Una riflessione del responsabile territorio di Italia Nostra Regionale sui disastri che produrrebbero le disposizioni di “semplificazione” formulate nel progetto di legge urbanistica regionale, Relazione presentata al convegno “Privatizzare l’urbanistica?”, Bologna, 15 novembre 2017.
1. Sulle relazioni del nuovo sistema di pianificazione con l’ordinamento regionale e provinciale (o di area vasta)
Il nuovo sistema di pianificazione dispone obblighi di completa revisione degli strumenti vigenti. Leggi, regolamenti, delibere regionali in materie disparate, che variano dalla protezione dell’ambiente all’illuminazione, fanno riferimento al sistema di pianificazione articolato dalla legge regionale 20/2000 su PSC, RUE e POC. Su tale sistema sono anche strutturati PTCP e piani di settore, dal commercio all’emittenza. Questo esteso corpo normativo interviene sulla disciplina del territorio mediante direttive e indirizzi, cui la pianificazione urbanistica deve conformarsi. L’estraneità del nuovo sistema di pianificazione proposto rispetto all’ordinamento regionale e provinciale vigente pone problemi di compatibilità e conflittualità anche insanabili.
Il progetto di legge interviene sulla questione in modo parziale (ed evidentemente improvvisato) con le due righe del comma 2 dell’articolo 74, che cancellano i PTCP per quanto non corrisponde ai contenuti che il progetto stesso attribuirebbe ai piani territoriali di area vasta (PTAV e PTM). La genericità di questi contenuti non consentirebbe però a chi si accinga a redigere un PUG di discriminare in un PTCP vigente le disposizioni che conservano efficacia, e che dovrebbe osservare, da quelle che sarebbero caducate.
Sarebbe pertanto indispensabile che una selezione univoca delle disposizioni che mantengono efficacia nei PTCP fosse compiuta responsabilmente dalle amministrazioni provinciali o di area vasta, prima dell’avvio del nuovo indirizzo regionale, secondo modalità aperte alla consultazione e partecipazione; e che conseguentemente la decorrenza del termine per l’avvio dell’adeguamento della pianificazione urbanistica comunale fosse subordinato alla conclusione di questo adempimento da parte della Provincia. Sarebbe inoltre necessario che gli adeguamenti da parte della Regione e dei soggetti di area vasta prescritti dal comma 1 del medesimo articolo 74 non fossero limitati agli strumenti di pianificazione territoriale, ma riguardassero totalità dei dispositivi di legge o regolamentari che fanno riferimento al sistema di pianificazione disposto dalla legge regionale 20/2000.
2. Sul passaggio al nuovo sistema di pianificazione
I dispositivi sulle modalità del passaggio al nuovo sistema di pianificazione fondato sul PUG e sugli accordi operativi esigono due ordini di importanti modificazioni. Il primo riguarda la differenziazione fra i comuni dotati di PSC e RUE e quelli dotati di PRG, tutti egualmente soggetti ad avviare entro tre anni la formazione del PUG, ma i primi esonerati dalla consultazione preliminare e con procedimento abbreviato. Il PUG è un nuovo strumento urbanistico generale, completamente diverso dal PSC, dal RUE e dal POC, che li soppianta integralmente con contenuti ed elementi costitutivi del tutto diversi. É una diversità sostanziale che esige in ogni caso la consultazione preliminare e adeguati tempi di istruttoria, analogamente ai comuni ancora dotati di PRG.
I comuni che all’entrata in vigore si trovassero con PSC solo adottato, dovrebbero convertirlo in PUG e come tale approvarlo, senza nemmeno ripubblicarlo. É una disposizione irragionevole e irrazionale, che non tiene conto della sostanziale estraneità dei due strumenti quanto a principi, forme e contenuti, e che dovrebbe essere cassata. Ai comuni che hanno quantomeno convocato la conferenza di pianificazione è necessario dare tempo e modo di completare il procedimento di formazione del PSC e del RUE. Tutti ci comuni sarebbero quindi soggetti alle medesime condizioni e tempistiche per dotarsi di PUG.
