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Francesco Giavazzi
Privatizzazioni chi le ha viste?
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Un’analisi rapida ma centrata del degrado italiano e le sue ragioni. Dal Corriere della sera del 16 luglio 2005

In quattro anni, dal 2001 a oggi, i prezzi dei servizi bancari sono cresciuti del 38%, i prezzi dell'assicurazione sulle auto del 31%, ristoranti e alberghi del 18 e 15%, rispettivamente. I prezzi dei prodotti industriali, invece, sono aumentati solo del 6%, meno di 1,5% l'anno.

Questa diversa crescita dei prezzi si è puntualmente riflessa in una diversa redditività delle aziende. Un'analisi svolta dai ricercatori di Unicredit mostra che nel settore dei servizi il rendimento prima delle imposte (misurata dalla mediana dei rapporti tra utile e patrimonio netto, «roe») è stato, nel 2003, superiore al 20%, con punte del 33% nelle attività immobiliari e nei servizi professionali. Al confronto, la redditività preimposte delle aziende manifatturiere è stata del 13%.

Osservano i ricercatori di Unicredit: «I settori che sono in grado di generare maggiori profitti sono quelli meno esposti alla concorrenza o che operano in regime di quasi monopolio, come le utilities (ove operano la maggior parte delle grandi imprese e che spiega almeno in parte il loro recupero di redditività), mentre i settori più esposti alla concorrenza, in particolare l'industria manifatturiera, ha sofferto una sensibile riduzione degli utili». In Germania, dove l'inflazione è un terzo che in Italia, per salvaguardare il potere d'acquisto dei salari, basta che questi crescano dell'1% l'anno: in Italia devono crescere tre volte di più. Il risultato è che in pochi anni la quota delle nostre esportazioni sul commercio mondiale è scesa dal 5 al 3% e non per colpa dell'euro, perché nello stesso periodo le imprese tedesche hanno guadagnato, se pur leggermente, quote di mercato. E' il trasferimento di ricchezza dal settore produttivo dell'economia a chi vive di rendita che sta affossando l'industria italiana.

Non bisogna poi sorprendersi se molti imprenditori si spostano verso i servizi e se i giovani scelgono corsi di laurea che li avviano a professioni protette.

Perché in Italia c'è tanta acquiescenza verso le posizioni di rendita? Perché è tanto difficile liberalizzare i servizi e spostare la tassazione in modo da colpire meno il lavoro e più la rendita immobiliare e finanziaria? Un po' dipende dal fatto che molte delle imprese protette sono ancora in parte pubbliche. Finché lo Stato incassa ricchi profitti dalle aziende di luce e gas, che interesse ha a privatizzare e liberalizzare? Tassare i cittadini attraverso il caro-tariffe è politicamente meno costoso che tassarli con le imposte. Forse non è un caso che dal Dpef approvato ieri sia scomparso ogni riferimento agli incassi previsti da privatizzazioni.

Ma vi è un motivo ancor più preoccupante. L'Italia invecchia rapidamente e gli anziani vivono del rendimento della ricchezza finanziaria e immobiliare accumulata in una vita. Più aumenta il numero degli elettori anziani, più cresce il partito di coloro che si oppongono a una tassazione favorevole al lavoro e meno alla rendita. Un mese fa il ministro dell'Economia fece una battaglia sacrosanta per ridurre gli oneri sociali, tassando di più case e Bot. Di questa battaglia nel Dpef di ieri non c'è più traccia.

Le elezioni si avvicinano per tutti. Piero Fassino, formatosi a Torino, nel cuore industriale dell'Italia, conosce certamente le fabbriche ma proprio da lui ci saremmo aspettati una posizione più chiara sui danni che le rendite - anche quelle immobiliari - provocano al Paese.

giavazzi-f@yahoo.com

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