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Franco Cordero
La legge nelle mani di B.
27 Gennaio 2006
I tempi del cavalier B.
Il magistrale profilo dell'uomo che ci comanda, e l'elenco di una parte dei danni che ha provocato. La Repubblica del 27 gennaio 2006

"Legalità", nome astratto, evoca dei modelli: li chiamiamo positivi quando vigono; e se una norma viga, lo dicono regole-matrice dei singoli ordinamenti; nell´Italia 2005 gli artt. 70-89 Cost. Ma non basta comandare, perché talvolta i comandi restano sulla carta o nell´aria: dopo l´attentato 20 luglio 1944, l´apparato coattivo nazista lavora inesorabilmente; Roland Freisler, psicopatico presidente del Volksgerichtshof, applica norme valide ed effettive; nove mesi dopo gli ordini del Führer non incidono più nei fatti, puro rumore vocale; regna uno stato caotico, risolto dalle armi; appena qualcuno trovi gente che ubbidisce, ecco l´ordinamento nuovo, finché dura. La teoria del diritto sta tutta lì. I cultori del diritto cosiddetto naturale elaborano falsi teoremi raccontando che siano valide solo le norme giuste: pia favola; la questione però esiste ed esplode ogniqualvolta l´atto conforme al prescritto risulti immorale o dannoso alla comunità; Roland Freisler era l´organo d´una giustizia infame. Insomma, non confondiamo sintassi del diritto, etica, politica.

Dopo i nomi e le idee, la storia. Nel collasso della prima Repubblica corrosa dal malcostume consortile, appare B., finto homo novus: affarista d´origini buie; s´è ingrossato nel privilegio concessogli dalla vecchia consorteria; accumula soldi col monopolio delle televisioni commerciali, istupidisce il pubblico, falsifica bilanci, evade il fisco, allunga le mani dappertutto; gl´italiani sapranno poi in qual modo vincesse le cause, comprando i giudici attraverso un´agenzia barattiera. In vista dei sessant´anni scende in campo perché teme la resa dei conti. Tale l´unico programma, sotto la falsa bandiera d´una rivolta contro i politicanti professionisti: qualificandosi campione dello spirito d´impresa, truffa gli elettori; è un enorme parassita, fabbricato dalla malavita politica, abilissimo nella frode, mago delle lobotomie televisive; spaccia menzogne come i bachi secernono bava.

Convertite le televisioni in partito, assolda mano d´opera più o meno intellettuale: s´imbarcano anche degl´illusi d´una svolta radicale; qualcuno se ne pente; emergono naufraghi del vecchio corso, sgherri impuniti, parolieri, commedianti, uomini del sì, domestici, faune da Satyricon. Scenario senza precedenti nella storia d´Italia: bene o male avevano un disegno politico gli avventurieri, da Crispi a Mussolini; costui no, difende l´impero personale senza scrupoli nella scelta delle armi. Naturalmente autocrate, paga e vuol essere servito: gli mancano i neuroni del sentimento etico; l´avversario va sgominato o corrotto; negli elettori vede bestiame umano dal cervello frollo.

Le due stagioni al governo, 1994, dicono che gusti e talenti abbia: vuol ministro degl´interni o guardasigilli l´avvocato che gli compra i giudici; cade; dopo sedici mesi d´un confuso interregno, sale l´altro polo. I quattro anni seguenti portano dati su cui riflettere, se non vogliamo funesti bis. Qualcuno s´è convinto che l´intruso sia ormai innocuo (conclusione assurda: aveva raccolto altrettanti voti), e intavolando negoziati bicamerali, lo riaccredita; forse voleva disporne nelle partite interne al centrosinistra, il cui buon governo cade, affondato dagli arrembanti; ne segue uno da dimenticare; l´ultimo inalbera insegne ormai obituarie. I dialoghi presupponevano intese sotto banco: che l´impero mediatico resti intatto al parassita; glielo garantiscono, perché le sue aziende sono «patrimonio italiano» (formula d´inaudito ridicolo); va in fumo la prima cosa da fare, una legge che impedisca conflitti d´interesse come quello dal quale umori instabili e calcoli furbeschi d´un Bertoldo padano hanno provvisoriamente salvato l´Italia affossando l´invasore.

L´Ulivo è padrone delle Camere: 157 seggi contro 116; 284 contro 246, ma in materie capitali legiferano in chiave già berlusconiana; sul tema giustizia la Bicamerale ricalca il «Piano d´una rinascita democratica» tramato da Licio Gelli, contemplante inter alia un pubblico ministero nella gabbia del potere esecutivo; risulterà meno vandalica la riforma berlusconiana. L´astuto partner stava al gioco: incassato ogni possibile profitto, dopo un anno e mezzo rovescia il tavolo; e l´aborto bicamerale infetta i 23 mesi seguenti; i frutti velenosi dell´albero avvelenato maturano nel tempo; eravamo afflitti da una procedura penale declamatoria, farraginosa, contorta; vari interventi disseminano uno pseudo-garantismo passibile d´usi micidiali; viene da lì la norma grazie alla quale l´ex ministro sotto accusa (d´avere corrotto dei giudici a profitto del cliente, futuro statista) moltiplica i rinvii dell´udienza preliminare adducendo impegni parlamentari; la Camera nega l´autorizzazione alla custodia cautelare; e solleva un conflitto davanti alla Corte, perché quel giudice s´era permesso d´obiettare che la giurisdizione penale non è poi l´ultima ruota del carro. La coalizione muore suicida.

