pianificazione sovracomunale senza esprimere pareri in merito alla conformità generale nei confronti della legge, e senza esercitare forme di controllo sui contenuti della pianificazione.
Vero è che una tale impostazione ha spesso escluso la verifica dell’attuazione delle politiche strategiche regionali e portato ad una generale disomogeneità di linguaggi e strumenti tra i Comuni toscani. Su questo tema, peraltro, la Regione ha già mostrato una forte attenzione: è in questi giorni al vaglio delle Commissioni del Consiglio un ulteriore disegno di legge, che prevede la modifica dell’articolo 144 della 1/2005 e assegna al legislatore regionale il compito di definire, attraverso uno specifico regolamento, parametri urbanistici e definizioni che siano comuni, omogenei ed uniformi per tutto il territorio regionale.
Nuove procedure interessano anche gli istituti della partecipazione, inseguendo anche in questo caso la necessità di superare procedure formali che poco o nulla incidono sul processo decisionale. L’intenzione appare quella di spostare e garantire l’effettivo coinvolgimento delle comunità nella fase di progetto del piano, in una fase cioè in cui le scelte sono davvero suscettibili di essere modificate e integrate con eventuali soluzioni alternative. A questo scopo è introdotta l’obbligatorietà dell’avvio del procedimento anche per la fase di redazione e di approvazione del piano e il rafforzamento del Garante della Comunicazione come Garante del Partecipazione.
Interessante è infine il ritorno ad alcuni temi della pianificazione intercomunale con l’introduzione della possibilità di redigere un unico Piano Strutturale che interessi più amministrazioni. La pianificazione di area vasta è un tema che, più volte naufragato a livello nazionale, continua ad essere cruciale per la pianificazione strutturale dei comuni toscani, troppo spesso stretti in confini amministrativi che poco rispecchiano le peculiarità dei territori, e che per questo meriterebbe un ben più articolato ed organico momento di riflessione e approfondimento.
Nel disegno di riforma della legge regionale toscana modifiche all’impianto procedurale sembrano quindi convivere, integrate, con una più estesa revisione dell’orientamento culturale. Difficile è oggi stabilire in quale misura questi aggiustamenti normativi possano dare concreta risposta ai complessi problemi emersi negli anni di efficacia della Legge 1/2005; certo rimane indubbia l’opportunità di riaccendere un dibattito e una discussione su tematiche territoriali che vadano oltre la contrapposizione partigiana tra i diversi livelli istituzionali.
Riferimenti bibliografici
AA.VV. Proposta di legge urbanistica, Eddyburg 20/02/2007,
ANCI Toscana, (2013), P.d.L. di modifica della L.R. 1/2005, Sintesi dei contenuti, ANCI Toscana, Working Paper.
ANCI Toscana, (2013), P.d.L. di modifica della L.R. 1/2005, I temi principali, ANCI Toscana, Working Paper.
De Lucia V. (2013), Una proposta di legge per la salvaguardia del territorio non urbanizzato, Eddyburg 03/06/2013
Georgescu Rougen N. (1994), La Décroissance. Entropie, écologie, économie, a cura di Jacques Grinevald e Ivo Rens, Parigi, Sang de la terre.
Latouche S. (2008), Breve trattato sulla decrescita serena, Torino: Bollati Boringhieri.
Magnaghi A. (2000), Il progetto locale, Torino: Bollati Boringhieri.
Marson A. (2006), Dalla città metropolitana alla (bio) regione urbana, in Marson A. (a cura di) Il progetto di territorio nella città metropolitana, Firenze: Alinea.
Semboloni F. (2013), "Le leggi urbanistiche regionali e il governo delle dinamiche territoriali", Eyesreg vol.3 n.3 maggio 2013
Semboloni F., (2013), "La Regione contro tutti. L’assessore riscrive la legge urbanistica regionale", Toscana Oggi, 3/4/2013