Il secondo ordine di questioni riguarda le relazioni tra la pianificazione urbanistica e la pianificazione territoriale. Il comma 1 dell’articolo 74 dà tempo tre anni per formare PTF, PTM e PTAV. Entro il medesimo termine, ma nel loro caso con disposizione perentoria, i comuni dovrebbero avviare l’adeguamento della loro strumentazione urbanistica. Va dunque rilevata l’assurdità di prevedere (anzi, di forzare!) un rinnovamento generale della pianificazione urbanistica indipendentemente dal rinnovamento della pianificazione territoriale di area vasta, che ha la funzione primaria di orientarla e dirigerla.
3. Sull’attuazione degli strumenti urbanistici vigenti
L’articolo 4 detta disposizioni intese a salvaguardare i cosiddetti diritti acquisiti ammettendo entro tre anni accordi operativi in deroga al POC, da confermare successivamente nel PUG. Limita inoltre tale facoltà al triennio successivo all’entrata in vigore della nuova legge (che equivale a vietare la formazione di ulteriori strumenti urbanistici di attuazione), come fattore di pressione per sollecitare la tempestiva formazione dei PUG.
Nel caso di PSC vigenti, il ricorso ad accordi operativi in luogo del rinnovo o di integrazioni del POC e della formazione di PUA soffre di debolezze intrinseche:
- è stato autorevolmente osservato che accordi non possono conferire diritti edificatori che il PSC per legge non attribuisce, e che spetta solo al POC attribuire;
- il programma pluriennale di attuazione (PPA) è tuttora obbligatorio (articolo 13 legge 10/1977): se non c’è il POC a supplirlo le attuazioni sarebbero illegittime;
- non è ammissibile discriminare le proposte di accordi operativi da accogliere mediante una semplice deliberazione consiliare, e senza procedere a un atto di pianificazione motivatamente selettivo qual è il POC;
- l’applicazione degli accordi operativi è condizionata dalla costituzione del Comitato Urbanistico e da altri atti successivi all’entrata in vigore della nuova legge.
Sia nei comuni dotati di PSC, sia in quelli in cui vige un PRG, le previsioni degli attuali piani possono essere normalmente regolate con gli strumenti del POC e dei PUA, integrati al caso da accordi con i privati ai sensi dell’articolo 18 della legge regionale 20/2000. Il PUG potrebbe poi confermarli, nel limite massimo di un incremento del 3% rispetto al territorio urbanizzato attuale, con le eccezioni ammesse dall’articolo 6, comma 6, opportunamente emendato.
4. Sul regime degli strumenti urbanistici vigenti (PSC e PRG)
L’articolo 4 dettaglia i provvedimenti che i comuni possono assumere sulla loro strumentazione urbanistica, lasciando invariate le facoltà dei comuni in materia fino alla scadenza del terzo anno dall’entrata in vigore della legge. La casistica non è esaustiva, non comprende ad esempio i casi di rinnovo o modifica dei POC, e limita la possibilità di modifiche e aggiornamenti della pianificazione urbanistica vigente a varianti specifiche, di natura indefinita. La formazione di un nuovo POC, quando il precedente sia giunto a scadenza, difficilmente può essere considerata tale.
5. Sul sistema di pianificazione urbanistica (prima questione)
Tutte le disposizioni del progetto di legge che riguardano il sistema di pianificazione urbanistica sono state sino ad ora orientate dalla ricerca di un principio ordinatore che distingue quanto è possibile e doveroso disciplinare con efficacia cogente e stabile anche nel lungo termine, e quanto deve essere invece rimesso a determinazioni apposite, da assumere con agilità e tempestività a fronte delle esigenze e delle opportunità che si presentano nel corso del tempo.
E’ questa una questione che nella sostanza ripropone quelli che avrebbero dovuto essere i rispettivi ruoli del PSC da un lato, e del RUE e del POC dall’altro. Se compreso e correttamente applicato, il PSC avrebbe dovuto definire l’assetto a lungo termine del territorio, mediante localizzazioni e quantificazioni di maglia larga, strutturali appunto. La regolazione dettagliata dell’edificabilità sarebbe così spettata a RUE e POC. Purtroppo i ruoli dei tre strumenti sono rimasti largamente incompresi e stravolti nella concreta applicazione.
