Il manifesto, 5ottobre 2014, con postilla
Quando ci è stato chiesto di essere presenti ad una iniziativa unitaria della sinistra, a una manifestazione dove Sel ha chiamato a partecipare donne e uomini di una sinistra plurale, abbiamo accettato molto volentieri. Perché è la stessa sinistra che ogni giorno si incontra e discute sulle pagine del manifesto, il giornale che da oltre quarant’anni si batte per rinnovare la sinistra italiana.
E’ stata l’occasione per rivendicare il nostro ruolo, il nostro essere stati l’unico giornale impegnato a sostenere in modo aperto, senza autocensure, una campagna elettorale europea a favore della Lista Tsipras. Un’impresa più difficile del solito, sulla quale in pochi erano disposti a scommettere perché prima del voto la lista era assolutamente sconosciuta. Anche a sinistra. E proprio per questo è stata un’occasione da non perdere per chi non voleva rassegnarsi a votare per Renzi, né per Grillo e nemmeno ripiegare nell’astensionismo.
Non sempre le motivazioni che hanno fatto nascere la Lista Tsipras sono state rispettate. Ci sono stati personalismi esagerati, dosi eccessive di autoreferenzialità, insopportabili elenchi di buoni e cattivi. Ma, nonostante tutto, alla fine ha prevalso l’idea di rompere vecchi steccati, l’unica idea capace di moltiplicare la partecipazione, specialmente delle giovani generazioni. Questa idea si è tradotta in forza che ha poi assunto il peso del quorum elettorale.
Abbiamo cercato di dare voce a quella sinistra che non vuole chiudersi nell’autocompiacimento dello sconfittismo, o nel ruolo rassicurante di quelli destinati all’opposizione a vita. Ma adesso come continuare il cammino?
Vista la sproporzione delle forze in campo sarebbe velleitario dire che vogliamo diventare maggioranza - in Grecia Tsipras ha avuto successo in un paese in macerie - tuttavia vogliamo che si costruisca a sinistra del Pd una forza - o un insieme di forze - che possano farsi sentire con autorevolezza sui temi legati al governo del Paese. Se è chiaro quale può essere l’obiettivo (raggiungibile attraverso una lunga marcia che coinvolga però associazioni, partiti, liste, movimenti), dobbiamo comunque chiederci perché facciamo fatica a farci ascoltare, perché non riusciamo a rappresentare una sinistra larga e popolare, una sinistra del lavoro, dei diritti, del vero cambiamento (non quello sventolato da Renzi) verso una società più democratica e meno liberista.
Una prima risposta, che ha radici antiche, è questa: non sappiamo stare insieme, non sappiamo unire le forze. Questa incapacità è tutta ideologica: l’idea prevale sul rapporto tra le persone, per affermarsi l’idea è disposta a camminare sulle macerie, politiche e personali.
Noi a sinistra abbiamo bisogno di sincerità e franchezza. Se siamo ancora una esigua minoranza, più come rappresentanza politica che nella società italiana, non è per colpa di Berlusconi. E come non era lui in passato il problema, oggi non lo è Renzi.
Perché il problema siamo noi, sempre divisi, sempre convinti di avere la verità in tasca e guai a chi ce la tocca. Ecco, se vogliamo diventare più grandi, più forti, ognuno di noi deve cedere un pezzo della propria sovranità. Senza questa consapevolezza non solo non si fa una sinistra nuova, ma non si tiene insieme neppure un condominio.
Sappiamo che dobbiamo confrontarci con un apparato politico e un peso notevole, quale quello rappresentato dal Pd di Renzi. Ma il suo successo potrebbe non reggere sui tempi lunghi. Anzi, i dati del tesseramento del Pd sono drammatici.
Più in generale, stiamo attraversando una fase molto difficile dal punto di vista economico. Ma adesso, come ieri, sappiamo almeno con chi abbiamo a che fare. E come vent’anni fa il berlusconismo strappò alla sinistra la parola “libertà”, oggi Renzi ha sequestrato la parola “cambiamento”.