Guai se dimenticassimo i lugubri anni del dialogo col caimano. Rioccupato Palazzo Chigi, l´arrembante provvede a sé stesso.

Era falsario nei bilanci e subito, attraverso onorevoli yes-men, riformula la legge: sarà prosciolto, non costituendo più reato i fatti de quibus, con tanti saluti alla trasparenza societaria, importantissima dove esista un capitalismo degno del nome; poi ritocca pro domo sua la materia delle rogatorie, perché carte bancarie estere inchiodano gl´imputati dei processi milanesi. Fallita la fuga da Milano attraverso varie chicanes, sfigura un articolo del codice sulla translatio iudicii motivata da anomalie ambientali; s´inventa un´immunità che la Consulta dichiara invalida; riforma l´ordinamento giudiziario avendo in mente un pubblico ministero comandato dal potere esecutivo. Siamo sul terreno della legalità perversa: patologia più grave delle consuete prassi delittuose; il fattore criminogeno s´è impadronito della leva normativa. Qui la politica forzaitaliota, condivisa da alleati e satelliti, svela disegni coerenti. Chiamiamoli criminofilia. Parola forte ma otto esempi dicono quanto sia puntuale.

Primo, il socio dominante falsifica impunemente i bilanci, l´abbiamo appena visto: tali furberie sono bagatella nell´art. 2621 c. c., comma 1, mentre nei paesi dell´autentico capitalismo costano lunghe galere ai falsari; e chi fermerebbe la frenesia d´impunità se godessimo del miracolo economico che i dulcamara annunciavano. Secondo: bisogna salvare i correi del padrone; le difese pretendono d´escludere dal processo carte bancarie elvetiche, perché mancano dei timbri; apprendisti in diritto affatturano un nuovo art. 729 c.p.p., sicuri d´avere codificato il cavillo avvocatesco; ma dal Tribunale alla Cassazione i giudici lo disinnescano. Gli autori del capolavoro s´infuriano: «eversione!», gridano, tanto ignoranti da non sapere che i testi vanno interpretati nel sistema normativo: avevano anche congegnato una chiusura ermetica, vietando la prova dei fatti in questione mediante «dichiarazioni da chiunque rese»; inammissibili i testimoni; e se l´imputato, colto da rimorso, confessasse, la confessione non varrebbe. Fantasie da fumatori d´oppio.

Terzo caso, l´arcinota proposta rinnegata dall´autore, tanto gliel´hanno deformata i colleghi, taglia i termini della prescrizione scatenando una devastante amnistia sommersa, affinché dopo nove anni esca prosciolto il correo del quasi padrone d´Italia, nel cui interesse comprava sentenze. Quarto, l´offensiva contro le intercettazioni, canale insostituibile nel lavoro investigativo su pericolosi filoni criminali: ferrei garantisti le mandano al diavolo; così gli adepti d´un vario malaffare converseranno sicuri, nemmeno fossero parlamentari, i cui assurdi privilegi significano impunità.

Quinto, diciannove onorevoli i cui nomi meritano d´essere scolpiti, propongono un bando delle notizie anonime, esteso alle prove acquisite su tale impulso, e qualificano «nulli a ogni effetto i relativi procedimenti penali». Supponiamo che l´inquirente scovi archivi, arsenali, santuari, cimiteri d´una Murder´s Corporation, nonché i testimoni: tutta farina del diavolo, tamquam non sit; l´inquisito è lui, che indaga; gl´incombe l´onere d´una prova negativa; provi che l´anonimo non l´abbia guidato in nessun passo dell´indagine. Sesto, una lobby studia come rivedere processi e confische subiti da mafiosi. Settimo, cervelli forzaitalioti s´inventano un pubblico ministero puro organo requirente, sulla base dei materiali raccolti dalla polizia, unica legittimata (e siccome l´organo poliziesco dipende dal potere esecutivo, sarà il governo a stabilire chi debba o no essere perseguito). Infine, un´idea sbalorditiva: negare al pubblico ministero l´appello contro i proscioglimenti; se vuole, ricorra in cassazione; e siccome la Corte non acquisisce prove, né rivaluta le acquisite come giudice del merito, diverso essendo lo spettro cognitivo, diventano irreparabili gravi errori sul fatto. Norma grossolanamente incostituzionale (art. 111 Cost. c. 2). Arie affini spirano nella deregulation lassistica del fallimento.

Forte dei suoi ventimila milioni d´euro, divus Berlusco inquina teste, leggi, apparati: scardina la giustizia; con lui salgono al potere volgarità, sopruso, menzogna (vedi il dissenso da Bush sulla guerra d´Iraq, perché la democrazia non s´esporta con le armi, asserito e negato in ventiquattr´ore); potendo, ridurrebbe la vita psichica dei sudditi a giaculatorie e fescennini. Il quinto foglio volante della Rosa Bianca nella Germania hitleriana 1943 denuncia un regno del male: Gestapo, Lager, patiboli, lo configurano in forme atroci, ma il fenomeno può assumerne d´allegre; mancava la versione comica; l´imbonitore dalle ganasce aperte nel finto sorriso può combinarsi l´en plein dov´era fallito l´orrendo Kniébolo, come lo chiama Ernst Jünger, sotto quella maschera da serial killer (alla fine voleva uccidere l´intero popolo tedesco, «non è degno d´un genio come me»). Abbiamo un Führer barzellettiere, canterino, ottimista: «siete ricchi, belli, giovani, felici», svela ridendo a poveri diavoli italiani arrancanti in bolletta; e guardandosi nello specchio, confida d´avere visto un santo.

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