L’unificazione della disciplina urbanistica generale nel solo PUG ripropone la contraddizione fra la necessaria rigidità di alcuni dei suoi contenuti, e l’indispensabile adattabilità di altri. Il progetto di legge intenderebbe risolvere questa contraddizione destituendo di cogenza o addirittura sopprimendo la disciplina preventiva delle trasformazioni intensive, sia per i nuovi insediamenti che per le rigenerazioni urbane, interamente rimessi ad accordi operativi formati caso per caso, e sottratti a ogni possibilità di valutazione preventiva, sistematica e cogente, nell’ambito del PUG.
Le questioni della necessità di disciplina “diretta” delle trasformazioni diffuse nei territori urbanizzato e rurale sono in verità percepite dal progetto di legge, che abbozza una risposta che disciplinerebbe il territorio urbanizzato mediante uno schema di assetto del territorio urbanizzato (articolo 33, comma 2) e una disciplina urbanistica di dettaglio (comma 4). Questa disciplina di dettaglio è però irrigidita in modo intollerabile dall’assoggettamento di qualsiasi modifica, anche di minima entità, al medesimo procedimento che disciplina la formazione del PUG, del PTAV, del PTR... (ma non quella degli accordi operativi).
La soluzione andrebbe cercata esplicitando e definendo in modo inequivocabile i contenuti delle due componenti previste per il PUG, che l’articolato attuale mantiene vaghe e viziate da serie contraddizioni:
- una componente strategica, corrispondente allo Schema di assetto del territorio urbanizzato prescritto dall’articolo 33, comma2;
- una componente esecutiva, corrispondente alla disciplina urbanistica di dettaglio prevista dall’articolo 33 al comma 4.
La prima dovrebbe essere cogente nei confronti della seconda; la seconda cogente sulle trasformazioni fisiche e funzionali del territorio mediante una disciplina direttamente eseguibile sulla generalità del territorio e con il rinvio a strumenti attuativi per i casi complessi e particolari.
6. Sul sistema di pianificazione urbanistica (seconda questione) - Lo Schema di assetto del territorio urbanizzato
Lo Schema di assetto del territorio urbanizzato dovrebbe dunque ripartire il TU in parti (di ampiezza variabile) che possiedono caratteristiche omogenee, dal punto di vista funzionale, morfologico, ambientale, paesaggistico e storico culturale, a cui riferire politiche unitarie. Queste politiche unitarie dovrebbero consistere in primo luogo nell’accertare quantitativamente i carichi insediativi complessivi (quali il numero di abitazioni, e l’entità degli spazi assegnabili e funzioni terziarie e produttive o a funzioni particolari) che possono essere sostenuti da ciascuna delle diverse parti in cui ripartisce il territorio urbanizzato, principalmente in relazione a:
- potenzialità delle dotazioni territoriali esistenti e previste;
- stato presente e futuro della mobilità;
- caratteristiche qualitative e composizione tipologica degli insediamenti;
- limiti e condizionamenti posti da fattori ambientali e di sicurezza;
- disponibilità di dotazioni e spazi di pertinenza.
Per ciascuna di tali partizioni lo Schema di assetto del territorio urbanizzato deve inoltre quantificare la dotazione complessiva di attrezzature e spazi collettivi, le necessità di adeguamento o di realizzazione di infrastrutture e dotazioni ecologiche, impartire direttive e indirizzi di miglioramento qualitativo e funzionale. Natura e grado di specificazione delle disposizioni dovrebbero essere differenziate in relazione alla complessità dei processi e alla necessità di coinvolgimento di soggetti e risorse nelle trasformazioni intensive, in esercizio dell’autonomia comunale. In particolare, sulle porzioni di territorio da assoggettare a pianificazione attuativa unitaria e ad accordi operativi. Nulla vieterebbe che lo Schema potesse stabilire una latitudine anche ampia di possibilità di trasformazione, accertando in ogni caso i limiti cogenti di sostenibilità ambientale e territoriale, e quantificando i fattori determinanti in proposito. Le modificazioni dello Schema dovrebbero poi essere soggette a procedimenti quanto più agili fosse possibile, ma in ogni caso validate da adeguate valutazioni di sostenibilità ambientale e territoriale. Tutto ciò è sostanzialmente negato dalla disciplina dell’art.33.