Ogni giorno vediamo l’uso spregiudicato che ne fa. Cambia la Costituzione, cambia la giustizia, cambia il lavoro. E chi trova al suo fianco? Berlusconi. E chi canta ogni giorno la serenata al presidente del consiglio? Chi è il più accanito fan del premier? Il Giornale di Arcore che vede nel segretario del Pd il giovane cavaliere che massacra le opposizioni interne e i sindacati.
Renzi e Berlusconi fanno fatica a stare in due partiti diversi, provano a inventarsi qualche motivo di contrasto, ma proprio non ci riescono. Riforme istituzionali, giustizia, lavoro: sono d’accordo su tutto. Guardate le scene di amorosi sensi quando si incontrano in Parlamento deputati e senatori del Pd e di Forza Italia: baci, abbracci, pacche sulle spalle. Guardate le elezioni delle provincie: sono spariti i cittadini e sono comparsi i listoni con Fi e Pd uniti da un’attrazione fatale.
Dovremmo lasciare che la natura faccia il suo corso, dovremmo lasciarli liberi di unirsi in un unico partito. Ma non sarà così. E a noi spetta comunque il compito di costruire una sinistra più forte, più radicata nel territorio, più socialmente utile. Siamo convinti che possiamo darci questo obiettivo? Possiamo, Podemos, come dicono in Spagna, ma ad alcune condizioni. Smetterla di essere solo contro il nemico di turno, e metterci al lavoro per qualcosa.
Come con Berlusconi, anche con Renzi la comunicazione, la televisione, l’informazione è l’arma decisiva. Oggi è persino peggio perché il conformismo, il sostegno, l’adesione, l’applausometro verso l’alleanza tra Renzi e Berlusconi è impressionante. Almeno ai tempi di Berlusconi c’era qualche programma tv, qualche tg che criticava il padrone del vapore.
Oggi tutti i telegiornali cantano la stessa canzone. Se nei giornali a qualche direttore o a qualche fondatore, scappa di scrivere che Renzi è inaffidabile, si strilla ai poteri forti. Come se Marchionne, la finanza internazionale, le banche, Confindustria, il presidente della repubblica, l’industria di stato (e perfino la massoneria) fossero delle mammolette, come se non fossero schierati come un sol uomo con il governo Renzi-Alfano, o se preferite Poletti-Sacconi.
In questa battaglia per una sinistra rinnovata, plurale, ricca di esperienze diverse, chiara in alcuni obiettivi comuni (non bisogna essere d’accordo su tutto), noi del manifesto ci siamo. E ci saremo.
Il nostro giornale ha avuto momenti durissimi nella sua lunga storia. Ma siamo andati oltre le divisioni e siamo riusciti a superare le difficoltà. Oggi il manifesto è vivo e vegeto e spera di festeggiare la fine dell’anno con l’impresa più grande di tutte: ricomprarci la testata
Siamo convinti che le lettrici e i lettori ci aiuteranno nell’impresa, come hanno sempre fatto perché sanno che il manifesto è un bene collettivo: di quelli che lo fanno e di quelli che lo leggono, di quelli che ieri erano in piazza. Perché è un soggetto di questa sinistra, una sinistra con radici profonde, un po’ eretiche, una sinistra che non separa diritti sociali e diritti individuali, libertà e solidarietà, una sinistra fieramente dalla parte del torto soprattutto quando la ragione dei più, della maggioranza, si riconosce la trinità Renzi-Marchionne-Berlusconi.
postilla
Una riflessione sensata; domande penetranti, sulle quali bisogna riflettere e, se possibile, decidere. Rangeri scrive: dobbiamo «smetterla di essere solo contro il nemico di turno, e metterci al lavoro per qualcosa». Dobbiamo insomma metterci al lavoro per qualcosa, raccontare come noi, la nuova sinistra, vogliamo contribuire a un altro cambiamento, alternativo a quello minacciato dai nostri avversari. E allora aggiungo una domanda ulteriore: perché chi si batte per una nuova sinistra non è riuscito a valorizzare e sviluppare quel cambiamento alternativo, radicale ma non utopistico, che è proposto nei documenti fondativi della lista Altra Europa con Tsipras, e anticipata e ripresa in tanti scritti sul manifesto e su altri giornali, da promotori e protagonisti della lista come Guido Viale, Luciano Gallino, Barbara Spinelli?