7. Sul sistema di pianificazione urbanistica (terza questione) - La disciplina di dettaglio del territorio urbanizzato
Secondo il progetto di legge il PUG fornisce una univoca rappresentazione cartografica degli immobili interessati e stabilisce la disciplina urbanistica di dettaglio da osservare. Viene in questo modo riconosciuta la necessità di separare nel PUG la regolazione minuta delle trasformazioni da quanto è di valore strategico. Ma è distinzione compiuta in modo vago e sommario, rinviando la definizione dei disciplinai ad uno dei numerosi susseguenti atti di coordinamento tecnico previsti (si tratta di un atto di Giunta, sottratto al controllo del Consiglio).
La natura (e le relazioni reciproche) delle due componenti che vengono così riconosciute nel PUG sono invece questione centrale del sistema di pianificazione urbanistica, che è imperativo risolvere e definire compiutamente come contenuto essenziale della legge regionale urbanistica. Dovrebbe dunque essere istituito un apposito elemento costitutivo del PUG, la Disciplina di dettaglio del territorio urbanizzato, che con vincolo di coerenza alle indicazioni di natura strategica e generale dello Schema di assetto del territorio urbanizzato provvedesse a regolare con appropriato e differenziato dettaglio le trasformazioni ammissibili nel territorio urbanizzato.
Nella Disciplina urbanistica di dettaglio può essere configurato uno strumento di pianificazione efficace, atto a dominare la variegata complessità del territorio urbanizzato. E con essa sarebbe demarcato in modo univoco quanto va interamente rimesso all’autonomia decisionale dei comuni,con procedimenti e meccanismi di modifica e integrazione semplificati, che assicurino l’indispensabile tempestività di risposta alle esigenze e opportunità che sopravvengono nel tempo.
8. Sul sistema di pianificazione urbanistica (quarta questione) - La disciplina dei centri ed insediamenti storici nonché degli immobili di interesse storico-architettonico, o culturale e testimoniale
Sarebbe ovviamente doveroso che la legge urbanistica quantomeno due appositi articoli a questi temi, e rispettivamente:
- ai centri storici, compresi gli insediamenti storici del territorio rurale, omessi nel testo licenziato dalla Giunta;
- alla tutela degli immobili di interesse storico-architettonico, o culturale e testimoniale
Allo scopo di conferire e univocità alle diverse componenti che concorrono a comporre il PUG, e a queste riferire con chiarezza compiti e procedure correlate, sarebbe dunque opportuno assegnare al tema un distinto e apposito elemento costitutivo del PUG, denominato appunto Disciplina delle strutture insediative e degli immobili di interesse. L’assoggettamento prima a SCIA, adesso addirittura a CILA, degli interventi di restauro, sia scientifico che di risanamento conservativo, e la responsabilizzazione dei progettisti in ordine alla conformità delle opere, esige che natura, criteri e modalità delle opere ammissibili siano definiti con adeguato dettaglio, che le sole definizioni di legge dei diversi interventi non possono in alcun modo supplire.
Questo tanto più in quanto le modificazioni apportate alle definizioni degli interventi a partire dal DPR 380/2001 (tanto improvvide quanto frenetiche) hanno alterato le definizioni degli interventi per correlarle alle innovazioni nei procedimenti e delle sanzioni, tanto da renderle inutilizzabili come riferimenti per la disciplina urbanistica ed edilizia. Nella ristrutturazione edilizia è compresa una latitudine di opere che va dal piccolo spostamento di una finestra alla demolizione di un fabbricato e costruzione di un altro, in posizione e con sagoma differenti. Il ripristino tipologico è stato recentemente soppresso, e ricondotto anch’esso nella definizione della ristrutturazione edilizia, ormai onnicomprensiva.
Sarebbe dunque indispensabile, quindi, che la tutela e la valorizzazione del patrimonio edilizio di interesse disciplinassero le opere ammissibili sulle diverse categorie di immobili tutelati, lasciando ai procedimenti amministrativi il compito di accertare per le proprie finalità la natura dell’intervento progettato, nell’ambito della classificazione di legge.
9. Sul sistema di pianificazione urbanistica (quinta questione) - La disciplina delle nuove urbanizzazioni
Secondo l’articolo 35 del progetto di legge (Disciplina delle nuove urbanizzazioni) un qualsiasi pezzo di campagna non soggetto a tutele di legge, né allagabile o franoso o in rispetto stradale o simili potrebbe essere oggetto della localizzazione, attraverso accordi operativi, di nuovi insediamenti, indifferentemente destinabili a residenza, commercio, attività produttive o quant’altro più conviene. Sarebbero compresi fra questi i trasferimenti da interventi di rigenerazione urbana di potenzialità edificatorie sovrabbondanti o di diritti edificatori altrimenti acquisiti, di entità sia molto grande che minuscola.
I nuovi insediamenti sarebbero anche sottratti a qualsiasi valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale, in quanto non valutabili né in sede di formazione del PUG perché di localizzazione, consistenza, natura del tutto ignote, né in sede di accordi operativi, che il progetto di legge non assoggetta a valutazione di sostenibilità alcuna. Né è pensabile che l’individuazione dei fattori preclusivi o fortemente limitanti alle trasformazioni urbane, o l’indicazione delle opportunità di sviluppo insediativo derivanti dalle dotazioni territoriali, infrastrutture e servizi pubblici previsti dal comma 6 dell’articolo 35 possano sostituire una seria valutazione di sostenibilità.
Assolutamente inammissibile è la preclusione posta dal medesimo comma 6 alla possibilità stessa di una disciplina urbanistica delle nuove urbanizzazioni, non ammettendo in nessun caso una rappresentazione cartografica delle aree idonee ai nuovi insediamenti. E’ dunque evidente che la stridente contraddizione fra questo comma e quanto disposto dall’articolo 34, comma 2, secondo il quale la Strategia per la qualità urbana ed ecologico ambientale definisce l’assetto spaziale di massima degli interventi, devrebbe essere risolta a favore di questa, affermandone contenuti e cogenza, e cassando, col comma 6, il divieto di pianificazione urbanistica dei nuovi insediamenti.
Oltre a riaffermare un’istanza basilare del governo del territorio, sarebbero così risolte altre contraddizioni:
- il comma 6 introduce la nozione di territorio extraurbano, aliena rispetto a tutti i dispositivi vigenti: fa parte o no del territorio rurale? Se sì, si pongono evidenti conflitti fra le rispettive discipline, in particolare con il divieto di nuove costruzioni non funzionali all’agricoltura nel territorio rurale; se no, in quale genere di territorio andrebbe classificato?
- parti di territorio lasciate non pianificate, né edificabili né rurali, si troverebbero soggette alle disposizioni dell’articolo 9 del DPR 380/2001, e quindi suscettibili di interventi di nuova edificazione nei limiti di una densità di 0,03 mc/mq per residenza o addirittura di un rapporto di copertura di 0,1 mq/mq per interventi a destinazione produttiva, commercio e direzionalità compresi. Una decina di ettari consentirebbe la costruzione di un ipermercato da diecimila metri quadrati, e su un solo ettaro potrebbero sorgere due o tre torri di uffici di altezza illimitata. È già successo, anche nel territorio regionale.
In applicazione della direttiva Bolkenstein le sole regolamentazioni ammissibili delle medie e grandi strutture di vendita sono quelle di natura urbanistica. In mancanza di una disciplina urbanistica cogente, potrebbero spuntare ovunque in modo incontrollato. E’ questo che si vuole?
10. Sul sistema di pianificazione urbanistica - La disciplina del territorio rurale
L’articolo 36 implicitamente definisce il territorio rurale quale complemento del territorio definito urbanizzato. Come già è stato accennato, questo dà luogo a contraddizioni insolubili: in quanto esterne al territorio urbanizzato le nuove urbanizzazioni ricadrebbero nel territorio rurale, dove è ammessa la realizzazione di nuovi fabbricati solo se funzionali all'esercizio dell’attività agricola, e dovrebbe essere presente una pluralità di altre limitazioni a tutela di questa. I dispositivi dell’articolo 36 confermano sostanzialmente l’impianto della legge regionale 20/2000, che detta prescrizioni direttamente efficaci, indifferenziate sull’intero territorio regionale, e quindi indifferenti a questioni di ambito territoriale circoscritto.
Primo esempio: limitare la realizzazione di nuovi fabbricati alle esigenze della conduzione agraria è più che giusto nelle aree forti di pianura. In una cinquantina di comuni montani almeno metà della popolazione risiede però nel territorio rurale, in piccoli nuclei abitati o case sparse. In un centinaio di comuni questa quota è almeno un terzo. Le esigenze di adeguamento e al caso integrazione delle residenze e degli spazi per attività economiche devono trovare risposta sul posto, con priorità al recupero ma anche con nuove costruzioni.
Secondo esempio: al fine di incentivare la totale rimozione di edifici non più funzionali all’attività e migliorare la qualità ambientale e paesaggistica del territorio rurale, ne è ammessa la riconversione ad altra destinazione secondo quote che in molti casi sono esagerate, in reazione alla diffusione e alla consistenza di strutture agricole e zootecniche dismesse, o di opere incongrue.
Per tenere debito conto delle differenziate condizioni ed esigenze dei territori, e soprattutto contrastare l’ulteriore spopolamento dei comuni montani, sarebbe dunque indispensabile attribuire la materia alla pianificazione territoriale a livello provinciale, ai PTAV, nell’ambito di solidi principi di legge.
11. Sulle modalità di approvazione e variazione della disciplina urbanistica
Secondo l’articolo 43 (Unificazione del procedimento di piano) l’approvazione del PUG e delle relative varianti sarebbe soggetta al procedimento unico, il medesimo che varrebbe anche per i piani territoriali regionali e di area vasta. Gli accordi operativi, cioè gli strumenti urbanistici cui sarebbe rimesso il compito di decidere e stabilire la disciplina di ciascun nuovo insediamento o rilevante intervento di rigenerazione urbana, sarebbero però soggetti non a questo procedimento unificato, ma a un procedimento appositamente congegnato, molto abbreviato e snellito, che esautora largamente il consiglio comunale.
Questo significa che anche modifiche di modestissima entità alla Disciplina dettagliata del territorio urbanizzato disposta dall’articolo 33, o a quella del territorio rurale di cui all’articolo 36, nonché la formazione e la modificazione di piani urbanistici attuativi sarebbero soggette al medesimo sistema di procedure prescritti per la formazione ed approvazione di un PUG o di un PTAV. E’ ragionevole? Stiamo semplificando?
Andrebbe di conseguenza ribadito che:
- non è pensabile di assoggettare perfezionamenti e adeguamenti puntuali, di valore strettamente locale, al medesimo procedimento disposto per la formazione del PUG e dei piani territoriali.;
- nel territorio urbanizzato soprattutto, e nel territorio rurale, la disciplina urbanistica degli interventi diretti dovrebbe risultare sollecitamente adeguabile alle esigenze e alle opportunità che si presentano nel corso del tempo, utilizzando procedimenti agili;
- analoghe esigenze richiederebbero la formazione, la modificazione e il rinnovo di piani urbanistici attuativi di iniziativa pubblica.
Più precisamente, nel territorio urbanizzato e nel territorio rurale la disciplina degli interventi diretti ha necessità di rapportarsi adeguatamente alla estesa latitudine di condizioni presenti nel territorio urbanizzato, anche con alto grado di dettaglio e differenziazione. Deve quindi essere agilmente perfezionabile e adeguabile in relazione alle esigenze ed alle opportunità che si manifestano nel corso del tempo.
La netta distinzione proposta fra gli Schemi di assetto costitutivi della Strategia per la qualità urbana ed ecologico ambientale (articolo 34 comma 2) da un lato, e la Disciplina di dettaglio del territorio urbanizzato e la Disciplina del territorio rurale (articoli 33 e 36) consente di rimettere interamente ai consigli comunali le modifiche a queste ultime, se coerenti alla Strategia, analogamente a quanto è da confermare per la formazione e modifica dei piani urbanistici attuativi. Ma in generale, per quanto infine riguarda le procedure di formazione ed approvazione dei Piani, il progetto di legge dedica un intero Capo (il III°) del Titolo III, dall’art.43 all’art.47. si tratta di un tema di grande delicatezza perché se fino a quanto detto fino ad ora il progetto sembra far danni al solo territorio, le disposizioni a riguardo sembrano far danni anche alla democrazia. A seguito dei dispositivi dell’art.45, il Consiglio adotta la proposta di Piano solo a seguito della proposta di decisione sulle osservazioni. Vale a dire che il Piano esposto, sulle scelte del quale vengono raccolte le osservazioni e magari si apre un processo partecipativo disciplinato dal comma 8 dell’art.45, non è il Piano adottato dal Consiglio, ma quello proposto dalla Giunta.
La semplificazione consiste nel tentare di evitare il passaggio di dibattito e voto in Consiglio che tradizionalmente veniva compiuto prima della esposizione e della raccolta delle osservazioni. Questa soluzione, tuttavia, oltre a riflettersi negativamente sui tempi nel caso la minoranza, in sede di adozione finale, facesse valere le proprie ragioni imponendo di modificare il Piano (costringendo in questo caso ad una seconda esposizione e raccolta di osservazioni) non può non umiliare il Consiglio, che è trattato come un estraneo rispetto la volontà del Comune finché non viene chiamato a discutere ed infine ad adottare un documento già condizionato dalla proposta di Giunta relativa alle osservazioni raccolte. L’opposizione dovrà in questo caso, per farsi sentire, agire come una qualsiasi associazione o privato cittadino, facendo formale osservazione alla proposta di Giunta.
Insomma, questa soluzione esclude l’ipotesi di una leale partecipazione della minoranza, magari collaborativa in considerazione della importanza delle decisioni da assumere. La disposizione proposta sembra dunque seriamente lesiva di un corretto comportamento democratico. Per quanto poi riguarda il procedimento di approvazione pare opportuno formulare due osservazioni.
La prima riguarda il comma 5 dell’art.46, che stabilisce una procedura di “silenzio/assenso” in caso che il termine di 120 giorni di cui al comma 2, relativo ai tempi concessi al Comitato Urbanistico per esprimere il proprio parere non risultassero sufficienti. Stabilire un termine perentorio di quattro mesi senza considerare le differenze di istruttoria che distinguono il Piano di Bologna da quello di Bettola sembra davvero un segnale della protervia delle Città/Stato, le vere autrici di gran parte delle disposizioni.
La seconda riguarda il sesto comma del medesimo art.46, che non dispone alcuna operazione di verifica della accettazione delle riserve espresse dal Comitato Urbanistico e che peraltro stabilisce che di alcune di queste il Comune possa allegramente infischiarsene “con motivazioni puntuali e circostanziate”.
12. Sull’efficacia e cogenza della disciplina urbanistica
E’ questo il tema su cui il PdL sembra operare il maggior sforzo di “semplificazione”. All’interno del TU l’art.33 comma 2 chiarisce che è compito del PUG individuare “con una cartografia a carattere ideogrammatico… le parti della città che presentano caratteristiche omogenee, dal punto di vista funzionale, morfologico, ambientale, paesaggistico e storico culturale e che, per questo, richiedono una disciplina uniforme”.
Quali caratteri deve possedere, secondo il progetto di legge, questa disciplina “uniforme” per le parti che posseggono “caratteristiche omogenee”? Lo chiarisce il successivo comma 3, dovendo il PUG, per ciascuna di queste parti definire “gli obiettivi generali per il miglioramento della qualità urbana e ambientale e le dotazioni territoriali, infrastrutture e servizi pubblici ritenuti necessari… nonché la gamma degli usi e delle trasformazioni ammissibili”. Sino a qui sembrerebbe nulla di nuovo, configurando la disciplina proposta null’altro che la tradizionale zonizzazione, a meno, naturalmente, della straordinaria sciocchezza che vorrebbe che quanto descritto potesse essere rappresentato da “una cartografia a carattere ideogrammatico”, come prescritto dal citato comma 2 dell’art.33.
Se non che, op là, il Comma 3 del medesimo art.33, dopo aver ricordato gli obiettivi generali, le dotazioni territoriali, la gamma degli usi e delle trasformazioni ammissibili, chiarisce che “in particolare” (il che ha tutta l’aria di significare “in sostanza”) il PUG “definisce, per ciascuna parte del territorio urbanizzato: a) gli interventi di addensamento e sostituzione urbana subordinati alla stipula di accordi operativi….b) gli interventi sul territorio urbano consolidato (perché “consolidato”? significa che gli interventi di “addensamento e sostituzione” sarebbero tipici di un tessuto urbano non consolidato? La prescrizione di suddivisione per parti “omogenee” del territorio urbanizzato sottintende quindi la suddivisione in parti consolidate e non consolidate? ndr) che possono essere attuati direttamente con la presentazione di un titolo abilitativo edilizio”, vale a dire, come chiarisce il successivo comma 4, le trasformazioni “attuabili per intervento diretto”.
Eccola dunque la semplificazione. Si tratta di sottrarre al Piano non tanto le regole di disciplina della quotidianità abitativa o produttiva (il tessuto “consolidato”, che resta disciplinato dalle attuali disposizioni) ma quelle relative alle aree “di addensamento e sostituzione”, che andrebbero decise volta a volta dagli accordi operativi, per i quali, recita il comma 5 dell’art.33, il PUG “non può stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato né fissare la disciplina di dettaglio degli interventi la cui attuazione sia subordinata ad accordo operativo”.
All’esterno del TU. E le nuove previsioni, quelle da contenere, in base all’art.5, al 3% della superficie del territorio urbanizzato? Anche esse vanno attuate attraverso accordi operativi, ma solo dopo che il PUG “ricostruisce la griglia degli elementi strutturali che connotano il territorio extraurbano e che costituiscono riferimento necessario per le nuove previsioni, e stabilisce i limiti, le condizioni e le opportunità insediative che ne derivano”. Per esse il Piano fornisce dunque localizzazioni e quantità? Sembrerebbe così, tanto più che il comma 5 dell’art.35 finalmente concede che il piano fornisca, “attraverso appositi elaborati cartografici, una puntuale rappresentazione dei sistemi ed elementi strutturali….e definisce attraverso apposita zonizzazione gli ambiti destinati ad assicurare la fattibilità delle opere pubbliche”. Siamo, almeno in questo caso, al linguaggio e agli strumenti dell’urbanistica?
Macchè, il comma successivo, come in un gioco da play station, smentisce quanto appena detto e chiarisce che “Gli elaborati di cui al comma 5 non contengono in nessun caso una rappresentazione cartografica delle aree idonee ai nuovi insediamenti bensì indicano, attraverso apposita rappresentazione ideogrammatica…. le parti del territorio extraurbano, contermini al territorio urbanizzato, che non presentano fattori preclusivi o fortemente limitanti alle trasformazioni urbane”. Al mercato la scelta.
Ma il comma 2 dell’art.35 non garantisce che “Per le nuove urbanizzazioni, la strategia per la qualità urbana ed ecologico ambientale stabilisce i requisiti prestazionali e le condizioni di sostenibilità ambientale e territoriale”? Si, ma per quanto riguarda gli accordi, la lettera b) del secondo comma dell’art.24 chiarisce che “le indicazioni della componente strategica del PUG relative: ai criteri di localizzazione delle nuove previsioni insediative, agli indici di edificabilità, alle modalità di intervento, agli usi e ai parametri urbanistici ed edilizi, costituiscono riferimenti di massima circa l’assetto insediativo del territorio comunale, la cui puntuale definizione e specificazione è di competenza degli accordi operativi e dei piani attuativi di iniziativa pubblica, senza richiedere la variazione del PUG”. In conclusione, il progetto di legge sembra scritto da due persone diverse, con idee difficilmente conciliabili, con diverso bagaglio tecnico e culturale. Con risultato, questo sì, a saldo zero. A che serva in definitiva il PUG sarebbe da spiegare.
Nonostante il continuo saltare da un’affermazione al suo contrario, la semplificazione proposta consiste, in definitiva, nel consegnare agli accordi operativi la massima libertà, intendendo evidentemente che ogni scelta che condizioni il mercato compiuta dal Piano rappresenti una limitazione inaccettabile alla trasformazione del territorio. In conclusione, la semplificazione proposta in riferimento ai contenuti di Piano consiste semplicemente nella eliminazione delle regole, sperando che così si risvegli il mercato. E’ come sperare che l’eliminazione dei semafori velocizzi il traffico.
Qui sta il cuore della proposta e, per forza di cose, il cuore della nostra resistenza, ostinata e contraria.